Nel 1989 esce per Bompiani Camere separate, un’opera che, per stile e tematiche, si discosta sensibilmente dalla produzione letteraria di Pier Vittorio Tondelli.
Giunto alle porte dei trent’anni, l’autore emiliano sembra volersi affrancare in queste pagine dall’etichetta di “scrittore giovanile” affibbiatagli dal mercato editoriale, portando a compimento il percorso di introspezione intrapreso nei mesi subito precedenti all’inizio della stesura del romanzo.
In occasione dell’anniversario della scomparsa dello scrittore di Correggio, pubblichiamo su Scenari un estratto del saggio di Olga Campofreda Dalla generazione all’individuo (Mimesis Edizioni, 2020) che riflette su un unicuum dell’esperienza di scrittura tondelliana.
L’ultimo romanzo di Pier Vittorio Tondelli risolve una tensione intorno alla quale ruota gran parte della poetica tondelliana fin dall’esordio, quella cioè di una giovinezza che non riesce a evolversi in maturità, non consentendo ai personaggi di interpretare narrativamente il canonico passaggio all’età adulta attraverso il superamento di soglie predefinite. Negli anni che accompagnano la progettazione di Camere separate Tondelli entra in un periodo di introspezione che coincide con il compimento del trentesimo anno, mentre dal punto di vista letterario sente la necessità di uscire dal ghetto della letteratura giovanile nel quale il mercato editoriale lo aveva confinato; la riflessione letteraria ruota intorno ai modi di rappresentare i confini della giovinezza, senza tuttavia aderire ai parametri istituzionali descritti dal Bildungsroman. Lo scrittore emiliano approda così a una soluzione che prenderà la forma di un’opera già definita da Sinibaldi quale insolito romanzo di formazione[1] e che Severini ha letto come “descrizione impietosa della perdita della prima giovinezza”[2]. È mia intenzione qui analizzare le conseguenze stilistiche e le modalità di questa rappresentazione.
Il romanzo si divide in tre parti, tre “movimenti”[3], intesi come “ritmi musicali”: Verso il silenzio[4], Il mondo di Leo[5], Camere separate[6]. Fin dalle prime fasi di progettazione queste sezioni erano state previste e organizzate come “tre unità che ruotano una a fianco dell’altra, riprendono ‘il tema’ e lo portano su livelli e toni differenti con l’uso della variazione e della ripetizione (ora più descrittivo, ora più interiore, ora più veloce, poi più lento)”[7]. La linea narrativa è costantemente sottolineata da flashback che ben si prestano a rappresentare un racconto principalmente affidato alla memoria: lo scrittore Leo – appena oltre la soglia dei trent’anni – si trova ad affrontare il dolore per la morte del proprio compagno, Thomas, salutato per l’ultima volta in una camera d’ospedale in Germania, nella prima sezione del romanzo. Da qui si intreccia il racconto dei viaggi compiuti da Leo attraverso l’Europa e poi a New York per affrontare l’elaborazione del lutto, con quello degli episodi principali della storia d’amore con Thomas: il primo incontro, il primo bacio, il viaggio a Barcellona in occasione del Venerdì Santo, la convivenza, la separazione, e, appunto, l’estremo saluto.
L’insistenza di Tondelli sull’elemento del trentesimo anno si carica maggiormente di significato per i rimandi al racconto omonimo di Ingeborg Bachmann, la quale – come ricorda Carnero – considerava questa soglia come “fondamentale nell’evoluzione della personalità del singolo, che attraverso la rielaborazione del passato individua nuove prospettive per il presente e per il futuro”[8]. Così scriveva Bachmann:
Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane. Ma lui, benché non riesca a scoprire in se stesso alcun mutamento, non ne è più così sicuro […].[9]
E Tondelli:
Solo qualche mese fa ha compiuto trentadue anni. È ben consapevole di non avere un’età comunemente definita matura o addirittura anziana. Ma sa di non essere più giovane.[10]
Il protagonista di Camere separate si trova dunque in un limbo: non più giovane ma incapace di evolversi completamente verso l’età adulta, perché non incline ad accettare i compromessi della società conformista. Proprio dalla sua prima comparsa nel romanzo Leo viene introdotto in quanto outsider rispetto alla cerchia di persone “integrate” che egli stesso frequenta, mentre il narratore onnisciente elenca in negativo tutti i parametri riconoscibili quali parte del romanzo di formazione tradizionale:
Privato ogni giorno del contatto con l’ambiente in cui è cresciuto, distaccato dal rassicurante divenire di una piccola comunità, lui si sente sempre più solo, sempre più diverso. […] Non è radicato in nessuna città. Non ha una famiglia, non ha figli, non ha una propria casa riconoscibile come “il focolare domestico”, […] non ha un compagno, è scapolo, è solo.[11]
