Non lavorate mai! Berlusconi o il ’68 realizzato

E se Berlusconi avesse incarnato la realizzazione degli ideali che hanno caratterizzato il ’68? A un anno dalla sua scomparsa, proponiamo un estratto di Berlusconi o il ’68 realizzato, il pamphlet provocatorio di Mario Perniola dedicato alla figura che forse più di tutte le altre ha personificato le trasformazioni della vita politica, della cultura, dei costumi e della vita sociale in Italia.

Sebbene Berlusconi sia stato lungo tutta la sua vita un lavoratore instancabile, egli ha consentito alla maggior parte dei giovani di realizzare la famosa ingiunzione di Guy Debord (1931-1994) Ne travaillez jamais! (Non lavorate mai!). L’ironia sta nel fatto che ora i giovani vogliono lavorare, anche a condizioni indecenti e vergognose, incredibilmente più alienanti e squalificate di quelle che erano loro offerte negli anni Sessanta e Settanta: allora una vita piccolo-borghese era più o meno garantita a tutti, oggi essa è un sogno irraggiungibile per quanti non hanno alle spalle una famiglia che li aiuti. È come se Berlusconi avesse monopolizzato nella sua persona tutto il lavoro, e lasciato agli altri solo il gioco.

Ma l’attività instancabile di un imprenditore abile e spregiudicato può essere considerata un lavoro? Questa attività suscita odio e invidia, ma anche ammirazione e stima in coloro che non hanno neanche un briciolo della sua stamina (bella parola inglese che vuol dire energia, vigore, perseveranza, fermezza). Viene dal latino stamen, la parte più resistente del filo di lana, ma anche il filo della vita umana governato dalle Parche. Stamen vuol dire anche trama, ordito, intreccio. E qui il lettore malizioso potrebbe sospettare che il lavoro di Berlusconi sia consistito soprattutto nell’ordire trame, intrighi, reti.

Eppure il lavoro nell’epoca della new economy, di internet, dei social networks, del terzo spirito del capitalismo non consiste proprio in questo? Nell’accumulo di un capitale sociale, prima che monetario? Com’è noto, nel mondo delle reti gli individui sono sempre meno importanti delle relazioni che li legano: nell’analisi delle reti sociali, i legami interrelazionali tra gli attori sono primari e i loro attributi sono secondari. Si possono studiare le reti senza fare riferimento agli individui in esse impegnati. Questa è forse una delle ragioni per cui non riesco a ricordare il nome di Berlusconi. Rimuovo tutto quello che è in lui personale, spettacolare, farsesco, umorale, antropologico, particolaristico, cabarettistico, in inglese si dice idiosyncratic: non sento le sue invettive, le sue battute, le sue barzellette, non vedo i suoi comportamenti sconvenienti, le spiritosaggini che mandano in solluchero i suoi amici e i suoi detrattori, non mi interessano i tratti folcloristici, gli scandali, le indecenze.

Tutto questo è la corazza dietro cui Berlusconi si protegge, stornando l’attenzione di un popolo intontito dalle sue performance dal nocciolo duro del suo modo di essere, che è invece astratto e impersonale come il denaro. In altre parole, se Berlusconi è da quasi vent’anni, il protagonista della politica italiana non è solo per gli spettacoli che offre: se fosse così, bisognerebbe concludere che il popolo italiano è un popolo di cretini! Gli spettacoli servono a riempire i fogli dei giornali, i programmi televisivi, le chiacchiere della gente, le pagine di internet. Dietro il commediante, il piazzista, il venditore di fumo, c’è qualcosa di anonimo, di neutro, direi quasi di filosofico, che costituisce l’essenza del capitalismo finanziario, il quale non è fondato sul lavoro, ma sul gioco. Questa parola non va intesa come sinonimo di ricreazione e nemmeno di azzardo, ma nell’accezione che ha nell’opera del filosofo tedesco Hans Georg Gadamer (1900-2002): per lui il gioco è un’entità impersonale che impone le proprie regole a coloro che vi partecipano. Esso assorbe in sé il giocatore e lo libera dall’obbligo dell’iniziativa meramente soggettiva. Tuttavia anche nel gioco bisogna decidere tra varie opzioni. Berlusconi ha finora fatto quelle vincenti. Perciò l’insegnamento di Berlusconi è lo stesso di quello di Debord: non lavorate mai! Create delle reti globali; il contenuto non ha importanza, i vostri desideri men che mai!

Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis, 2023, 112 pp., 8€

Anche questa mattina al risveglio, non riuscivo a ricordarmi il nome della persona che è l’argomento di questo libretto. Ho pensato che dovevo partire da coloro che conosco personalmente. È nata una nuova catena associativa: Benvenuto, Berardi, Berardinelli, Beretta Anguissola, Berlinguer (questo non lo conosco, ma è venuto spontaneamente, perché è un cognome spesso ripetuto in passato, anche nelle piazze) e infine finalmente Berlusconi! In francese “rete” si dice brigue, dall’italiano briga, che vuol dire lotta, ma anche intrigo. Parola squalificata: si pensi alle brigues dei gesuiti, dei massoni, degli omosessuali, degli ebrei ritenuti in passato tutti colpevoli di trame oscure. E qui viene il bello: perché oggi le brigues più importanti sono quelle delle mafie. Lo spirito connessionista del capitalismo finanziario s’incontra con quello altrettanto connessionista delle bande criminali. Qual è la differenza?

Per i sociologi Luc Boltanski ed Ève Chiapello il capitalismo connessionista è differente dalla mafia, perché aspira alla legittimità. Esso contiene in se stesso, non diversamente dalle due forme precedenti di capitalismo, elementi di autocritica e di autocorrezione, individuabili, a loro avviso, soprattutto nel bisogno di fiducia e di reciprocità che soli consentono l’espansione e lo sviluppo delle reti. Qui cade appunto la differenza tra mailleur e faiseur, cioè tra l’individuo intraprendente e il faccendiere: solo il primo può aspirare alla grandezza, mentre il secondo facendo un uso opportunista e cinico delle relazioni, finisce col muoversi secondo una logica soggettiva che è differente da quella della rete. Ora, Berlusconi è un mailleur o un faiseur?

Certo è che a un’economia e a un’etica fondate sul lavoro succedono un’economia ed un’etica fondate sulle relazioni sociali con gente d’ogni specie. Le qualità richieste sono l’adattabiità, la flessibilità, la polivalenza; queste immergono in un turbine di rapporti e di connessioni di cui per lo più non si sa che aspetto finirà con l’assumere. Ciò implica una personalizzazione molto accentuata del lavoro e una difficoltà di delega: l’attività è inseparabile dalla persona che la svolge. Questo aspetto è in contraddizione con l’impersonalità del gioco. Perciò da questo punto di vista Berlusconi sembra insostituibile, anche se per me è così difficile ricordare il suo nome.


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