Definire l’indefinibile: i rapporti tra weird e il modernismo

Comparso a cavallo tra Diciannoverismo e Ventesimo secolo, il weird nasce dalla necessità di esprimere un senso di sfiducia nei confronti della comprensione della realtà e della nostra capacità di razionalizzarla. Più o meno nello stesso periodo, un’altra corrente letteraria si interrogava sul rapporto tra individuo e realtà sul cosiddetto “indicibile esistenziale”: il modernismo. Ci sono punti di contatto tra weird fiction e modernismo letterario? E in che modo le due correnti possono dialogare tra loro?
Su “Scenari” pubblichiamo un estratto del volume La letteratura weird di Francesco Corigliano (Mimesis Edizioni, 2020)

Il weird rielabora temi e atteggiamenti del fantastico, concentrandosi su una grande sfiducia nei confronti della realtà e dei mezzi per comprenderla. La scienza dice sempre di più sul mondo, ma al contempo lo va diluendo e riducendo, segnando l’avvento di universo fatto di certezze smontate e strumenti conoscitivi inutilizzabili. La società si fa più opprimente e ostile, e il significato del lavoro e della vita diviene sempre più oscuro e labile, tanto da non potersi più fidare neanche dell’integrità della propria personalità.   
La sfiducia nelle capacità di comprensione e il senso di perdita di un mondo che sia intero e razionalizzabile avvicinano lo spirito della weird fiction ad alcuni aspetti del modernismo letterario. Lo scollamento tra Io e coscienza e tra individuo e mondo sono tratti che accomunano weird e modernismo, ma che non sono costituiscono semplicemente tematiche affrontate da entrambe le correnti. Il modernismo, infatti, ha fatto della frammentazione del discorso e della vacuità della parola due tratti portanti della propria natura stilistica. L’incapacità di raccontare e di raccontarsi – per sottrazione di significato o, al contrario, per eccesso di informazione – è stata al centro dell’espressione modernista, un atteggiamento narrativo volto a riflettere la sempre più evidente impossibilità di rintracciare senso nella realtà. 

In effetti la corrente modernista viene interpretata da Sanja Bahun[1] come un “controlutto”, ovvero un’opposizione artistica all’impossibilità di vivere una realtà costruita su nevrosi, illusione e supposizione, un modo per superare cioè la “fine del mondo”. Attraverso la messa in relazione del modernismo con la melancolia (intesa come disturbo psichiatrico), Bahun individua dei punti in comune tra la malattia e i modi narrativi di molti autori modernisti, mediante l’analisi dei meccanismi dell’elaborazione del lutto. La lenta scomparsa dei rituali funebri nella società anglosassone si trasforma nell’incapacità di recepire e realizzare il lutto stesso, creando uno scollamento tra l’individuo e la realtà: questa nuova situazione si traduce in un continuo lavoro sul proprio stesso dolore, uno stato simile a quello melancolico e traducibile in letteratura nell’afasia descrittiva e nella frammentazione tipiche della letteratura modernista[2]. Questo meccanismo, che Bahun analizza a partire dal mondo anglosassone ma che applica anche all’opera di Kafka, si può applicare abbastanza bene anche al nuovo modo di fare letteratura fantastica tipico della weird fiction. La “morte del mondo”, ovvero l’incapacità di accettare l’irreversibilità dei mutamenti culturali e la sostanziale inefficacia di alcuni sistemi culturali (quali, appunto, il lutto) può essere tradotto, nel weird, nell’alterazione del “paradigma di irrealtà”.
Non si è più capaci di credere che il soprannaturale possa essere, in qualche modo, organizzabile e dettato da leggi precise, e si va incontro ad uno scavo sul significato più profondo dell’impossibile – ovvero l’inesplicabile in sé. A ciò si ricollega anche la tendenza stilistica caratterizzata dall’afasia[3]: non si può descrivere completamente ciò che è del tutto estraneo al raziocinio, e come il modernismo insiste nel continuo lavorio sull’indicibile esistenziale – cioè la contraddittorietà e frammentarietà della vita moderna – la weird fiction preme sulla definizione dell’indefinibile. Il lavoro consapevolmente vano di ricostituzione dell’unità è quindi una forma di reazione alla fine del tradizionale rapporto individuo-realtà, un rapporto che nel caso del fantastico andava comunque a ricomporsi alla fine della narrazione – nonostante il classico senso di dubbio instillato nel lettore – mentre nel weird viene del tutto distrutto. Bahun insiste proprio sulla inadeguatezza dei mezzi rappresentativi nel modernismo, una inadeguatezza che abbiamo visto e trattato numerose volte riguardo alla weird fiction[4]