Le infrazioni alla tradizione ci sono tutte: Leo è “distaccato dalla comunità”, “non ha una famiglia, non ha figli”; anche dal punto di vista lavorativo la sua attività di scrittore risulta irregolare, in quanto “svolge una professione artistica che anche i suoi cosiddetti colleghi svolgono ognuno in modo differente”[12]; non ha neppure una vera e propria patria intesa come luogo d’origine nel quale sentirsi integrato e in nome del quale condividere degli ideali. Il rapporto problematico che lega il protagonista al borgo di Correggio non si risolve con una riconciliazione nell’episodio del Venerdì Santo, quando Leo riconosce che “tutto fa parte di una vita che non è la sua e nella quale lui non si inserirà mai”[13]. Il rientro al paese e alla sua comunità cattolica durante i giorni della Pasqua sono in effetti tutt’altro che un ritorno alle radici, provocando la riapertura di una ferita. Il flashback sulla processione del Cristo Morto restituisce la descrizione di un Leo adolescente per il quale i riti di passaggio socialmente riconosciuti non hanno alcun valore:
Anche la Madonna aveva portato, appena adolescente. Una statua issata su un trono di legno massiccio. Aveva ricevuto un solo cambio lungo la durata del percorso e la spalla su cui poggiava l’asta gli faceva male, il braccio era indolenzito, le gambe non lo reggevano più. Si sforzava di tener duro vedendo che gli altri ragazzi stringevano i denti. […]. Quando finalmente, in chiesa, lo sollevarono dal peso di quella effige che per anni e anni avrebbe poi maledetto, lui non si sentì, come gli altri, fiero di avercela fatta, stremato ma soddisfatto per aver portato a termine l’intero percorso, ma si sentì profondamente umiliato, proprio ferito nell’intimo, per essere stato costretto a sopportare qualcosa contro la sua natura, per essere stato obbligato a dimostrare agli altri la cosa più stupida e insignificante di questo mondo, e cioè che lui era uguale a loro. Tanta fatica per qualcosa che per lui non rivestiva alcun valore.[14]
[…]
La soluzione a quello che apparentemente sembra un paradosso insormontabile, attraversare cioè il processo di formazione senza conformarsi alle regole sociali e senza sfidarle apertamente, avviene grazie alle potenzialità creative del linguaggio e al potere di significazione del racconto. Attraverso un sottile sistema di metafore relative al campo semantico della filiazione, Tondelli costruisce sul rapporto dei due amanti quello del genitore-figlio, un rapporto ìmpari in cui Leo, più forte e carismatico, più esperto della vita rispetto a Thomas, riveste il ruolo dell’adulto. La debolezza di Thomas malato, così come ce lo restituisce Tondelli nelle scene d’ospedale riportate nel primo movimento del romanzo, è accostata alla figura di un bambino:
Leo ha visto altre volte quello sguardo. Lo sguardo di un bambino palestinese che sta per essere ucciso. Di un piccolo negro agonizzante accanto al corpo della madre squarciato dalle bombe. Lo sguardo implorante di un piccolo indio dell’Amazzonia davanti allo sterminio della sua razza. Lo sguardo di chi sta morendo e implora senza fiducia un aiuto che non gli verrà dato. Bambini, bambini.[15]
La debolezza di Thomas in punto di morte è il tertium comparationis che tiene insieme la sua figura a quella dei bambini elencati nel brano appena citato. Proprio questa debolezza dell’amato rende non paritario il rapporto d’amore, nell’ambito del quale Leo deve assumersi la responsabilità di prendersi cura del proprio compagno, proprio come avrebbe fatto per un figlio. Più avanti, rievocando il viaggio a Barcellona, scavando nei pensieri di Leo, il narratore onnisciente informa il lettore che il motivo più profondo della sua angoscia era il fatto di aver visto Thomas, la persona che più amava nella sua vita, incapace di vivere da solo, di continuare in modo autonomo. Lo vedeva debole, bisognoso di qualcuno a cui appoggiarsi. Lo vedeva irrisolto, forse ancora troppo giovane. […] E chi doveva occuparsi di lui? Leo e nessun altro.[16]
Thomas è descritto come un individuo non ancora autosufficiente, non autonomo. Questa condizione è ricondotta alla sua età, egli è infatti “ancora troppo giovane” rispetto a Leo, il quale pertanto sente di doversi occupare di lui. Da questo confronto si stipula un contrasto forte tra giovinezza e età adulta: alla prima appartiene la caratteristica della dipendenza, della debolezza, mentre alla seconda, alla quale si ascrive il ruolo di Leo, appartiene la responsabilità, la cura.
