Qualche settimana fa mi sono occupata qui della diversa “efficacia simbolica” (mi si conceda l’uso dell’espressione) di due parchi a tema fondati sul made in Italy, nel tentativo di meglio identificare quel senso di “inopportunità” che provavo di fronte all’apertura di Cinecittà World nel quadro del cinema, e dell’Italia, contemporanei. Quel percorso avrebbe avuto in origine una terza tappa: Venezia o, meglio, Veniceland, come è stato battezzato sulla stampa il progetto di trasformare l’isola di S. Biagio, per anni adibita a discarica, in un polo di divertimento, con giostre, riproduzioni ambientali e ricostruzioni storiche, installazioni immersive di carattere ludico e/o didattico. Per avviare i lavori preliminari alla costruzione del polo, l’area, di proprietà demaniale, è stata data in concessione, per quattro anni, all’imprenditore Alberto Zamperla.
Domenica 2 novembre Rai 1 ha trasmesso il nuovo documentario di Andreas Pichler, Europe for Sale, in una versione un po’ compressa (da 72’ a 52’) per rientrare nel format di Speciale TG1. Il documentario (qui il trailer) percorre sette paesi europei (Austria, Irlanda, Francia, Germania, Spagna, Grecia e Italia) per raccontare, negli anni della crisi economica e della finanza, i recenti e trasversali tentativi di alienazione dei beni pubblici (dalle montagne ai monumenti, dalle foreste alle isole), che vengono resi disponibili a svariate forme di privatizzazione, senza curarsi della loro natura e funzione “comunitaria”.
Questi fenomeni sono centrali anche nell’ultimo libro di Salvatore Settis (non a caso intervistato da Pichler in Europe for Sale), Se Venezia muore, che li introduce nel capitolo significativamente intitolato “Quanto vale Venezia”. E a Venezia era già stato nel 2012 anche Pichler prima di attraversare l’Europa in (s)vendita, per raccontare la “sindrome” della città lagunare e del suo ecosistema nel documentario Teorema Venezia – The Venice Syndrome il titolo internazionale.
“Venezia muore” di una malattia che si presenta nella laguna in una forma vistosa e acuta, ma che è più diffusa e radicata: l’incapacità di vedere il nesso inscindibile tra patrimonio materiale e patrimonio immateriale, e il ruolo essenziale di tale nesso nei processi identitari e della memoria. Come causa ed effetto, al contempo, di tale miopia, la monocultura turistica che vede nella monetarizzazione l’unica strategia di valorizzazione, e concepisce Venezia, l’Italia, l’Europa, come un “gigantesco supermarket immobiliare” (Settis p. 45).
Patrimonio culturale, identità e memoria, capitale simbolico e capitale civico, beni comuni e visione neoliberista: da una rete di relazioni che si dà chiaramente a vedere nasce questo articolo, e si sviluppa il nostro dialogo con Andreas.
D: Hai definito Europe for Sale un “seguito ideale” di Teorema Venezia, di cui già dicevi: “Venezia mi sembra un simbolo dei cambiamenti in corso nelle nostre città”. Nel suo ultimo libro, Se Venezia muore, Salvatore Settis individua in Venezia il luogo simbolico di una sfida epocale, quella del nostro “diritto alla città”. Che mi sembra un concetto bellissimo perché riassume in sé il legame tra patrimonio culturale e identità, tra monumenti valori e stili di vita, e implica (parafraso Settis) la priorità del bene comune e della funzione sociale della proprietà. Tu hai incontrato Settis durante le riprese di Europe for Sale. Avete parlato anche di Venezia? Cosa ne pensi della sua idea di “diritto alla città”?
R: Devo dire che di Venezia abbiamo parlato poco, forse anche perché il suo libro non era ancora uscito allora. Invece abbiamo parlato molto della storia del concetto di bene culturale e dei rischi che una totale mercificazione dei beni culturali comporta per il nostro senso di appartenenza a una comunità, e quindi dell’importanza dei beni culturali nella costituzione di un’identità collettiva e una memoria collettiva. È in questo senso di identità civile che secondo me va letta la sua idea di diritto alla città. E abbiamo parlato anche del “diritto al bello”: a Settis piace citare uno statuto medievale di Siena [Costituto di Siena, 1309, nda], per dire che il bene comune non ha solo una funzione utilitaria.
D: In Europe for Sale però l’Italia non compare attraverso Venezia, bensì attraverso il caso del restauro del Colosseo a Roma. Si è trattato di un’“esclusione” deliberata o di una scelta maturata durante la lavorazione? Più in generale, come sono stati scelti i sette diversi casi approfonditi, e come avete organizzato le ricerche preliminari?
R: È stato un grosso lavoro trovare le storie giuste nei paesi che ci interessavano di più. Per me era importante che nei tempi di produzione del film accadesse qualcosa, in una determinata situazione o storia. Per questa ragione la scelta, in Italia, è caduta sul Colosseo a Roma. Perché allora le paure e i dibattiti, di fronte al fatto che un privato dovesse sponsorizzare in maniera così massiccia il restauro del monumento forse più iconografico d´Italia, erano in pieno corso. Pur riconoscendo che alla fin fine l´operazione di Della Valle è stata molto corretta e pulita, mi pare si resti con un dato di fatto assurdo: che uno stato – la nona potenza economica del mondo – che dalla sua storia ha creato la sua identità nazionale, e in cui la storia costituisce una delle maggiori fonti di introito economico (turismo), non sia in grado di finanziare una delle icone globali di questa sua stessa storia.
