PERSONA E TEMPO. PER UNA FENOMENOLOGIA TEMPORALE DELLA PERSONA

Lo studio del tempo anima quasi ogni elaborazione filosofica: cos’è il tempo e in che modo posso impiegarlo nella vita? Con lo sviluppo dell’elaborazione filosofica, anche la questione del tempo si è di volta in volta articolata in analisi più meticolose e specifiche. 

In questa istanza vogliamo presentare e analizzare lo studio della temporalità in fenomenologia e, nello specifico, in fenomenologia della persona. Nello specifico, ci riferiremo alle ricerche di E. Husserl sviluppate in Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917) e in Idee I-II (1913). Infine, vedremo le problematiche di una teoria del tempo a un tempo trascendentale e personale. 

  1. Sedimentazioni e sprofondamenti 

Come abbiamo detto altrove1, la fenomenologia studia le strutture invariabili (eidetiche) dei fenomeni. Ovverosia, in quanto scienza eidetica segue un metodo riduttivo col quale è possibile scoprire l’essenza degli oggetti: rilevandone l’invariabilità costitutiva, è possibile da un lato determinare ontologicamente una datità e, dall’altro, verificare la legalità di ogni sua ulteriore conoscenza possibile. Ad esempio, riducendo eideticamente il tipo ontologico “guerriero”, otteniamo che tra le sue essenzialità c’è quella del coraggio; in questo senso, lo determiniamo ontologicamente poiché il coraggio è sostanziale al guerriero, e lo legalizziamo epistemicamente perché ogni ulteriorità (per esempio quella della forza o dell’aggressività) non deve contraddire la necessità eidetica del coraggio. 

Ancora, però, la fenomenologia è una scienza trascendentale: bisogna dapprima studiare la provenienza di ogni conoscenza possibile in generale. Dunque, la fenomenologia è la scienza della coscienza trascendentale2: se ogni ontologia ed epistemologia derivano da disposizioni e modi intenzionali della coscienza, dobbiamo ricavare la struttura eidetica della coscienza in quanto tale. 

Questo discorso preliminare ci introduce al metodo adottato da Husserl per la ricerca sul tempo. Malgrado le prime lezioni sul tempo del 1905 precedano la svolta trascendentale della fenomenologia – che di fatto si ha con le Idee poco meno di un decennio dopo –, è evidente che a seguito delle Ricerche logiche (1900-1901) Husserl stava lentamente ma consistentemente preparando la riorganizzazione al trascendentalismo. Lo vediamo proprio con queste lezioni sul concetto di tempo. 

Uno dei modi di esporre la teoria fenomenologica del tempo è rifarsi al famoso diagramma del tempo husserliano, che di seguito riportiamo: 

Considerando la coscienza, l’idea della fenomenologia è che essa sviluppi le sue intenzioni sul piano trans-dimensionale di passato, presente e futuro. A ognuno di questi piani temporali consegue una specifica modalità intenzionale: i vissuti del passato sono ritenuti, quelli del presente sono intenzionati attualmente e quelli futuri sono protenzioni

Il diagramma esemplifica geometricamente la questione: dato un oggetto percepito – che sia al modo della sensazione o della rappresentazione, ma anche della fantasia – esso ha un decorso temporale. Prendendo l’esempio husserliano del suono, individuiamo un «punto d’origine»3, ovvero il momento nel quale esso viene fattualmente percepito, e uno nel quale viene ritenuto dove diventa un «già stato»4. Nel decorso di questi momenti, però, entra in azione la legge della modificazione5. Appena il suono termina, la sua percezione sfuma nella coscienza del passato, ma al modo della modificazione: la ritenzione del suono trattiene quanto più possibile il contenuto della percezione, ma a mano a mano il ritenere ne sfuma la chiarezza. Seguendo il diagramma, consideriamo P il punto di origine e A i momenti ritentivi: avremo che, indietreggiando nella catena ritentiva, il contenuto si adombra maggiormente. In questo senso, “ogni ritenzione successiva non è soltanto una modificazione scaturita dall’impressione originaria, ma una continua modificazione di tutte le precedenti ininterrotte modificazioni”6

In sede fenomenologica lo sbiadimento del ricordo avviene perché, estendendosi la catena delle ritenzioni, ogni ritenzione non riferisce al punto d’origine ma al punto ritenuto subito precedente. In altri termini, si forma una ritenzione di ritenzione7: quanto più a lungo A si estende, tanto più sbiadito sarà il ricordo perché la coscienza ritenzionale considererà l’ultimo punto A, a sua volta ritenuto. 