Dopo la morte di Thomas il ricordo del compagno scomparso diventa per Leo un fardello fisico da trascinarsi dietro lungo il suo percorso attraverso l’Europa:
Si sente il corpo incancrenito di Thomas incollato al suo, proprio attaccato alla sua pelle, inchiodato. La femmina di un animale che si trascina appresso il cadavere del figlio, che si rifiuta di abbandonare quella carcassa ancora calda e sanguinante.[17]
La cura e la protezione che caratterizzano l’atteggiamento di Leo nei confronti del giovane amante sono qui ricondotti esplicitamente all’immaginario della maternità. In un altro luogo del romanzo Thomas è paragonato a un seme che viene cullato, accudito, fatto crescere come appunto in un grembo materno: “Thomas non è solo cadavere ma […] seme di vita sepolto nella propria mortalità. Lui culla, nel profondo, questo seme, lo scalda, assiste alla sua crescita cercando di crescere con lui”[18]. In una delle scene più strazianti del romanzo Leo si trova su un aereo che da New York lo sta riportando in Italia e accanto a lui è seduto un uomo anziano che sta riportando a casa il cadavere del figlio. Le due figure, quella del protagonista e del vecchio padre, sono messe da Tondelli sullo stesso piano:
E allora pensò che anche lui aveva sepolto in un certo senso Thomas. E che, sia lui, sia il vecchio, erano degli assassini che in un modo o in un altro avevano controllato la vita della persona che più amavano. Fino a deporre nella fossa il corpo che avevano creato.[19]
In Camere separate il sistema delle metafore relative al rapporto Leo/Thomas attinge al linguaggio della filiazione, benché non attribuisca a Leo un ruolo paterno, ma quello materno a cui Tondelli associa l’idea di cura, accudimento, protezione. Tutte le figure femminili che ricorrono nel romanzo, anche se introdotte sulla pagina solo come comparse, sono in effetti evocate dal personaggio per il loro potere rassicurante e la loro carica protettiva: la maestra elementare china su Leo bambino nell’atto di insegnargli a scrivere, inebriandolo con il profumo del rossetto; la madre che lo viene a prendere in bicicletta all’uscita della scuola[20]. Leo è stato per Thomas amante e madre, “ha assistito alla sua crescita cercando di crescere con lui” e questo di fatto è avvenuto, determinando il superamento di quel limbo iniziale, tra una giovinezza non più sostenuta dall’immagine di sé riflessa nello specchio e una maturità impossibile da raggiungere se non attraverso parametri sociali a cui Leo non si sarebbe mai conformato.
È corretta, in tal senso, l’osservazione di Sinibaldi, che ha visto in questo romanzo la storia di una ricerca che si pone innanzitutto come quella “delle parole per nominare la trasformazione fisica e morale del protagonista”[21]. Pur riconoscendo una certa importanza al piano della metafora della filiazione e al “nodo della tematica paternità/maternità”[22], il critico associa alla fine della giovinezza di Leo la “sanzione di una sterilità”[23], quando in riva al mare il personaggio ricorda a se stesso che “non lascerà figli al mondo. Non proverà mai il significato della parola padre”. La conclusione di Sinibaldi su Camere separate è piuttosto pessimistica, descrivendo il romanzo come permeato da un senso di accettazione della condizione di outsider da parte di Leo proprio nel momento in cui questo si riconosce nel ruolo di scrittore. Scrittura, per Sinibaldi, è sinonimo di solitudine e, ancora una volta, di emarginazione: “Leo riconosce ‘che la sua vita è troppo indistricabilmente legata allo scrivere’ e se ciò rimarcherà ancor più la sua diversità e la sua solitudine, questo è il destino e i valori che deve accettare”[24]. In realtà, è proprio grazie allo strumento narrativo che Leo riesce a superare quella condizione di sterilità alla quale sembrava condannato, sostituendo alla impossibile procreazione biologica quella metaforica, che trasforma la relazione amorosa con Thomas in rapporto filiale. Nel corso di una crisi di coppia causata dalla strategia delle “camere separate” fortemente voluta da Leo, Thomas gli rinfaccia: “Tu mi vuoi tenere lontano per potermi scrivere. Se io vivessi con te, non scriveresti le tue lettere. E non mi potresti pensare come un personaggio della tua messinscena”[25]. Qui il rapporto creatore/creatura è esplicitamente legato all’atto dello scrivere: Leo genera Thomas in quanto personaggio delle sue lettere, dei suoi racconti (la sua “messinscena”), cosa che non sarebbe possibile se gli amanti fossero in quotidiano contatto. Ma è attraverso il racconto della storia d’amore, ricostruita dal protagonista attraverso lo strumento della memoria, che alla coppia Leo/Thomas vengono rispettivamente associati i ruoli di madre e di figlio. Il procedimento è quello della risignificazione degli eventi nel corso del racconto della loro storia. Per il protagonista questo processo rappresenta l’attraversamento definitivo dei limiti estremi della giovinezza e l’invenzione del sistema metaforico della filiazione è lo strumento principale di questo passaggio.
