L’eroe che è in ognuno: “La filosofia del signore degli anelli”

Il 29 luglio è un giorno di fronte al quale gli appassionati della bibliografia tolkeniana e i cinefili non possono rimanere indifferenti. Esattamente il 29 luglio 1954 venne pubblicato per la prima volta “Il Signore degli Anelli”. In occasione del sessantaseiesimo anniversario proponiamo l’estratto del saggio “L’eroe che è in ognuno” tratto dal libro “La filosofia del Signore degli Anelli” a cura di Claudio Bonvecchio (Mimesis, 2008).

In un antico mistero popolare del Medioevo – rielaborato nei primi anni del Novecento da Hugo von Hofmannsthal – il protagonista porta il nome significativo di Jedermann, Ognuno: ossia ciascun uomo. In ogni uomo sono presenti e agiscono le medesime debolezze, le medesime fragilità, le medesime insicurezze ma anche la medesima forza, la medesima determinazione e lo stesso coraggio: come in Frodo. Significa che ciascuno – proprio partendo da se stesso – può (e deve) diventare un eroe. Ognuno, insomma, è la sostanza storica in cui si materializza – certo a livello simbolico – l’immagine archetipica dell’eroe che incontra, sulla terra, i comuni mortali: gli “Ognuno” di ogni epoca, luogo ed età. In questi “Ognuno”, l’immagine archetipica dell’eroe dovrebbe essere assunta come un modello di comportamento, riproponendo il difficile percorso che – nello specifico – l’eroe deve compiere per conquistare la meta agognata. È quel simbolico tesoro nascosto che, secondo Jung, altro non è che il mistero della personalità totale in cui coscienza e inconscio si compongono armonicamente e che rappresenta l’epilogo di quel processo trasformativo che deve coinvolgere ciascun uomo in tutta la sua esistenza: pena la sua limitatezza ontologica. 

La casa dove vive un Hobbit tratto dal set cinematografico del film di Peter Jackson. Nuova Zelanda, 2015. (Foto di traceyodea)

Nel caso de Il Signore degli Anelli, “Ognuno”, questo mistero è rappresentato da Frodo che di ogni mortale possiede tutte le caratteristiche sostanziali: talvolta quasi caricaturali. È fragile e timoroso, ha momenti di caduta e soggiace – come accadrebbe a ogni mortale – alla maligna seduzione dell’Anello del Potere di cui diventa geloso e da cui, al termine della lunga e tormentata vicenda di cui è il protagonista, stenta a staccarsi: «Sono venuto» esclama Frodo dinnanzi alla voragine infuocata del Monte Fato «Ma ora non scelgo di fare ciò per cui sono venuto. Non compirò quest’atto. L’Anello è mio!». Eppure, è a lui che si deve la vittoria sull’Oscuro Signore e la sopravvivenza della Terra di Mezzo. Tuttavia, Frodo non si considera mai – neppure per un attimo – un eroe. Anzi, rifiuta l’eroismo che gli sembra, in fondo, essere a lui estraneo e quando tutto si è concluso felicemente, manifesta solo la stanchezza di chi ha dovuto affrontare una fatica superiore alle sue forze. Si tratta della fatica improba ed inumana per Ognuno ma che Ognuno deve affrontare e portare a termine. In tutte le circostanze – e sono molte – che lo vedono in aperta contrapposizione con la sua Ombra o persino con l’Ombra qua talis – l’Ombra della totalità, l’Oscuro Signore – Frodo si rivela ben più di un uomo (anche se è un Mezzouomo). Si rivela come una sorta di superuomo: o meglio un Überbobbit. E come un uomo saggio, equilibrato ed eroico non nega la sua Ombra, ma – considerandola parte integrante di se stesso – l’affronta, integrandola nella sua personalità. L’annulla in una sintesi più alta: quella che fa di un uomo un eroe. Ma questo lo rende del tutto simile – e lo rivela il suo agire quotidiano – ad Aragorn, l’indiscutibile eroe senza macchia, senza alcun cedimento: l’archetipo dell’eroismo. Anzi – parafrasando Nietzsche – essendo “umano, troppo umano”, si rivela ancora più eroico di Aragorn che, a ben vedere, è troppo perfetto per essere umano. In linea con questo suo essere “umano troppo umano”, Frodo accetta – seppur con “timore e tremore” – lo scontro contro il simbolico drago rappresentato dal Male. Patisce il disagio e affronta i pericoli e – nella difficoltà estrema – si offre alla morte simbolica. Morte che prelude alla rinascita eroica dell’uomo nuovo che in lui si realizza pienamente: come una sorta di nuovo battesimo. Come dovrebbe avvenire per ogni uomo che intende intraprendere quel processo di trasformazione che Jung definisce di “individuazione”. Ossia: «un decorso spontaneo, naturale e autonomo, potenzialmente presente in ogni individuo, anche se questi generalmente non ne è conscio. «Esso costituisce, quale “processo di maturazione o evolutivo”, se non è ostacolato, inibito o nascosto da particolari disturbi, il parallelo psichico del processo di crescita e di invecchiamento del corpo […]. Esso […] rispettando accuratamente l’integrità e la guida della coscienza […] conduce fino a quel centro che è la sorgente e la ragione ultima del nostro essere psichico; al nucleo interiore, al Sé». Dove il Sé rappresenta la superiore sintesi o coniunctio oppositorum in cui si fondono insieme il maschile e il femminile, il paterno e il materno, il terreno e il celeste in una immagine di compiuta totalità tale da farlo assurgere a simbolo stesso del divino. Sino ad essere identificato nella tradizione occidentale con il Cristo stesso, il Dio-uomo e l’Uomo-dio: l’eroe, per eccellenza.

