La fantascienza nell’età iperreale: leggere P.K. Dick attraverso la sociologia della conoscenza

Se si considera l’immaginario del genere fantascienza dell’ultimo mezzo secolo, nelle sue varie forme, dai romanzi al cinema, alle serie tv e ai fumetti, si trovano molti cultori di quest’ambito che non esitano a indicare lo scrittore americano P.K. Dick come uno degli autori il cui peso nella costruzione di tale immaginario è stato più influente e pervasivo. Romanziere prolifico, dalla vita poco convenzionale, i cui libri sono oggi costantemente ristampati, Dick ha sviluppato attraverso i percorsi articolati della sua fantascienza tutta una serie di suggestioni divenute classici punti di rifermento della cultura mediatica contemporanea, come il rapporto tra soggettivo e  oggettivo, tra realtà e illusione, l’idea del senso del tempo e della sua alterazione, le possibili forme di organizzazione socio-politica del futuro nei loro canoni più distopici e inquietanti, gli usi della scienza e il ruolo di automi, mutanti, androidi e robot nelle loro relazioni con gli uomini: aspetti fondamentali di un elenco che comunque potrebbe essere ulteriormente arricchito. Su tali snodi della produzione di Dick, non sono certo mancati dibattiti e interventi, sia di critici sia di lettori e di fan, e così Dick è apparso come icona del postmoderno, visionario, cyberpunk, psichedelico, e anche, in conseguenza di alcune sue derive sotto certi aspetti teologiche o metafisiche, quasi mistico. Nella sua letteratura si possono trovare implicazioni di natura filosofica, etica, politica, sociologica, psicologica e spesso i suoi lettori concordano con l’idea che ognuno dei suoi tanti romanzi, da quelli più acclamati e riusciti a quelli meno noti, contiene trovate e idee di fondo sempre accattivanti e spiazzanti, al di là di come poi si dipanano le storie in sé.

Queste considerazioni, in definitiva, sono piuttosto note a chi ha familiarità con opere di Dick, ma tra le varie chiavi di lettura dei suoi scritti, tutte egualmente valide e apprezzabili, se ne può indicare una che forse sembra assommarle tutte; tale chiave di lettura d’insieme su cui si vuole ora indugiare, non è tanto quella filosofico-teologica, comunque corretta e diffusamente dibattuta,  ma può forse essere rintracciata rispetto alla tradizione di quella che si definiva sociologia della conoscenza. La sociologia della conoscenza, originatasi negli anni Venti del Novecento, costituisce un campo di ricerca sottile ed è interessata non solo all’empirica varietà di conoscenze nelle società umane, ma anche ai processi per cui qualsiasi complesso di conoscenze viene ad essere socialmente stabilito come realtà: è l’indagine del “senso sociale” che caratterizza l’essenza di questa disciplina, che, tuttavia, a seguito della affermazione del mondo globalizzato e individualizzato, è divenuta più marginale confluendo in una più neutra sociologia dei processi culturali (su questo aspetto mi sono già soffermato su Scenari nell’intervento del 15 dicembre 2015 L’oblio della sociologia della conoscenza: linee interpretative). Ora, se si considerano gli stilemi di Dick alla luce della sociologia della conoscenza, si può vedere come essi riflettano proprio le tematiche cruciali su cui tale disciplina si orienta. Possiamo quindi provare a delineare sinteticamente le ipotesi più emblematiche di questa argomentazione che permette una inquadratura dell’immaginario di Dick, volta a fornirci anche una sorta di schizzo della più generale evoluzione dell’immaginario contemporaneo: come osservava il sociologo Baudrillard quella di Dick è una fantascienza dell’età iperreale.

Innanzitutto, possiamo notare come la dialettica tra soggettivo e oggettivo e la idea di realtà come costruzione della mente e della società che si ritrova in molte opere di Dick –  ci piace pensare ad esempio a L’occhio nel cielo, a Labirinto di morte, oltre che al celebrato Ubik, tutti romanzi incentrati su situazione di fondo per cui i personaggi sperimentano sbalzi nella percezione del mondo che li circonda (ne L’occhio nel cielo in conseguenza di un incidente in un impianto di energia nucleare, negli altri due romanzi per circostanze ancora più fantascientifiche) – è forse il caposaldo principale della sociologia della conoscenza in tante sue tappe importanti come quelle di Scheler, Mannheim, Berger e Luckmann.
Inoltre, la sociologia della conoscenza, proprio approfondendo il senso della realtà, coglieva le distorsioni ideologiche e le modalità dei rapporti del sapere con il potere: ebbene anche questo punto è molto tipico della produzione di Dick, in cui il problema politico del potere, del controllo e del dominio, richiama spesso il discorso su società distopiche in cui alcuni uomini, attraverso condizioni fantascientifiche, in pratica costruiscono la realtà e i contesti politici: esempi in tal senso si possono trovare, secondo varie declinazioni e a diverso titolo, da E Jones creò il mondo (secondo romanzo della lunga sequela di Dick, pubblicato quando egli aveva solo 28 anni) a I simulacri (uno dei suoi libri più apprezzati, in cui tutto il gioco politico è finzione e rappresentazione),  senza tralasciare Nostri amici da Frolix 8 e Noi marziani.

