Richard Rorty è stato senza dubbio uno dei pensatori più interessanti della seconda metà del XX secolo. Privo di qualsiasi atteggiamento reverenziale nei confronti dei grandi filosofi, e precisamente per questo tratto “irriverente”, Rorty è stato – ed è ancora – anche uno dei più discussi; del resto, lui stesso non si dispiaceva a definirsi «il bad boy della filosofia americana» (cfr. Calcaterra 2016, p. 21).
Tuttavia, l’impressione di molti è che le critiche feroci che gli sono rivolte siano dovute a letture parziali del suo pensiero, basate su estrapolazioni e manipolazioni dei suoi testi. Per questo, il progetto di Rosa Maria Calcaterra e Sarin Marchetti che ha preso corpo nel volume Richard Rorty: Filosofia, letteratura, politica (Carocci, 2024) è di grande importanza per il futuro della ricezione del pensiero rortyano. Attraverso una ricostruzione critica della sua biografia intellettuale, gli autori sono riusciti a delineare il profilo di Rorty in maniera sfaccettata e multiforme, in modo tale da avvicinare i lettori alla sua filosofia con uno spirito che Calcaterra, durante una conferenza, ha definito “alla William James” (Bologna, 15 Novembre 2024), ovvero con uno spirito pragmatico, aperto e sperimentale, che si soffermi non solo sui “contenuti” delle riflessioni formulate da Rorty, ma anche sulle loro conseguenze pratiche.
Tale atteggiamento jamesiano rimane vivo nel corso della trattazione di Calcaterra e Marchetti: entrambi autori di rilievo nel panorama del pragmatismo italiano, lavorano da tempo su autori quali Rorty e James; Calcaterra è anche co-fondatrice dell’European Journal of Pragmatism and American Philosophy. Fra i libri di Calcaterra dedicati a Rorty si può menzionare il suo Contingency and Normativity. The Challenges of Richard Rorty (Brill 2019), un testo che si concentra soprattutto sulla prima parte della riflessione rortyana; mentre Marchetti, al momento professore di Bioetica e Teorie Morali all’Università Sapienza di Roma, ha scritto soprattutto su James (ad esempio, Ethics and Philosophical Critique in William James, Palgram Macmillan, 2015). L’approccio pragmatico, mantenuto sempre in maniera coerente dagli autori, è certamente significativo nel contesto di ricostruzione del pensiero di un pragmatista come Rorty
Il volume in oggetto si apre con una definizione preliminare, che fa eco nei capitoli che seguono: «La filosofia è come lo spazio e il tempo, è difficile pensare di poterne fare a meno» (Rorty 1982, p. 61; citato in Calcaterra e Marchetti 2024, p. 11). Del resto, il pensare come bisogno fisiologico emerge in Rorty fin dalle pagine autobiografiche dedicate alla gioventù; esse vengono presentate dagli autori a partire dal loro titolo, Trotskij e le orchidee selvatiche. Lo strano abbinamento allude al doppio binario che ha segnato la vita di Rorty a partire dall’adolescenza: da una parte, lo splendore morale che la sinistra americana rappresentava in quegli anni, sostenuta con impegno da tutta la sua famiglia; dall’altra, le romantiche orchidee selvatiche che si trovano sulle montagne del New Jersey, dove ogni estate Rorty trascorreva le vacanze. La possibilità di mantenere vivi entrambi gli interessi, quello sociale e quello romantico, senza sentirsi politicamente compromesso o idiosincraticamente mancato, costituirà l’impalcatura di tutta l’opera rortyana. Tale dualismo, come suggerito dagli autori, potrà essere letto nei capitoli seguenti «come la forza positiva del suo percorso filosofico nonché come una sorta di ipoteca sul progetto etico-politico» avanzato soprattutto a partire dagli anni Ottanta (ivi, p. 21).