Francesco Corigliano, La letteratura weird. Narrare l’impensabile, Mimesis 2020

Altri punti di contatto tra la lettura del modernismo da parte di Bahun e gli elementi costitutivi del weird sono evidenziati nella sua analisi dell’opera di Kafka, della quale si sottolinea la “spettralità” data non dai contenuti proposti, quanto dalla combinazione dell’esattezza d’espressione con il vuoto al centro della narrazione[5]. Pur restando ferme delle differenze tra il surrealismo e la weird fiction, sulle quali ci siamo già espressi, la precisione del linguaggio (e il suo valore nel senso di verosimiglianza) è fondamentale nella letteratura di cui ci stiamo occupando, e il fatto che essa sia messa in rilievo a proposito di uno scrittore che si è occupato di soprannaturale è un segnale importante per cercare di inquadrare il weird nel più ampio contesto modernista.
L’afasia contraddittoria del modernismo si può ricollegare anche all’interpretazione del fantastico come letteratura non-tetica, cioè che non enuncia la realtà di ciò che rappresenta, un’idea esposta da Sartre[6] e rielaborata da Irène Bessiere nella teoria della “controforma”. Sebbene pensata per il fantastico, questa teoria si adatta maggiormente al weird e al ribaltamento che esso porta nell’ordine razionale delle cose, stabilendo un sistema nuovo.   
Tralasciando le similitudini in ambito tematico (non ultimo l’interesse per l’antropologia e per religioni, culti e misticismi provenienti dall’estero[7]) si può rintracciare una somiglianza anche nei meccanismi di coinvolgimento collettivo tra intellettuali appartenenti a contesti differenti.
Sebbene sia difficile dimostrare l’ipotesi di una corrente omogenea e consapevole incentrata sulla weird fiction ed estesa in tutto il mondo occidentale, si può invece parlare – almeno per gli Stati Uniti – di comunità d’intenti, di stili e di tematiche attorno alla scrittura di un nuovo tipo di narrativa del soprannaturale. I pulp magazines rappresentarono infatti punti di riferimento per le innovazioni e le nuove tendenze nell’ambio della narrativa del soprannaturale, alla stregua di un movimento collaborativo[8]. In questo discorso rientra anche il rapporto tra l’intellettuale e l’industria culturale, tema caro a molti autori di weird fiction quali Lovecraft e Clark Ashton Smith e inerente anche lo sviluppo e l’evoluzione di alcuni pulp magazines[9].

Naturalmente, però, il discorso sul rapporto con la società letteraria – e in un certo senso con un movimento “d’avanguardia” nel fantastico – trascende l’ambito della letteratura anglosassone e, come vedremo, riguarda anche Stefan Grabiński e Jean Ray; per entrambi infatti sono attestate precise volontà di rielaborazione e superamento del fantastico tradizionale, alla stregua di quanto accade nel lavoro di Lovecraft. Questi dati, paradossalmente, ci dicono forse di più sul soprannaturale fantastico che su quello weird. Per poter giungere a risultati paragonabili tra loro ma sviluppati in contesti socio-letterari differenti – quali appunto quelli di Lovecraft, Grabiński e Ray – le condizioni di partenza devono essere state simili; e queste condizioni consistono nella diffusione e nella presa dei modi del fantastico ottocentesco, talmente radicati culturalmente tra Europa e Stati Uniti da poter “evolvere”, sotto la spinta del modernismo, in una direzione abbastanza uniforme. Considerazione, questa, che non può che rimarcare il profondo legame tra fantastico, weird e percezione del reale.  […] La letteratura weird è quindi soltanto letteratura fantastica modernista? Non del tutto. Le sue caratteristiche permettono di classificarla come letteratura del soprannaturale – per come l’abbiamo definita sin dall’inizio – e di accostarla direttamente alla letteratura fantastica – a causa della ricorrenza di alcune costanti tematiche e stilistiche. Altri elementi, come abbiamo visto, derivano direttamente dalle stesse suggestioni che hanno influenzato il modernismo.     
Eppure, la letteratura weird introduce un dubbio per le capacità razionali della mente umana che è distante dalla sicurezza offerta, in ultima analisi, dal fantastico; è proiettata verso qualcosa di nuovo e differente, e basa la sua forza proprio sull’impossibilità di afferrare del tutto la natura di questa novità. È uno sviluppo del fantastico, una sfumatura che allude a nuove aperture e che non per nulla si è accostata, storicamente e culturalmente, alla fantascienza. È un nuovo modo del soprannaturale, frutto dell’esposizione a fattori fondamentali per lo sviluppo del modernismo, oltre che al modernismo letterario vero e proprio.           


[1] S. Bahun, Modernism and Melancholia: Writing as Countermourning, Oxford,Oxford University Press, 2013.

[2] Ivi, pp. 20-21.

[3] Ivi, p. 65.

[4] Ivi, p. 44. A questo concetto si può accostare quanto sostenuto da Bahun sulla melancolia, la percezione dell’assenza di un oggetto che è però sistematicamente sentito come vicino (Ivi, p. 55); questa idea è facilmente assimilabile a quanto sostenuto da Fisher sull’assenza e la presenza nell’eerie.

[5] Ivi, p. 67.

[6] R. Ceserani, Il fantastico, cit., p. 67.

[7] Si pensi ad esempio all’importanza della filosofia orientale in The Waste Land di T. S. Eliot.

[8] Cfr. N. Emmelhainz, Strange collaborations, cit., pp. 52-54.

[9] Ricordiamo la già citata affermazione di innovazione e di peculiarità da parte di Hennerberger sulle pagine di “Weird Tales”, una proclamazione che implica un mercato “diverso” al quale opporsi.



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