JaZZ Kerouac: la definizione e l’affermazione dell’idea di cool

Il cool inteso come capacità di attrarre e di affascinare , ma soprattutto come un’idea che si afferma in senso trasversale nella cultura e nell’arte del Novecento. Su Scenari pubblichiamo un estratto del libro Cool, Hip, Beat. Dal jazz moderno a Jack Kerouac di Francesco Meli (Mimesis Edizioni, 2021).

Baldassare Castiglione nel 1528 pubblica a Venezia Il Cortegiano, dove definisce sprezzatura l’atteggiamento che l’uomo di corte deve assumere per essere accettato ed apprezzato. Ovvero mostrare un atteggiamento rilassato, disinvolto, sicuro di sé, in pieno controllo delle sue capacità di intrattenere e attrarre l’attenzione di tutta la corte.
Soprattutto non far mai percepire lo sforzo, il duro lavoro sotteso alle sue abilità. Una sorta di mascheramento, di occultamento durante la messa in scena di forme artistiche le più diverse.  Ebbene la sprezzatura possiede gli elementi costitutivi del cool. In particolare la disinvoltura nella performance e il dato del mascheramento.
Un processo di valorizzazione dei fondamenti del cool viene messo in atto nel corso dei primi decenni del XX secolo dalla prima generazione di discendenti degli schiavi urbanizzata nelle città del nord America. Si afferma soprattutto nella tradizione musicale del jazz. Attraverso musica e letteratura sorge un’estetica del cool che a partire dal secondo dopoguerra entra a far parte dell’immaginario americano tout court.
La sua penetrazione nella cultura americana è stata estesa e pervasiva. Inevitabilmente il suo significato ha assunto diverse forme. Da attitudine dei musicisti jazz  approda nella letteratura hard-boiled degli anni ’30 e ’40 e ad Hollywood per diventare poi parte della controcultura con la Beat Generation nell’immediato dopoguerra. Con la generazione successiva e il processo di massificazione che investe ogni singolo aspetto della cultura, il suo originario “spirito oppositivo” tende a trasformarsi in una questione di stile.

 Ci si può domandare se esista un’entità essenziale del cool. Ci si può limitare a definire il cool un fenomeno che produce certi effetti sul comportamento e sulla produzione di una vasta serie di artefatti culturali e materiali. Musica,linguaggio, letteratura, cinema, arti visive, fotografia, danza, abiti, gadget di ogni tipo. Più che riguardare direttamente tutti questi artefatti, il cool ha a che fare con un certo atteggiamento verso di loro che tende a codificarsi e a diffondersi. In altre parole il cool è inerente le persone e non la produzione, sia essa culturale o materiale..
Si tratta di un atteggiamento adottato da individui o gruppi di individui teso ad esprimere conflitto e sfida. 
Dissenso che non si esprime apertamente in associazioni, in slogan, in programmi operativi. Al contrario tende ad occultarsi dietro ad una maschera di ironia e anche scherno ma sempre con atteggiamento disinvolto e distaccato.
Lo stesso impiego del termine fa parte di un sofisticato processo inteso a manifestare e trasmettere un’impressione favorevole, attraente. E’ un termine oggi universale che implica approvazione incondizionata. Per quanto diversificato socialmente possa essere l’ambito sociale, l’uso di cool porta sempre con sé una connotazione extra, spesso appena avvertita. Non importa a che cosa si faccia riferimento.  La storia culturale rivela che all’interno di un’economia di scambio simbolico il cool è sicuramente un capitale di notevole valore.

Francesco Meli, Cool, Hip, Beat. Dal jazz moderno a Jack Kerouac, Mimesis Edizioni, 2021

L’elemento attrattivo è ben presente nel panorama della musica jazz in cui si è affermato in America. Play it cool oltre a definire uno stile di musica, in breve tempo si è esteso  ai musicisti, al fascino insito in una certa fisicità e in atteggiamenti improntati ad una rilassatezza ricercata. Lo stretto rapporto tra stile musicale e sex appeal è fuori di dubbio. Le modalità di scansione del ritmo musicale, ad esempio, sono la rappresentazione visiva di tale rapporto.  Lo schiocco delle dita (finger snapping), sorta di correlativo oggettivo che asseconda, scandisce lo swing generato dalla musica è una nota di classe e fascino molto personale, intimo, in grado di produrre sfumati accenti di sensualità.
Segna gran parte della storia del jazz, del musical, della migliore musica pop, quella d’autore di Tin Pan Alley. Per il jazz basta ricordare l’uso che ne ha sempre fatto Duke Ellington per accompagnare gli assolo dei vari componenti della sua orchestra. West Side Story di L. Bernstein inizia proprio con uno schiocco di dita che accentua il fascino pericoloso espresso dai giovani membri di due bande rivali. Per quanto riguarda la musica pop due esempi memorabili sono “Nice ‘n Easy” e “Feever” interpretati rispettivamente da Frank Sinatra e Peggy Lee.