La filosofia del signore degli anelli a cura di Claudio Bonvecchio (Mimesis Edizioni, Milano 2008, pag. 282, 18 €)

La quotidianità dell’eroe – oltre che da Frodo – nel racconto tolkieniano è rappresentata dalla figura di Sam: una sorta di ulteriore doppio di Frodo. Sam – ancora più di Frodo – è un eroe, anche se, apparentemente, non sembra esibire nessuna caratteristica dell’eroe. Non ha la responsabilità dell’Anello (e neppure desidera averla), non ne porta il peso e non vanterà neppure l’onore di aver salvato il mondo e distrutto l’Oscuro Signore. Non possiede neppure una forza e una intelligenza particolare. Sembra, quasi, una semplice comparsa nel grande affresco tolkieniano. Eppure, quando la necessità lo impone – non diversamente dal mitico Aragorn o dallo stesso Frodo – Sam fa emergere – con spontaneità – quella “simplicitas dell’anima” che è la sua vera e straordinaria natura. Certo, è una natura semplice, spontanea e persino e rozza nella sua dura intransigenza volitiva, tuttavia è assolutamente esplicita nelle sue scelte di fondo. Sam rappresenta la semplicità primordiale dell’uomo, senza nessuna inutile mediazione: senza dubbi, incrinature o tentazioni. Sam è il positivo che – da sempre – è presente nell’animo umano e che non ha bisogno del pensiero o della coscienza per manifestarsi. Contro di lui – a differenza di Frodo – l’Oscuro Signore non ha alcun potere: non può mettere in atto alcuna segreta lusinga o subdola seduzione. Sam è la forza dell’amore è, in un certo senso, la quintessenza stessa dell’umanità a cui si può giungere con un comportamento eroico. E infatti – nei momenti cruciali – sarà Sam a prendersi cura – materialmente e spiritualmente – di Frodo, risolvendogli ogni dubbio, ogni esitazione e ogni problema. Se per un verso, appare simile al benevolo soccorritore che – nei miti, nelle fiabe e nelle leggende – agisce da deus ex machina, per un altro sembra la personificazione di quell’espressione con cui Thomas Mann termina il suo Doctor Faustus: «Ma una giusta comprensione umana, credete a me, basta a tutto». È l’umanità di Sam che salva Frodo e gli consente di essere ciò che è: ossia un eroe. Senza umanità – e questo potrebbe essere il messaggio più alto della saga di Tolkien – nessun uomo può essere un eroe. Nessun uomo può diventare, veramente, se stesso.

Questo brano è tratto da Claudio Bonvecchio, La filosofia del signore degli anelli (Mimesis Edizioni, Milano 2008, pag. 282, 18 €)



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