Di seguito, il volume “svolge” il gomitolo del pensiero rortyano, distribuendolo per nodi nei vari poli universitari in cui è andato elaborandosi. In primo luogo, le Università di Chicago e Yale, dove Rorty completa i suoi studi fino alla tesi dottorale, sono l’inizio del dialogo con la filosofia analitica, un confronto che fin dal principio si rivela marcatamente critico. Mettendo bene in luce questo aspetto, Calcaterra e Marchetti riescono a smentire una delle leggende “fuorvianti” che da sempre riguardano Rorty, quella secondo cui prima si sia formato nel contesto analitico per poi rivoltarvisi contro (cfr. anche Bernstein 2010, p. 201; citato in Calcaterra e Marchetti 2024, p. 27). Del resto, il fatto che Rorty abbia studiato nelle università di indirizzo analitico non implica che lui stesso sia stato un analitico; di più, come è normale per un giovane studioso, non è strano pensare che nei primi saggi abbia scritto di filosofia analitica per farsi strada nelle università prestigiose d’America per quanto di indirizzo analitico, fra cui Princeton (ivi, p. 28). Sembra significativo anche il ruolo di Assistant Professor al college femminile di Wellesley (1958), dove Rorty tiene un corso su Husserl, Heidegger e Sartre; forse, tale contatto con giovani studiose, le sue prime allieve, potrebbe essere ribadito nel contesto delle riflessioni rortyane degli anni Novanta che riguardano i femminismi trattate nella parte conclusiva del libro.
Sulla linea tracciata da Calcaterra e Marchetti, è a Princeton che Rorty delinea una prima forma del suo neopragmatismo, intrecciando a doppio filo il suo pensiero al presente. Di fatto, la situazione politica americana degli anni Settanta, segnata dall’onda lunga della New Left e della guerra del Vietnam, imponeva una certa attenzione ai dibattiti del presente. Tale coinvolgimento risuona senza dubbio nel primo testo filosofico di Rorty, La filosofia e lo specchio della natura (1979), in cui l’autore invita i filosofi a cogliere le sollecitazioni delle situazioni storiche e suggerisce loro di impegnarsi a scoprire nuovi modi di parlare, nuovi vocabolari più interessanti e fruttuosi di quelli precedenti, piuttosto che cercare le essenze della realtà (cfr. ivi, p. 30). L’opera è stata da molti definita “post-filosofica”, un’espressione probabilmente fuorviante, perché Rorty non voleva dichiarare l’impossibilità della filosofia, bensì esortare i suoi sostenitori a rivolgersi al presente in maniera flessibile, con lungimiranza (ibidem; cfr. anche p. 84).
Nel tentativo di correggere gli equivoci emersi, Rorty arricchisce la sua officina di pensiero con nuovi stimoli, confrontandosi sia con filosofi analitici fra cui Pierce, Wittgenstein e Carnap, sia con autori più vicino al pragmatismo come Kuhn, Dewey, James e Davidson. Formatosi uno sguardo multiprospettico sul panorama filosofico, al contempo analitico e pragmatico, Rorty inizierà a costituire i germi della filosofia come conversazione di CIS; a proposito, come ribadiscono gli autori, nel termine “conversazione” si intravede precisamente l’importanza del linguaggio, un lascito che senza timore si può dire analitico, e che verrà configurandosi nel pensiero rortyano con sempre più attenzione. Del resto, già prima degli anni Ottanta, è forte in Rorty la convinzione che esista una «circolarità virtuosa» (Calcaterra e Marchetti 2024, p. 80) fra campo dell’azione, sfera logico-semantica e sfera dei processi cognitivi, e che tale circolarità possa perseguire una proposta etica (ivi, p. 113). In particolare, nel saggio Solidarietà e oggettività (1985), forte degli spunti insieme wittgensteiniani e kuhniani, Rorty sostiene l’idea di una verità lontana dall’idea corrispondentista, ma non per questo meno oggettiva, perché fondata sulla giustificazione, ovvero sul consenso della comunità di volta in volta parlante. Di fatto, il “noi” in cui tale comunità si autodefinisce non è affatto transtorico e transmetafisico, bensì radicato nella contingenza e consapevole del suo fallibilismo al punto da tenersi sempre pronto a formulare nuove giustificazioni.
