Ideologia e pensiero critico

Il postmoderno è stato probabilmente il movimento filosofico più influente della seconda metà del Novecento. L’etichetta comprende molte cose insieme, ma tutte hanno in comune una forma di  relativismo cognitivo che mette in discussione qualsiasi concetto di verità e ogni possibile corrispondenza tra le teorie e la realtà. Questa forma di relativismo, sintetizzata in uno slogan famoso, secondo il quale “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, non è rimasta circoscritta alle aule universitarie ma si è diffusa, come un virus si potrebbe dire, nel discorso pubblico.
Tra le sue principali conseguenze, il discredito che ne è derivato per una pratica del pensiero critico che, sino all’avvento del postmodernismo, risultava quasi obbligata: la critica dell’ideologia.

L’analisi della “coscienza oggettivamente necessaria e tuttavia falsa”, come un grande filosofo tedesco, Theodor W. Adorno, definiva il pensiero critico, è caduta da tempo in discredito. Le reticenze e le esitazioni che hanno spinto molti intellettuali a lasciar cadere questo genere di analisi non si spiegano, tuttavia, soltanto con la diffusione del postmodernismo.
La definizione di Adorno sembra infatti portare a concludere che, da un lato, gli individui non sono in grado di agire nel proprio interesse razionale e, dall’altro, che esiste qualcuno che dispone di un accesso epistemologicamente privilegiato a quel sapere che è invece loro precluso. È come se, in altre parole, il filosofo o lo scienziato sociale fossero in condizione di conoscere gli interessi razionali degli individui meglio degli stessi diretti interessati.

Ciononostante, la ripresa di un pensiero critico impostato in chiave di critica dell’ideologia ha sperimentato negli ultimi anni una sorta di rinascita. Non certo per caso: la condizione di erosione generalizzata dell’autorità scientifica, in cui si diffondono lo scetticismo e la sfiducia rispetto alla figura dell’esperto e dell’intellettuale, in cui si moltiplicano le tesi complottiste, le fake news e le “verità alternative” rappresenta una minaccia piuttosto grave per la democrazia. E anche perché il limite incorporato nel concetto tradizionale di critica dell’ideologia, ovvero l’autoritarismo epistemologico, non è di per sé tale da impedire di assumere una chiara presa di posizione riguardo a fenomeni e tendenze rivelatori del “disagio” della democrazia. Prendere posizione significa in questo caso riconoscere che la coesistenza tollerante delle sfumature non preclude la possibilità di distinguere tra verità e menzogna o tra teoria e ideologia. Tanto più, come scriveva Adorno, che il falso, una volta che è definitivamente conosciuto ed espresso con precisione, è già un’indicazione di ciò che è giusto e migliore.

Oltretutto, non è affatto scontato che il discorso dell’ideologia implichi un rapporto strutturalmente asimmetrico tra la posizione di chi incarna il pensiero critico e quella dei diretti interessati, vittime inevitabilmente passive dell’accecamento prodotto dalla falsa coscienza. Il discorso potrebbe infatti essere rovesciato, nel senso che distinguere tra vero e falso non significa necessariamente esprimere una qualche forma di mancanza di rispetto per chi coltiva una fede acritica nei “fatti alternativi” oppure proporre una sorta di appello epistocratico alla verità, autoritario in quanto elitario o comunque asimmetrico. Al contrario, è quando si ritiene che le convinzioni altrui siano prive di ogni riscontro che il fatto di impegnarsi a confutarle o smentirle rappresenta il modo migliore per testimoniare il rispetto che si deve a chiunque in quanto capace, almeno potenzialmente, di fare uso pubblico della ragione in condizioni di eguale libertà.

Oggi è necessario più che mai poter disporre di criteri per discernere fra le diverse posizioni discorsive. Criteri che siano tali da implicare un punto di vista critico con cui mettere in relazione prospettive concorrenti o persino alternative. L’accesso a questa “prospettiva sulle prospettive” non impone di lasciarsi alle spalle la dimensione (auto)riflessiva circa il fondamento della propria validità e può essere acquisito senza assumere un punto di vista epistemologicamente prominente o normativamente superiore, ma richiede di esporsi senza riserve al confronto pubblico e argomentativo. Si tratta di una posizione che non assume il criterio della critica al di fuori dello stato di cose o dell’oggetto dell’analisi e neppure quello all’interno dell’oggetto stesso, ma si colloca in un contesto in grado di valorizzare l’esperienza e il confronto, in cui ciò che risulta maggiormente plausibile viene messo alla prova secondo procedure che non sono di corrispondenza alla realtà, ma di adeguatezza e opportunità, pertinenza e plausibilità.

Il punto essenziale è che la critica dell’ideologia avanza una pretesa di verità che fa ricorso al potenziale razionale delle norme incorporate nelle pratiche sociali. E questo perché ogni ideologia contiene un nocciolo di verità, che può essere portato alla luce e reso oggetto di chiarificazione razionale senza, ovviamente, che sia possibile disporre di alcuna garanzia preventiva: esistono processi di soluzione razionale che hanno successo, altri che invece falliscono quando la manipolazione, distorsione e alterazione dei fatti è strategicamente finalizzata a un qualche vantaggio. Ma l’ideologia che deriva dai processi di autoaccecamento caratterizzati da blocchi sistematici dei problemi non è mai semplicemente falsa – è anche, per citare ancora una volta la formula di Adorno, “oggettivamente necessaria”. Un’ideologia è falsa e vera allo stesso tempo. Ma la sua verità non è di tipo epistemologico, nel senso che il suo contenuto possa essere tale da fornire conoscenze dotate dell’intrinseca possibilità di diventare problematiche, cioè di misurarsi con pretese di validità criticabili.
La sua verità è piuttosto di tipo indiretto, psicologico ed emotivo, è lo specchio deformato di un mondo in cui la centralità di umori e sentimenti pre ed extra-razionali dà corpo alla convinzione che il reale sia manipolabile a piacimento o che possa essere liberamente creato nelle echo chambers dove la verità di ciascuno, suffragata dalla realtà della sua esperienza e delle sue emozioni, si sottrae al confronto pubblico e pretende di affermarsi come valida rendendosi indisponibile a ogni negoziazione.


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