L’Italia deve molto ad Angelo Del Boca, che si è spento all’età di 96 anni il 6 luglio scorso, al termine di una vita quasi interamente dedicata alla ricerca storiografica sul colonialismo italiano, nella quale si è distinto come pioniere e si è imposto come imprescindibile e prezioso punto di riferimento per tutti coloro che – storici professionisti, ricercatori accademici o semplici studiosi – si occupano delle vicende coloniali italiane, in Libia e nel Corno d’Africa, dagli ultimi decenni del secolo XIX alla fine del secondo conflitto mondiale.
Era il 1965 quando Angelo Del Boca, in un contesto politico internazionale di grande attenzione e sostegno per i processi di decolonizzazione in atto in tutto il mondo, pubblicava il suo primo lavoro sistematico sulla seconda guerra italiana in Abissinia[1], che avviava al tramonto un periodo di studi e scritti coloniali, lungo più di vent’anni, durante il quale il ricordo del colonialismo italiano – e in particolare di quello fascista – era stato o silenziato e rimosso o edulcorato, attraverso l’autoritratto nazionale degli “italiani brava gente”, che cominciò ad essere elaborato e tratteggiato già dal momento in cui, nel 1941, gli italiani di Mussolini furono cacciati dall’A.O.I per mano degli inglesi.
Come fa notare Nicola Labanca, affinché il ricordo di un evento storico si fissi nella memoria collettiva di un popolo occorre un contesto complessivo e generale che lo contenga, un “macro-ricordo (una categoria, una cornice) entro cui poter inserire quello specifico oggetto”[2]. Nel caso italiano della guerra in Abissinia, una prima “cornice” di riferimento fu il fascismo stesso, dal 1936 fino alla sua caduta, che la guerra l’aveva voluta e combattuta, ma dopo il 1945 essa risultò del tutto inutilizzabile, eccezion fatta – ovviamente – per i nostalgici più o meno dichiarati. A ciò si aggiunga che la guerra africana rimase schiacciata, finendo per essere ridimensionata, dalla memoria di altri avvenimenti decisamente più importanti per il paese, come la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza e la Liberazione, il passaggio alla Repubblica. Ricordi, questi, che molto meglio si prestavano a essere assimilati da una nazione ora non più fascista, repubblicana e democratica, rispetto a una guerra fascista, imperialista e razzista.
Pertanto, nel ventennio successivo alla fine dell’impero africano, la memoria di esso rimase prerogativa quasi esclusiva della memorialistica mistificante di reduci e nostalgici, che corroborò l’immagine del buon colono italiano, cancellando e negando le innumerevoli pagine nere e tragiche della storia della presenza italiana in Africa.
Nel 1952 poi, il governo italiano affidava “l’opera di documentazione e di valutazione dell’attività coloniale italiana a un gruppo di ventiquattro personalità che risultavano essere, con un’unica eccezione, ex governatori e funzionari coloniali o ‘africanisti’ di indiscussa fede colonialista. Il Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa produsse negli anni un’opera monumentale, 40 volumi dal titolo L’Italia in Africa, sostanzialmente agiografica e omissiva, che nell’Italia repubblicana avrebbe segnato pesantemente la trasmissione del sapere sulla vicenda coloniale”[3].
Si trattò di un lavoro “a tesi” in vista di uno scopo preciso: costruire la narrazione di un colonialismo italiano umanitario e mite al fine di legittimare la richiesta italiana di amministrazione fiduciaria delle ex colonie, che non a caso fu limitata solo a quelle prefasciste, volendo così “nascondere sotto il tappeto la polvere” della guerra d’aggressione mussoliniana e dei suoi crimini. Concause di questo atteggiamento omertoso furono, tra le altre, l’incapacità e l’indisponibilità della Repubblica a fare i conti col passato fascista, la mancata epurazione e defascistizzazione del paese e dell’apparato burocratico, militare e ministeriale e il conseguimento dell’amministrazione fiduciaria della Somalia fino al 1960.
Si comprende allora perché La guerra d’Abissinia 1935-1941 di Del Boca, che affrontava lo studio della guerra fascista per la conquista dell’impero al netto delle omissioni e delle ideologiche distorsioni della memorialistica colonialista, abbia rappresentato una svolta epocale nella storiografia del colonialismo italiano, che di fatto muoveva allora i suoi primi passi, presto seguiti dai lavori di altri storici e studiosi, primo fra tutti Giorgio Rochat, che da un lato produssero un primo intenso dibattito, anche pubblico, su questi temi, ma dall’altro non furono in grado di scalfire più di tanto l’inossidabile mito riduzionistico ed autoassolutorio degli “italiani brava gente”, che connotò la lettura più diffusa del passato coloniale italiano nel periodo che va dalla metà degli anni Sessanta ai primi anni Novanta.