Per quanto riguarda la protenzione, invece, bisogna considerare come “ogni nuovo retroagisce sul vecchio […] [e] Il nuovo rimanda a sua volta a qualcosa di nuovo che, comparendo, […] modifica le possibilità di riproduzione del vecchio”8. Al modo della protenzione, dunque, la coscienza ha delle aspettazioni: si aspetta che un certo evento accadrà, che una certa percezione sarà percepita etc. Non solo questo, ma ogni tensione protenzionale riassesta l’organizzazione temporale della coscienza. Finora abbiamo analizzato il decorso temporale di una percezione precisa, ma a livello organizzativo la coscienza articola sulla linea fenomenologica del tempo l’intero flusso di vissuti: è la nostra vita a essere localizzabile sull’asse temporale. 

Allo stesso modo di un individuale, anche la vita sottostà alla legge del mutamento e allo sbiadimento ritenzionale: più si va indietro nel tempo, più i ricordi sfumano nell’indeterminatezza. Ciononostante, nessun ricordo è mai perso: tutt’al più, sprofonda nella coscienza. Riesumarlo alla maniera della coscienza ritenzionale non è possibile, perché il suo contenuto è dimenticato, eppure ha ancora rilevanza affettiva – il contenuto è dimenticato ma la sua presa emozionale alberga al di sotto della coscienza9. Riferendoci nuovamente al diagramma del tempo, al punto ritentivo A corrisponde un’ulteriore ritenzione A’, che però si trova nella direzione delle protenzioni. AA’ indica, dunque, l’indice di sprofondamento di un oggetto temporale: in relazione alla retta A, rispetto alle ritenzioni e alle ritenzioni di ritenzioni; per A’, invece, circa lo sprofondamento di quell’oggetto temporale, che continua eventualmente a giocare un ruolo affettivo nel decorso di coscienza. 

Questo discorso viene chiarito in sede trascendentale, nelle Idee. Lo studio della coscienza trascendentale presuppone che ogni analisi si riferisca a quanto le è immanentemente presente10, per cui l’indagine sul tempo è da intendere sia come analisi trascendentale del tempo che come analisi del tempo trascendentale. Stando allo Husserl delle Idee, “Il tempo […] inerisce al vissuto come tale, con i suoi modi di datità dell’adesso, del prima, del dopo, […] [e] non può essere misurato da nessuna posizione del Sole, da nessun orologio”11. In questo senso, la temporalità “indica […] una forma necessaria che unisce i vissuti tra loro12. Attraverso un’organizzazione in tre fasi – passato, presente e futuro – la coscienza ordina i suoi vissuti e, per questa ragione, per la coscienza trascendentale il tempo è un’operazione di ordinamento dei vissuti intenzionali. Se da un lato Husserl recupera l’idea kantiana di tempo come senso interno, dall’altro la espande attraverso l’intenzionalità: l’ordinamento del flusso dei vissuti permette alla coscienza di progettare la sua vita conservando i vissuti – “I vissuti passati non sono scomparsi senza lasciar traccia, ogni vissuto ha delle ripercussioni”13

Per ogni sprofondamento c’è una sedimentazione affettiva14: proprio perché “[ogni] ricordo «sussiste» per sempre”15, ogni vissuto intenzionato e rilevante per la coscienza si inabissa caratterizzandola anche latentemente, come un’eco emozionale. È sulla base di queste cose che è possibile la nozione fenomenologica di persona

  1. Fenomenologia temporale della persona 

L’idea husserliana di persona poggia sui concetti di peculiarità personali e proprietà di carattere16: ogni soggetto personale ha una propria unitarietà con cui risponde agli eventi della vita. In senso lato, essere una persona significa avere uno stile espressivo e motivazionale coerente: l’intera attività egologica è basata sulla motivazione, che di fatti viene considerata la legge fondamentale della vita spirituale17. Il soggetto personale istituisce il suo sistema di senso sulla base dei cosiddetti riempimenti motivazionali18: gli oggetti del mondo ci interessano e attraggono; dunque, ci impegniamo nei loro confronti istituendo raccordi di intenzionalità. 