Philip Kindred Dick

Se poi pensiamo che la sociologia della conoscenza insiste molto sulle dimensioni degli universi simbolici e delle rappresentazioni sociali, anche rispetto a contesti di religioni o comunque di credenze, non si può non ritrovare questo tratto nel tardo Dick de La trilogia di Valis (comprendente Valis, Divine invasioni e La trasmigrazione di Timothy Archer), essenza dell’idea dickiana della realtà-divinità in cui gli uomini si dibattono, ma si potrebbe citare ancora Labirinto di morte (nella cui premessa l’autore afferma esplicitamente di aver voluto sviluppare nel romanzo l’idea di un sistema religioso di tipo astratto e  logico).
A ben guardare, il tema della coscienza di sé in determinati contesti sociali si può considerare la costante sottesa della sociologia della conoscenza e in fondo sembra rimandare a una perpetua riflessione sui processi storico sociali, e quindi sulla relatività stessa del corso della storia e delle vicende umane che vanno in un certo modo, sebbene avrebbero potuto prendere egualmente altri indirizzi: e proprio questo nodo in Dick sembra sostanziarsi nel suo romanzo per molti versi più famoso, La svastica sul sole, in cui l’autore ci mostra non tanto una prospettiva fantascientifica ma ci proietta nello scorcio di un universo storico alternativo a quello che conosciamo, una sorta di universo parallelo, perturbante, in cui i nazisti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale.

L’immaginario fantascientifico di Dick, indubbiamente, nel suo complesso lancia stimoli di riflessione ai suoi lettori, stimoli spesso sorprendenti perché anche nei passaggi più stranianti e vagamente deliranti di alcuni suoi romanzi (si pensi a La trilogia di Valis, in cui certi riflessi autobiografici e certe fascinazioni mistiche e teologiche sono particolarmente marcati), si ritrova una interrogazione non banale del senso dell’esistenza e dei rapporti umani: a volte, in effetti, la stessa tematica cruciale delle opere di Dick, quella, come detto, del cosa è reale, in tal senso, assume anche proprio la forma più specifica e forse più sentimentale del cosa è umano e cosa no (qui un riferimento di lettura della bibliografia dickiana potrebbe essere L’androide Abramo Lincoln); nell’ottica della sociologia della conoscenza questo immaginario, l’insieme del suoi nodi concettuali, che tanto è stato ripreso (o addirittura saccheggiato secondo alcuni) negli ultimi decenni dal cinema e dai media, costituisce un elemento ormai caratterizzante della società attuale. Dick aveva colto e prefigurato certe frammentazioni, certe insicurezze, certe inquietudini, certi cortocircuiti, certe derive anche socio-politiche, che sono tutti tratti  tipici del mondo postmoderno.
Si potrebbe peraltro avanzare, solo come gioco di storia delle idee, che il parallelismo tra sociologia della conoscenza e stile di Dick sia anche una sorta di incrocio legato a un certo Zeitgeist, nel senso che tra anni Cinquanta e fine anni Sessanta (e forse fino a primi anni Settanta), anni della produzione dickiana, la sociologia della conoscenza appariva ancora un canone dello Zeitgeist intellettuale dell’epoca, se si ricorda che nel 1966 Berger e Luckmann pubblicavano negli USA il loro La realtà come costruzione sociale (Il Mulino, Bologna, 1969).
Naturalmente, la prospettiva che qui abbiamo presentato attraverso il confronto con Dick, è solo una possibile declinazione a partire da alcuni dei suoi libri che abbiamo voluto valutare: si comprende che l’obiettivo non era una critica letteraria in merito, per la quale sono altri i contesti più adeguati di riferimento, né una celebrazione di questo autore o del canone della fantascienza, di cui evidentemente non si avverte alcuna necessità specifica. Molto più sommessamente si tratta di una occasione per rimarcare ancora, attraverso Dick, attraverso la sua fantascienza, quanto nella società contemporanea il ruolo dell’immaginario, e un certo immaginario, sia divenuto o tenda a divenire sempre più cruciale per la vite degli uomini e quindi come la nostra comprensione del mondo possa passare anche per questo aspetto. Di questo vale la pena non dimenticarsi, perché in fondo anche politica, economia, cultura, religione, scienza, pur nei loro canoni istituzionali, si legano a elementi degli immaginari sociali, come appunto la sociologia della conoscenza, che ha indirizzato il nostro discorso su Dick, ci aveva proposto nella sua tradizione più vivida.



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