Negli anni ’50 e ’60 Sinatra si afferma con uno stile che ha segnato la storia del cool. Segni identificativi sono cura dei dettagli, gusto ed eleganza raffinata,  sicurezza spavalda, estrema scioltezza. Simbolo principe di questo atteggiamento è il cappello a tesa floscia che inizia a portare, con modalità e stile tali da farne una sorta di mistica.
Sinatra ha portato swing a Las Vegas, in senso letterale e metaforico. Ancora negli anni ’60 nei casinò, proprietari e pubblico avevano uno stile western, con larghi cappelli da cowboy. Con atteggiamenti e stile decisamente urbani, assolutamente cool, ha aggiunto un quid che ha nobilitato la rude città nel deserto.
Per adottare uno stile di vita anticonformista  cruciale  è stata, all’inizio della sua carriera, la decisione di immergersi nella realtà musicale di New York. Frequenta infatti i locali della 52ma Strada dove si esibivano i migliori jazzisti, personaggi cool per eccellenza. In questi club cantava anche Billie Holiday, di cui era  grande ammiratore.
Holiday  gli disse che il suo fraseggio non andava bene, doveva piegare le note, soprattutto verso la fine delle canzoni.  Frank fece tesoro del suo suggerimento. Impara ad allungarne alcune e comprimerne altre, a enfatizzare pause e silenzi, ad aggiungere qualcosa al fraseggio, sfumando o accentuando. Imprimendo un accento jazzistico, raggiunge una cifra stilistica unica e ineguagliabile. Debito che ha sempre riconosciuto: “E’ stata lei la più grande  influenza musicale su di me”.
Holiday sul palcoscenico trasmetteva un’aura di signora dai modi aggraziati. Il suo portamento, il suo stile, il suo cool erano da perfetta lady che suscitava ammirazione. Smessi i panni dell’artista, gli atteggiamenti  potevano cambiare e farla diventare persona rude, sarcastica ed anche violenta con chi avesse atteggiamenti razzisti.

In un momento storico in cui era prassi condivisa non usare alcun termine che potesse elevare lo  status sociale di un afroamericano,  nessuna donna nera poteva essere ritenuta “signora”. Lester Young ha tentato di riscattarla chiamandola Lady Day. Lei ha ricambiato nominandolo “Prez”, Presidente dei sassofonisti. Stupirsi allora  che il suo comportamento pubblico non fosse sempre “da signora”?  Indurita quanto serviva per proteggersi e convivere con le condizioni date, reagiva duramente e violentemente ad offese  e insulti.
Nel suo tragico epilogo  Sinatra non si è dimenticato di lei. Per quanto la sua deriva fisica e psichica è inarrestabile la va a trovare in ospedale. Gesto di grande valore umano, soprattutto se lo si confronta con il trattamento che il Paese le ha riservato.  Vittimizzata  da diverse forme di un irriducibile razzismo, non ha ricevuto in vita riconoscimenti ed apprezzamenti adeguati alla grandezza e all’originalità del suo contributo  dato alla storia della musica popolare.
La vera arte per prevalere su iniquità e amnesie individuali e collettive  spesso ha bisogno di tempi lunghi. Tutti i cantanti della grande tradizione musicale americana hanno riconosciuto un debito di gratitudine al suo enorme talento. La sua vocalità intensa e struggente, impregnata di blues, è  a tutt’oggi considerata  tra le più alte espressioni della musica popolare. 

All’interno della storia del cool,  paradossale ed emblematico è il caso del “Modern Jazz Quartet” (MJQ). La sua musica e lo stile dei singoli musicisti sono apparsi  eccessivamente raffinati e signorili. Paradossalmente, troppo cool. Il MJQ ha una presenza scenica che viene definita con terminologia inconsueta per il mondo del jazz. La più comune include aspetto dignitoso, stile ricercato, finezza,  eleganza, dizione e sensibilità controllate.
Il paradosso, il corto circuito messo in atto  è dovuto al semplice fatto che il loro essere cool viene visto come un’appropriazione di modalità tipiche di ambienti sofisticati della componente sociale dominante. Appropriazione rassicurante, ben accolta in quanto segno altamente simbolico di   una presunta avvenuta “civilizzazione”. Così facendo la cultura afroamericana viene espropriata di un elemento che storicamente le compete, ovvero quel cool che ha proprio nei musicisti  e nelle sonorità jazz la sua origine e la sue forme espressive, in seguito diffuse globalmente in contesti socioculturali diversi.

Con il leader del MJQ, John Lewis, e la sua musica l’estetica del cool si inserisce all’interno di una strategia di accettazione. L’istruzione, le buone maniere, la raffinatezza, uno stile, un abbigliamento adeguato, la sicurezza di sé, la disinvoltura, la mancanza di eccessi, tutto questo possiede un forte potenziale di inclusività. Perdendo la componente antagonistica, oppositiva ai costumi dello status quo,  il cool subisce un ribaltamento.
In definitiva, si può dedurre che i neri per essere accettati devono mostrare di essere in grado di imitare qualcosa dei bianchi, a sua volta frutto di imitazione di un modello della cultura afroamericana. Considerate le vicende storiche e i rapporti di forza che ne sono derivati non sorprende che questo accada. Si tratta di evidente esproprio culturale nel senso che i bianchi avendo il potere di  farlo riescono a “imporlo”  come dato proprio. Nel periodo d’attività del MJQ il concetto veniva definito nei termini di “sfruttamento” e “dominio”. Con riferimento all’espansionismo occidentale, con  un vocabolo piuttosto sfumato è definito “appropriazione”.  