Essere una persona è il fatto che, quindi, da un lato i miei riempimenti motivazionali istituiscano un sistema di mondo e, dall’altro, che io abbia una certa costanza nella risposta agli eventi esistenziali. Perciò “Ogni uomo ha il suo carattere, […] ha il suo stile di vita nelle affezioni e nelle azioni, riguardo al suo modo di farsi motivare da queste e da queste altre circostanze”19. Ora ci interessa comprendere come questo carattere peculiare, che esemplifica la specificità ontologica del soggetto personale, sia strettamente intrecciato all’organizzazione temporale della coscienza. 

Bisogna distinguere anzitutto due generi di motivazioni temporali: in primo luogo, ci sono i riempimenti motivazionali che fanno capo a momenti ritentivi espliciti (per esempio quando ho in mente il ricordo che mi ha motivato a un’azione); in seconda istanza, diversamente, può esserci un’ulteriore stratificazione della motivazione che deriva “da una base oscura di inclinazioni caratterologiche, di disposizioni originarie e nascoste”20. La nostra idea è che questa base caratterologica oscura sia determinata, almeno in buona parte, dalle sedimentazioni ritentive viste prima. 

Di fatti, “la vita dello spirito è attraversata dalla «cieca» attività delle associazioni, delle pulsioni, dei sentimenti in quanto stimoli e fattori di determinazione delle pulsioni, delle tendenze che emergono al buio ecc., e che determinano l’ulteriore corso della coscienza secondo regole «cieche»”21. Il diagramma del tempo suggerisce l’origine di queste regole cieche: l’attività sintetica della coscienza, dalla quale deriva l’unificazione di intenzionalità e quindi un sistema di mondo, non è operata solo mediante attività ritentive-protentive esplicite ma anche attraverso sprofondamenti e sedimentazioni di vissuti intenzionali. In altri termini, non è detto che la coscienza ritenga chiaramente tutto l’apparato intenzionale col quale istituisce il suo orizzonte di senso, ma è molto più probabile che, rispetto a questo orizzonte, ci sia una consistente mole di ritenzioni sprofondate che contribuiscono allo stesso modo all’articolazione del mondo personale. 

Facciamo un esempio. In questo momento della mia vita, ho un tema di coscienza ben specifico: essere soddisfatto della mia professione. Che io sappia, ci sono momenti del passato che pesano affettivamente sulle motivazioni per cui cerco maggiore soddisfazione; quindi, questi momenti li ritengo nella chiarezza. Poi, casualmente, ritrovo un oggetto appartenuto a una persona cara cui avevo promesso di realizzarmi professionalmente. Ecco che riesumo una nuova salienza ritentiva, che evidentemente era sprofondata nella coscienza: mi ero dimenticato di questa promessa eppure, del tutto latentemente, essa continuava a caricare motivazionalmente il mio tema di coscienza. Per questa ragione il tempo, in quanto modo della coscienza trascendentale, è direttamente implicato nello sviluppo della persona. 

Sotto un certo punto di vista, M. Heidegger ha ragione a intrecciare l’essere dell’umano alla temporalità: l’autenticità dell’esistenza, quella per cui ne va di me stesso, dipende dalla temporalità – da cui, Essere e tempo (1927). E dunque dal progetto: perché io mi realizzi in quanto me stesso devo trascendermi nell’orizzonte della possibilità, quindi nel futuro. Il grosso scotto teoretico che Heidegger paga, però, è quello di mutare la sede di studio dallo psicologismo trascendentale della fenomenologia a un’ontologia formale poggiata sull’esistenzialismo – quella che lui chiama analitica esistenziale. Così, ogni guadagno eventualmente fenomenologico viene ricontestualizzato in ottica formale: lo svelamento dell’essere dall’in-essere e dal Ci costitutivo dell’Esserci diventa di primo ordine rispetto allo studio trascendentale dei modi della coscienza. 

Una buona fenomenologia della persona, invece, tiene conto della temporalità trascendentale della coscienza poiché il suo funzionamento è duplice: non solo opera per la riorganizzazione ordinata del flusso di vissuti intenzionali ma, con questo, è implicata nel processo di individuazione personale che, come tale, è necessariamente tematico. 