La maturità acquisita grazie alla storia d’amore/rapporto filiale con Thomas sembra fornire al protagonista un nuovo punto di vista sulle cose e sul suo stesso ruolo nel mondo. Potrebbe sembrare una contraddizione quando in chiusura del romanzo il narratore onnisciente – riportando al lettore i pensieri intimi del protagonista – riconosce nel “trentatreenne Leo”[26] la discendenza che “Leo e Thomas hanno partorito”[27] e che hanno “espulso nel mondo”[28]. Leo è, al tempo stesso, creatore e creatura, nel momento in cui si affaccia alla nuova fase della sua vita adulta. Nella dimensione del ricordo passato e presente si confondono, così come i rapporti generativi, che si sovrappongono nell’assenza di un tempo narrativo lineare. L’identità è fluida.
Se in apertura del romanzo l’attività di scrittore contribuisce a rendere Leo un diverso, un non-integrato, nelle ultime pagine di Camere separate è proprio la letteratura che aiuterà il personaggio a trovare un compromesso tra i due poli opposti del conformismo e dell’emarginazione. L’occasione è l’incontro con la comunità letteraria presente al convegno internazionale in memoria dello scrittore Jack Kerouac, tenutosi in Québec, dove Leo ha sentito che tutte quelle persone, anche le più distratte, anche quelle che cannavano birre su birre al suo fianco porgendogliene, sorridendo, in continuazione, stavano, tutte insieme, celebrando un rito senza fasto e senza magnificenza, un rito semplicissimo e proprio per questo fondamentale: la sopravvivenza della letteratura[29].
La comunità letteraria è costituita da un vivace gruppo di persone differenti per atteggiamento e interesse e che tuttavia stanno “insieme” per celebrare all’unisono l’eternità della letteratura. Questo “rito senza fasto e senza magnificenza” tiene uniti i singoli individui in una celebrazione laica e inclusiva che si oppone alla già citata celebrazione del Venerdì Santo, barocca nell’eccesso della sua simbologia e discriminante nei confronti del diverso, nell’ambito della quale l’adolescente Leo era stato costretto con umiliazione a “dimostrare agli altri […] che lui era uguale a loro”[30]. Il ruolo dello scrittore – nel quale Leo si riconosce e si accetta – concilia insieme presenza e assenza dalla scena. Camere separate è un romanzo di formazione, certamente non canonico, ma senza dubbio l’unico possibile nel momento storico in cui Tondelli sta scrivendo: è l’individuo che prende coscienza della sua voce in una società postmoderna in cui le istituzioni, la politica, il sistema educativo, la famiglia o il mondo del lavoro non entrano più in rapporto diretto col problema dell’identità.
[1] M. Sinibaldi, So glad to grow older, in “Pier Vittorio Tondelli/Panta”, n.9, cit., pp.109-116, p. 111.
[2] G. Severini, Private liturgie, in “Pier Vittorio Tondelli/Panta” n.9, cit., pp. 102-108, p. 102.
[3] P. V. Tondelli, ‘Note ai testi’, in Opere, vol. I, cit., p. 1217.
[4] Id., Camere separate, cit., pp. 911-55.
[5] Ivi, pp. 957-1059.
[6] Ivi, pp. 1061-1106.
[7] Ivi, p. 1217.
[8] R. Carnero, Lo scrittore giovane, Bompiani, Milano 2018, p.116.
[9] I. Bachmann, Il trentesimo anno, in Il trentesimo anno, Adelphi, Milano 2006, p. 23.
[10] P.V. Tondelli, Camere separate, in Opere, vol. I, Bompiani, Milano 2000, pp. 913-914.
[11] Ibid.
[12] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 914.
[13] Ivi, p. 1012.
[14] Ivi, p. 1028.
[15] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 939.
[16] Ivi, p. 1023.
[17] Ivi, p. 980. Corsivo mio.
[18] Ivi, p. 995.
[19] Ivi, p. 1058.
[20] Ivi, pp. 952-953.
[21] M. Sinibaldi, op. cit., p. 109.
[22] Ivi, p. 115.
[23] Ivi, p. 114.
[24] Ivi, p. 116.
[25] P. V. Tondelli, Camere separate, cit., p. 1078.
[26] Ivi, p. 1094.
[27] Ibid.
[28] Ibid.
[29] Ivi, p. 1101. Corsivo mio.
[30] Ivi, p. 1028.