Storicamente, la componente  oppositiva del cool si è manifestata anche  in una demografia  potenzialmente detentrice di diritti/ privilegi che per atto deliberato sceglie di non accettare passivamente. Per fare questo la possibilità adottata  dal white negro/hipster teorizzato da Mailer è l’avvicinamento al mondo musicale afroamericano.  Strategia scelta da Jack Kerouac.
La grande effervescenza culturale legata al rinascimento di San Francisco porta al recupero della vocazione orale della poesia, promuovendo la diffusione dei poetry readings, fondendoli con la musica jazz. Va da sé che Kerouac fosse un candidato naturale per gli esperimenti di poesia e jazz per via dell’affinità che sentiva con quel mondo.
Kerouac scriveva tenendo presente ritmi e toni dell’americano comunemente parlato, e si vedeva come il creatore dello stile di una “prosa bop spontanea” che incarnava le tecniche del riffing, improvvisazione su ripetizione di brevi frasi  usate da musicisti  come Parker e Lester Young. Riconoscendo che Parker portava il timbro della voce umana nel jazz, Kerouac aspirava restituire alla forma poetica la sua matrice di oralità, liberandola dalla tirannia della carta stampata e restituendole un suo connotato originario. Esplicito è l’esergo messo a Mexico City Blues, la sua più alta testimonianza di “poesia spontanea: “Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session di domenica pomeriggio”.

Jack Kerouac

Il ruolo significativo svolto dalla musica  jazz e dal rinascimento di San Francisco è implicito nei significati che il termine “beat”  ha assunto nel tempo.  Nasce con implicazioni socioculturali perché  implica un senso di abbattimento, di emarginazione a causa di una scelta consapevole.
Ben presto il termine indica una stretta parentela con  l’universo musicale. Significa il ritmo, la battuta del jazz che la beat generation adotta come modello etico ed estetico
. Etico perché il jazz è creatività sviluppata per fronteggiare condizioni  ostili. Libera espressione di un modello di vita avulso da qualsiasi aspettativa sociale. Estetico perché Kerouac sa  trarre dal jazz, vera esplosione di energia e vitalità, la base della sua poesia e prosa spontanea. 
Beat, infine, è anche l’abbreviazione di beatific  e questo è il significato connesso al clima culturale che si respirava a San Francisco nei decenni seguenti alla seconda guerra mondiale. Indica che il bisogno di sfuggire agli schemi imposti dal conformismo sociale, è accompagnato dalla ricerca di valori alternativi, favorita   dall’incontro con il buddismo zen. 
Nel connubio di jazz e zen, in questa sorta di  “Afro-Zen” Kerouac intravede uno stato ideale di equilibrio spirituale. Con questa associazione riesce a comporre una dualità della mente. Quella  “naturale, non coltivata” associata alla fisicità e  quella legata all’intellettualità che ha una sua controparte fisica in una attitudine cool di grazia, leggerezza,  rilassato distacco. 
Per quanto da giovane “disaffiliato” sia poi diventato un adulto amareggiato  e reazionario,  con il passare del tempo la sua reputazione ha continuato a crescere, non conoscendo soste, superando di gran lunga quella riconosciuta a tutti gli altri scrittori della beat generation. Tra i maggiori estimatori contemporanei dei beat vi è il noto scrittore Jay McInerney che in un’intervista a M. Persivale ha sottolineato che  “…quella dei beat è una generazione di scrittori la cui influenza… mai svanirà. …sono stati loro i primi romanzieri e poeti ad essere cool e con le idee “avanti” e con uno stile di vita interessante. ….dicevano che c’erano altri modelli, altre strade da seguire, altri mondi da esplorare…. E’ un fatto che i beat erano cool  ai loro tempi, lo sono oggi e lo resteranno in futuro”.

Di fronte all’involuzione del mondo in cui credeva, alla maniera di Bartleby, Kerouac preferisce non aderire, pagandone il prezzo più alto. In effetti considerava anche i suoi sodali beat dei Bartleby che fissavano la “finestra cieca della nostra civiltà”.  Di indole solitaria e melanconica, “preferendo di no” Kerouac rimane nel solco di una forma di cool come autodifesa da circostanze ostili.
Il suo fascino di uomo e scrittore è legato alla universalità, alla semplicità del suo messaggio: una ricerca   creativa di uno spazio fisico e mentale altro. Sappiamo che questa ricerca umanamente è fallita, vittima di alcolismo e risentimento per una realtà che gli era insopportabilmente estranea. E questo  ce lo rende ancor più vicino. Culturalmente però non ha fallito: ci ha lasciato un vastissimo corpo letterario che non ha smesso di comunicarci qualcosa di essenziale che può  essere facilmente compreso ed apprezzato. Qualcosa  di necessario ancora oggi.



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