Ecco, un altro dei criteri nella scelta dei casi era che riguardassero luoghi oppure elementi architettonici simbolici o iconografici, importanti per l’identità collettiva del paese: le montagne in Austria, i boschi in Irlanda, i palazzi settecenteschi in Francia, le isole in Grecia, ecc.
D: Nella versione ridotta trasmessa da Rai 1 non abbiamo potuto vederli tutti, e in particolare non abbiamo visto il caso di Parc Güell a Barcellona. Vuoi dirne qualcosa?
R: La storia di Parc Güell non è molto particolare ma emblematica; è la tipica storia di uno spazio urbano pubblico, un luogo di uso popolare, che a causa del turismo crescente a un certo punto viene chiuso al pubblico, e diventa accessibile solo a pagamento. Perciò, diventa uno spazio praticamente solo turistico. C’è stata molta contestazione in città per questo provvedimento, perché a Barcellona il turismo di massa ha preso piede da alcuni anni in maniera massiccia e i cittadini si sentono sempre di più defraudati di alcune zone della città, come le Ramblas o il quartiere gotico, ormai in mano all’industria del turismo di massa. Insomma, una sorta di lenta “venezianizzazione” della città.
D: In Teorema Venezia il ruolo di “mediazione” di una serie di figure (persone o “personaggi”, se vogliamo sottolineare la costruzione/narrazione delle loro identità che opera il documentario) era fondamentale: fungevano da “soglie”, chiavi di accesso, sguardi e punti di vista sulle condizioni della città. Possiamo dire lo stesso di alcuni “personaggi” di Europe for Sale? Come siete entrati in contatto con loro, e quanto sono stati importanti nella scelta di approfondire alcuni casi piuttosto che altri?
R: In Teorema Venezia le figure o i personaggi per me erano davvero essenziali per raccontare lo stato e l´anima della città. Era un progetto per il cinema sin dall’inizio. Europe for Sale è un progetto più televisivo, per cui anche con tempi di produzione più stretti. Quindi Europe for Sale è più apertamente tematico come film. Sono sempre partito prima di tutto da singole situazioni o casi. Poi abbiamo cercato di trovare delle figure che fungessero un po’ da guide, insieme ai diversi specialisti che intervengono. Avevo un team di collaboratori nei vari paesi che si sono occupati di trovarli. Solo in pochi casi li ho conosciuti personalmente prima delle riprese.
D: Che impressione hai avuto rispetto a sette casi diversi in sette diversi paesi europei: c’è una rete internazionale di persone e forme associative che operano congiuntamente nel rivendicare ed esercitare (riprendo ancora Settis) il loro “diritto alla città”? Esiste una coscienza europea dei beni comuni, e quanto è importante affrontare la questione in un’ottica transnazionale?
R: Purtroppo questa rete non esiste. Sono singoli casi e singole storie, in cui la gente si ribella o contesta. Ma la cosa per me molto bella e sorprendente è stato vedere come questo senso di avere un “ diritto alla città” sia molto comune tra persone e paesi molto lontani tra loro. Insomma, una stessa cultura e uno stesso sentimento del bene comune e una simile voglia di cambiare la politica nei processi decisionali.
D: Hai detto che Europe for Sale è più giornalistico di Teorema Venezia. Io ho notato che in Teorema Venezia il commento verbale viene affidato a poche, lapidarie didascalie, che si danno come “oggettive”. Invece, Europe for Sale è costantemente accompagnato dalla tua voce “narrante”, che parla in prima persona ed esprime (rivendica) una forte soggettività. Mi è parsa una scelta molto rilevante. In che senso, dunque, più “giornalistico”…?
R: Più giornalistico nel senso che il film è portato avanti più attraverso il tema che attraverso i personaggi. Poi ci sono gli interventi degli specialisti, la narrazione fornisce molti dati, ecc. C’è meno il sentimento personale delle persone, o personaggi. La scelta di farlo poi con una narrazione in prima persona e non una voce “oggettiva” sottolinea comunque il fatto che alla fine è un viaggio personale, e la scelta dei casi e delle storie è parziale.
D: Si dice che oggi sia un periodo fortunato per il documentario, persino in Italia. Ma resta il fatto che produrre è un processo sempre più complicato e laborioso. Come è stato prodotto Europe for Sale? E che circolazione avrà in Italia e in Europa?
R: Sì, c´è questa voglia finalmente anche in Italia, di voler vedere la realtà e non più solo soap opera. La televisione fa vedere più lavori documentari, ma il problema è che vogliono pagare sempre di meno in tutto il mondo. Per cui bisogna trovare sempre più fonti per realizzare un progetto. Europe for Sale è una coproduzione italo-francese. Con finanziamenti sia dalla Francia (ARTE) che dall´Italia (RAI CINEMA), e con altri fondi come il MEDIA.
D: Europe for Sale è il seguito di Teorema Venezia, dicevamo. Hai già in cantiere anche un “seguito” di Europe for Sale…?
R: Restando sui temi qui discussi, vorrei realizzare un lavoro su cosa potrebbe essere lo stato 2.0, cioè una visione dello stato “reloaded”. Dopo anni di critiche allo stato, e il suo conseguente e progressivo “ritiro” (o abbandono, quasi), vorrei far veder attraverso esempi da tutto il mondo (USA, China, Brasile, Finlandia ecc.) che lo stato può e deve essere un agente attivo nello sviluppo sociale ed economico, e che questo ruolo è più necessario che mai. Perché le grandi sfide del presente e del futuro le può risolvere solo uno stato coraggioso e sicuro di sé, e in un certo senso “imprenditore”. Solo uno stato così concepito può investire in processi di cambiamento che durano dieci o vent’anni, nessun privato lo fa.
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