Da quel momento in poi il lavoro di continua ricerca di Del Boca ha prodotto numerosissimi articoli, saggi e ponderosi volumi che costituiscono delle pietre miliari della storiografia coloniale, quali i quattro volumi di Gli italiani in Africa orientale [4](1976-1984) e i due di Gli italiani in Libia[5] (1986). Senza pretendere di ripercorrere o riassumere le innumerevoli pagine scritte da Del Boca, è su due libri in particolare che intendo soffermarmi per ribadire l’importanza della sua opera sia nell’ambito della ricerca e degli studi storiografici sia sul piano del dibattito pubblico.
Nel 1996 usciva la prima edizione del volume I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia[6], che da un lato era il risultato di una ricerca trentennale sui crimini compiuti dalle truppe e dalle autorità di occupazione italiane in Etiopia e dall’altro dava conto dell’aspra disputa[7] sostenuta da Del Boca, nel corso dell’anno precedente, con il principale critico e detrattore dei sui scritti sul colonialismo italiano: Indro Montanelli. Si trattava dell’atto culminante di un confronto che andava avanti da decenni e che al giornalista e storico Angelo del Boca, che, sulla scorta di rigorose ricerche storiografiche, denunciava l’impiego dei gas nella campagna d’Abissinia, gli eccidi conseguenti alle azioni di polizia coloniale e le norme razziste introdotte e praticate dagli italiani in Africa orientale, vedeva contrapporsi quell’Indro Montanelli che alla guerra del 1935/’36 aveva partecipato in qualità di giovane ufficiale volontario e che negava risolutamente l’impego di aggressivi chimici – non avendone avuto lui stesso esperienza diretta – e sosteneva con altrettanta energia la tesi di un colonialismo italiano “buono” o almeno migliore di quello delle altre potenze coloniali del tempo e quindi esente da crimini e da forme di razzismo nei confronti della popolazione locale e delle donne in particolare. Forte della propria posizione di apprezzato intellettuale e di giornalista tra i più seguiti ed influenti, Montanelli pretendeva di presentare se stesso e la propria esperienza in Africa come “prova provata” della fallacia e della faziosità delle conclusioni di Del Boca, in tal modo sovrapponendo e maldestramente confondendo “memoria” – per di più esclusivamente personale – e “storia”, “ricordo” giovanile e “ricerca storiografica”.
Fu Angelo Del Boca che si rivolse alle massime autorità dello stato – al governo, allora guidato da Lamberto Dini (1995/’96), ai ministeri della Difesa e degli Esteri – affinché, a fronte di una quantità di prove documentali e d’archivio ormai inoppugnabili, si pronunciassero sull’uso di armi chimiche in Etiopia. Furono necessarie ben tre interpellanze parlamentari prima che il 7 febbraio del 1996 il ministro della Difesa, generale Domenico Corcione, ammettesse l’uso di gas e di aggressivi chimici da parte delle truppe italiane. E così, grazie soprattutto alla tenacia e alla costanza di Del Boca, a sessant’anni esatti da quei tragici e criminosi fatti, le autorità e le istituzioni italiane, seppur in modo troppo blando e tardivo rispetto alla gravità dell’accaduto, prendevano una decisione di fatto non più differibile, visti i cospicui risultati raccolti nel frattempo dalla ricerca storica, che da quel momento avrebbero potuto ed avrebbero dovuto sostanziare una conoscenza più diffusa di alcune delle pagine peggiori e più imbarazzanti della storia nazionale, fino a quel momento tenute il più lontano possibile dall’orizzonte della memoria comune degli italiani, in ossequio al mito collettivo degli “italiani brava gente”.