  1. Il dilemma del tempo personale 

Considerando il diagramma del tempo, l’orizzonte tematico comporta alcune conseguenze in fenomenologia della persona. Anzitutto: se essere una persona significa avere un’unitarietà stilistica o una sorta di cifra caratteriale costante negli eventi dell’esistenza, quindi nelle protenzioni, bisogna necessariamente ammettere che, almeno in parte, l’individuazione personale segue processi latenti di sintesi intenzionale. Se questo non stupisce in fenomenologia22, sorprende invece ammettere che, stando così le cose, anche la stessa unitarietà caratterologica poggia su una base oscura. Infatti, la stessa cifra personale che mi individua come la persona di me stesso si costruisce su vissuti sprofondati ma edificanti la mia personalità. 

E quindi la domanda che dovremmo fenomenologicamente porre è: so davvero chi sono? Se è vero che “La persona si forma attraverso l’«esperienza»”23, laddove l’esperienza è qui intesa nel senso fenomenologico di immagazzinamento di vissuti, è tuttavia anche vero che “Tutto ciò che una persona vive […] può ripresentarsi oscuramente o chiaramente nella memoria, produrre nell’io certe affezioni, motivare certe azioni”24. Nell’impianto fenomenologico l’oscurità è invero un presupposto di metodo: già dalle Ricerche logiche Husserl rileva come l’intenzionalità della coscienza attenzioni solo una parte degli oggetti adombrandone un’altra25; di fatti il metodo riduttivo-trascendentale, fondato sull’ideazione o il vedere eidetico (Wesenserschauung), è un sistema di graduale chiarificazione di ciò che è inizialmente oscuro26. Ora: dobbiamo chiederci se si possa effettivamente chiarificare la persona. 

La posta in gioco è fenomenologicamente più alta di quanto possa sembrare: se da una parte è possibile ridurre eideticamente la persona ai suoi elementi primi – le mie proprietà di carattere, dall’altra sarebbe sbagliato ammettere che quella riduzione colga le salienze qualitative che mi individuano una volta per tutte come la persona di me stesso. Questo perché lo studio riduttivo isola ai fattori primi rispetto a quel momento del decorso di coscienza, e non tiene naturalmente conto delle possibilità di modificazione dovute, per esempio, a un successivo cambiamento di tema27. Come fenomenologo, posso individuare la struttura eidetica di una certa personalità ma solo in un certo segmento del suo flusso di coscienza; in altri termini: posso rendere conto di chi io sia in questo momento, isolando eideticamente le strutture caratterologiche che orientano il mio agire, ma al contempo questo isolamento è circoscritto a questo momento e, quindi, non coglie la mia personalità nella sua determinatezza. Questo non solo circa il futuro, ma probabilmente anche rispetto al passato: se il cambiamento di temi produce una modificazione strutturale delle salienze affettive motivanti, la personalità non è certo una linea retta ma assomiglia più a un frattale che ridisegna la forma del suo mondo. La riduzione trascendentale può cogliere eideticamente le cifre caratterologiche che motivano il tema del mio attuale decorso di coscienza, ma sarebbe irragionevole credere che, rispetto a un tema del passato, c’erano le stesse proprietà di carattere a individuare le mie motivazioni personali. In questo modo la stessa identità personale si frattura, diventando possibile oggetto di studio solo di una scienza che ragiona per segmenti. 

Sono questi i motivi che spingono Sartre, ne L’essere e il nulla (1943), a considerare l’umano come eideticamente scisso in un in-sé e un per-sé: da un lato mi riconosco come me stesso (in-sé), dall’altro mi trascendo al mondo (per-sé) perché quello che sono non mi individua come la persona di me stesso. Al netto dei suoi sviluppi, l’indagine sartriana mette a fuoco qualcosa di importante: il metodo riduttivo-eidetico coglie le strutture fondamentali dei fenomeni ma non la specificità eidetica della personalità. 

Probabilmente Husserl lo aveva già intuito asserendo che poiché la coscienza è un flusso continuo, “una fissazione concettualmente esatta di qualsiasi concretum eidetico […] è interamente fuori questione”28. Ogni riduzione eidetica avviene trattenendo il vissuto nel flusso di coscienza, ma cosa accade quando a dover essere ridotta è la personalità? Posso certo isolarne le proprietà di carattere, ma quella riduzione è sempre riferita a un momento dello sviluppo personale di coscienza, per cui ciò che individuo eideticamente non è la persona che sono ma la persona che sto diventando. Come fenomenologi dovremmo domandarci se questo basta nello studio della persona, anche e soprattutto perché il rischio è di non pervenire mai alla descrizione dell’oggetto di studio, che nel caso della fenomenologia della persona è proprio la persona. 