Da questo momento in avanti il pensiero di Rorty diviene, secondo gli autori, una «impresa riflessiva dalla portata socioculturale» (ivi, pp. 140-141): questo aspetto emerge chiaramente a partire dalla sua seconda opera, Contingency, Irony and Solidariety (1989; d’ora in poi CIS), in italiano resa in maniera fraintendibile con “La filosofia dopo la filosofia”. Tale “svolta” non è propriamente una cesura, perché i prodromi si rintracciano fin dai primi scritti; di fatto, gli autori sostengono che sarebbe meglio parlarne nei termini di «compimento di un processo» (ibidem). Del resto, proprio a partire da CIS ritornano in campo, e più esplicitamente, Trotskij e le orchidee selvatiche, ovvero i progetti di costruzione morale che si svolgono fra ironia privata e speranza liberale. Il punto, per Rorty, è sapersi ridescrivere non per indurire le proprie convinzioni, ma esercitare il dubbio per allenare l’automodestia, come promessa di disincanto dall’idea chiusa di soggetto. Del resto, come affermano gli autori, la controparte pubblica è la solidarietà, che per Rorty sarà raggiunta quando gli individui saranno in grado di conoscere se stessi a tal punto da entrare in sintonia con gli altri attraverso un terreno comune, divenendo in grado di parlare dei problemi morali che riguardano il noi. La diversificazione della sfera privata e di quella pubblica, di contro a quanto molti critici hanno sostenuto, non vuole affermare che un individuo può leggere con passione il Mein Kampf nel privato purché prometta di non imporlo nel pubblico; anzi, le sfere vengono descritte dagli autori come una compresenza dialogante dalla funzione costitutivamente costruttiva. Gli autori spiegano infatti che rivolgersi ironicamente al sé non significa prendere meno sul serio se stessi e le conseguenze sugli altri, ma decentrarsi al punto da essere in grado di fare a meno delle certezze, per abbracciare pienamente l’attività della conversazione (ivi, p. 168).
Per perseguire questo modello di decostruzione e ricostruzione, Rorty ricorda l’importanza della letteratura, più vicina ai fruitori rispetto ai toni della filosofia tradizionale perché basata sulla narrazione. Per Rorty, leggere libri ci rende più tolleranti perché meno sicuri di essere al riparo dalle critiche che noi stessi ci sentiamo di muovere ai personaggi di volta in volta coinvolti. (ivi, pp. 182-183). Un’educazione filosofica di questo genere, come tornano a sottolineare gli autori, ha anche un obiettivo: muovere la politica, non semplicemente descriverla, e quindi darle la possibilità di edificare più che di sistematizzare, ricordandosi di farsi da parte quando il suo compito è terminato. Del resto, verso il finale del libro, gli autori riprendono un’altra definizione di filosofia, questa volta formulata da Hegel ma molto cara a Rorty, che può fungere da cornice del pensiero rortyano: «la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero» (Hegel 1820, p. 15; citato in Calcaterra e Marchetti 2024, p. 221). In generale, attraverso le sue riflessioni, si può dire che Rorty ha ricordato alla filosofia che è meglio disfarsi dalle ossessioni e rivolgersi a ciò che riguarda il proprio tempo. Lui stesso ha dimostrato che è possibile: basta aprirsi alle descrizioni dei “noi” in gioco, cercando di essere eloquenti compagni di conversazione, ma soprattutto dei buoni osservatori e ascoltatori.
Bibliografia
Bernstein , Richard 2010. The Pragmatic Turn, Polity Press, Cambridge 2010.
Calcaterra, Rosa Maria 2016. Filosofia della contingenza: Le sfide di Richard Rorty, Marietti, Genova, 2016.
Calcaterra, Rosa Maria, e Marchetti, Sarin 2024. Richard Rorty. Filosofia, letteratura, politica, Carocci, Roma 2024
Rorty, Richard 1982. Conseguenze del pragmatismo, Feltrinelli, Milano 1968.
Hegel, G. W. F. 1820. Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1996.