Italiani, brava gente?[8] è il titolo del libro che Del Boca pubblicò nel 2005, in cui in trecento pagine articolate in tredici capitoli ripercorre la storia nazionale, dall’unità alla seconda guerra mondiale, dalla repressione del brigantaggio meridionale alle guerre fasciste, soffermandosi sui numerosi eventi di cui è costellato il nostro passato e che mostrano come gli italiani non siano stati affatto migliori di altri popoli, ma per lo più uguali e talvolta anche peggiori, per aggressività, brutalità, pianificazione e pratica della violenza, disprezzo dell’altro; comportamenti che toccarono il culmine proprio nelle colonie. L’intera seconda parte del libro è dedicata ai crimini di guerra e alle violenze contro i civili compiuti dagli italiani in camicia nera: la repressione indiscriminata contro la popolazione libica durante la cosiddetta riconquista della colonia nordafricana, conclusasi con la cattura e l’uccisione di Omar el Muctar nel campo di Soluch, “uno dei 19 campi di concentramento installati – a partire dal 1930 – dalle autorità italiane su disposizione del generale Rodolfo Graziani, chiamato a condurre le operazioni di repressione in Cirenaica”[9]; le operazioni di polizia coloniale nella Somalia governata dal quadrumviro della marcia su Roma Cesare Maria De Vecchi; le bombe caricate a iprite sistematicamente impiegate in Abissinia; il terribile massacro di Addis Abeba, conseguente all’attentato contro Graziani, allora viceré d’Etiopia, del 19 febbraio 1937; la strage perpetrata nella città conventuale cristiana copta di Debrà Libanòs; i campi di concentramento nella Jugoslavia occupata e le violenze contro i civili per debellare la lotta di resistenza locale; i crimini compiuti dai militi della RSI in appoggio alle truppe tedesche nella guerra contro i partigiani italiani lungo la Linea Gotica. Nella prima parte del volume, invece, un capitolo è dedicato al campo di concentramento di Nocra, aperto nell’isola eritrea addirittura nel 1895 e un altro alle stragi compiute contro i libici durante la guerra giolittiana del 1911/’12, a riprova del fatto che il colonialismo italiano – come qualsiasi altro – non fu mai benevolo e mite, neppure prima del fascismo. Insomma, un quadro ricco, dettagliato e circostanziato con cui Del Boca nel volume del 2005 cercava di infliggere il colpo definitivo per abbattere un mito che nel nostro paese vanta una storia lunghissima, si regge su radici profonde, si nutre di ignoranza storica diffusa e che in questi anni sta conoscendo un momento di revival, affiancato da sempre più frequenti episodi di strisciante revisionismo, che facilmente sfocia in aperto negazionismo riabilitativo di un passato tanto pessimo quanto poco conosciuto e pertanto sempre pronto a riaffacciarsi sulla scena del presente.
Proprio per questo allora è ancora più necessario e urgente tornare a leggere le tante pagine dei libri di Angelo del Boca, fare tesoro dei frutti del suo prezioso lavoro, imparare la lezione di un grande ed appassionato intellettuale.
[1] A. Del Boca, La guerra d’Abissinia 1935-1941, Feltrinelli, Milano 1965. Si ricorda che la prima guerra d’Abissinia fu quella crispina conclusasi con la disfatta di Adua del 1896.
[2] N. Labanca, La guerra d’Etiopia 1935-1941, Il Mulino, Bologna 2015, p. 220.
[3] S. Palma, Il colonialismo italiano tra riabilitazioni e rimozioni, (20 settembre 2019), (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-colonialismo-italiano-tra-riabilitazioni-e-rimozioni-23929), 7/07/2021.
[4] A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vol. 1, Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, 1976; vol. 2, La conquista dell’Impero, Laterza, Roma-Bari, 1979; vol. 3, La caduta dell’Impero, Laterza, Roma-Bari, 1982; vol. 4, Nostalgia delle colonie, Laterza, Roma-Bari, 1984.
[5] A. Del Boca, Gli italiani in Libia, vol. 1, Tripoli bel suol d’Amore, Laterza, Roma-Bari, 1986; vol. 2, Dal fascismo a Gheddafi, Laterza, Roma-Bari, 1986.
[6] A. De Boca (a cura di), I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 1996. Il volume raccoglie i contributi di A. Del Boca stesso, di G. Rochat, F. Pedriali e R. Gentilli. La seconda edizione del 2007 presenta una Prefazione di N. Labanca.
[7] Per una ricostruzione precisa dei momenti più accesi della disputa Del Boca – Montanelli, si vedano A. Del Boca, (a cura di), I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, cit.; S. Belladonna, Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2015.
[8] A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2005.
[9] Soluch – Campo di concentramento. I campi fascisti. Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, (https://campifascisti.it/scheda_campo.php?id_campo=100), 8/07/2021.