Inoltre, il diagramma del tempo rileva ancora altro: anche nella riduzione rispetto a un momento del decorso di coscienza, ci sono elementi sprofondati che motivano all’agire allo stesso modo di quelli chiaramente espliciti; e non è detto che queste sedimentazioni siano notate dal metodo riduttivo-eidetico: trattandosi di sedimentazioni che animano latentemente le intenzioni, è incerto che emerga la loro presenza. In altri termini, la persona rischia di diventare un cumulo di segreti: possiamo studiare le strutture trascendentali che animano la personalità, ma la persona stessa sembra nascondersi alla scienza. 

In conclusione il soggetto personale è un dilemma e, nella fattispecie, un dilemma temporale: ogni vissuto intenzionale ha una ripercussione nel percorso di individuazione, anche a livello latente o subliminale. In questo modo i miei progetti e sogni sono istituiti non solo su motivazioni esplicite ma anche su quelle implicite o subliminali, che sprofondano negli strati della mia coscienza. Ora come ora quello del tempo rimane uno dei problemi più importanti della filosofia che, in sede fenomenologica, riguarda non solo il modo organizzativo dei vissuti intenzionali per la coscienza trascendentale ma, di più, il processo di individuazione personale. 

_________________

[1] Cfr. S. Santamato, Phenomenological Turn. Introduzione alla fenomenologia della persona, in Mimesis Scenari, 11 Giugno 2024. URL: https://www.mimesis-scenari.it/2024/06/11/phenomenological-turn-introduzione-alla-fenomenologia-della-persona/ (ultimo accesso: 17 Settembre 2024).

[2] Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro I, tr. it. di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, pp. 74 sgg.

[3] Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco Angeli, Milano 1998, pp. 64 sgg.

[4] Cfr. ibid.

[5] Cfr. ivi, p. 65.

[6] Ibid.

[7]  Cfr. ibid.

[8]  E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 85.

[9] In questa istanza non possiamo approfondire ulteriormente la questione, ma è evidente come queste argomentazioni aprano la fenomenologia a uno spiccato interesse per la psicoanalisi e l’inconscio. Dal canto suo, Husserl si è dimostrato costantemente interessato nei confronti di un’attività inconscia – o quantomeno inintenzionale – della coscienza (cfr. id., Ricerche logiche, a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 2015, pp. 503-504) ma il problema di un vero e proprio inconscio è ai margini dell’analitica fenomenologica. Ultimamente la questione è stata specialmente affrontata in V. Costa, Margini del trascendentale. Questioni metafisiche nella fenomenologia di Husserl, Morcelliana, Brescia 2024, al quale rimandiamo.

[10]  Cfr. id., Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro I, cit., p. 76.

[11] Ivi, p. 202.

[12] Ivi, p. 204.

[13]  Ivi, vol. II, Libro II, cit., p. 139.

[14] Cfr. ivi, pp. 116 sgg.

[15] Ivi, p. 120.

[16] Cfr. ivi, p. 250.

[17] Cfr. ivi, pp. 233 sgg.

[18] Cfr. ivi, pp. 113 sgg.

[19] Ivi, p. 269.

[20] Ivi, p. 275.

[21] Ivi, pp. 275-276.

[22] Lo stesso Husserl affronta il problema dei processi di unificazione sintetica passivi, dove l’organizzazione unitaria delle intenzioni avviene implicitamente. Cfr. id., Lezioni sulla sintesi passiva, tr. it. di V. Costa, Morcelliana, Brescia 2023.

[23] Id., Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. II, Libro II, cit., p. 270.

[24] Ibid., corsivi miei.

[25] Malgrado questo, bisogna precisare che l’adombramento non peggiora in alcun modo la qualità della conoscenza che deriva, in quanto, pure nel suo adombramento, per la parte considerata, l’oggetto intenzionato è dato interamente e chiaramente. Cfr. id., Ricerche logiche, cit., p. 635.

[26] Cfr. id., Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro I, cit., pp. 162 sgg.

[27] Cfr. ivi, pp. 304 sgg.

[28] Ivi, p. 178.


Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139