Ringrazio Pierre Dalla Vigna per l’intervento, sicuramente appassionato. Direi quasi livoroso. Purtroppo l’argomentazione si limita a riproporre la formula liturgica dell’antifascismo buono per ogni stagione e non entra nel merito del mio argomento. Tutto ciò che dice, infatti, non sfiora neppure lontanamente gli argomenti del mio intervento, giusto o sbagliato che fosse. Si limita a dire, in sostanza, che io sono un fascista larvato. Di più: omofobo, nazista, antisemita, e chi più ne ha più ne metta. L’imbecillità non conosce limiti, e qui ne abbiamo purtroppo l’ennesima prova. Dove abbia pescato queste divertenti accuse Dalla Vigna non lo so. Mi è tuttavia chiaro a cosa gli servano: non essendoci argomenti, si inventano prove ai danni dell’imputato. Dire che il sottoscritto è antisemita è l’equivalente della famosa pistola infilata proditoriamente in tasca allo sventurato di turno, nei gialli, per incastrarlo. Si dovrebbe vergognare Dalla Vigna a muovermi tale accusa: lo invito a trovare anche solo un goccio di antisemitismo nei miei testi. E lo stesso dicasi per l’omofobia. Tutto ciò farebbe ridere se non facesse piangere.
Lo so bene. A nulla serve che io ripeta che non sono fascista, né omofobo, né antisemita, ecc. Non c’è imbecille peggiore di chi non vuol stare a sentire. Anche perché, se mi stesse a sentire, Dalla Vigna dovrebbe confrontarsi con me e con i miei argomenti, e non con l’avatar che si è creato ad hoc e che – superfluo ricordarlo – con me non ha nulla che fare. E, ad ogni modo, mi ripeterò. Sono anch’io convinto, come già ho detto, della necessità dell’antifascismo quando il fascismo c’era. Non l’ho mai messo in discussione. Solo contesto il senso dell’antifascismo oggi, in assenza di fascismo. Tutto qui. Diventa un alibi per non prendere posizione contro il capitale. Ma su questo ho già detto, e ancora attendo risposta da Dalla Vigna. È questo il tema. La religione dell’antifascismo come valore ideale eterno è appunto una religione e non mi annovera tra i suo adepti. Mi è consentito? O ciò comporta la necessaria classificazione come fascista? Il fatto che io non sia oggi antifascista non vuol dire – l’ho ribadito ad nauseam – che io legittimi il fascismo. Sono stato chiaro su questo punto, mi pare. Il fatto che io non sia sostenitore dei matrimoni gay implica che io sia omofobo? Non credo proprio. Ma Dalla Vigna non mi legge, né mi ascolta: è animato dal sacro furor di chi deve attaccare il “nemico”. Neanche io, sia chiaro, leggo i suoi libri: ho di meglio da fare, non ne faccio mistero. E ho di meglio da fare che attaccare Dalla Vigna (non me ne voglia se gli preferisco Platone e Hegel). Ammetto però che se – ipotesi remotissima – volessi attaccare Dalla Vigna, prima lo leggerei con cura: già solo per evitarmi la penosa figura di attribuirgli cose che non ha detto. Come ricordava Gramsci, “per lodare un libro non è affatto necessario di aprirlo; ma, se si è deciso di criticarlo, è sempre prudente leggerlo. Almeno sinché l’autore è vivo…” (Quaderni del carcere, I, § 6). Ma tant’è.
Marx perse un anno della sua esistenza con l’inutile Herr Vogt. Non ne valeva la pena. Si rilegga quanto ho scritto, se si hanno dubbi. Ma, si sa, il messaggio è irricevibile quando il destinatario è irriformabile, quando sulla posa del filosofo prevale quella dello struzzo o quando, ancora, tutta l’argomentazione è un attacco ad personam. Quest’ultimo caso è il meno nobile. Offende l’intelligenza di chi lo usa. Perché Dalla Vigna vuole a tutti i costi dimostrare che il sottoscritto è fascista in pectore: espressione, cioè, dell’eterna destra fascista che vuole sdoganarsi, magari anche tramite Marx. Il complottismo, fase suprema del cretinismo! Un bel modo, appunto, per dispensarsi dalla fatica del concetto, sostituendola con l’urlo scomposto da tifoseria calcistica. L’obiettivo di Dalla Vigna non è discutere, argomentare, dialogare, pervenire insieme alla verità: deve colpire. Le sue parole sono l’equivalente di fendenti nel buio ad opera di un ubriaco. Gli interessa solo attaccare il sottoscritto, per ragioni non esplicitate. E, per questo, deve inventarsi prove a suo carico (antisemitismo, xenofobia, ecc.). Insomma, deve inventarsi di tutto per colpire senza argomentare, per distruggere senza ragionare: alla prassi socratica del logon didonai preferisce quella del rovesciamento scomposto della scacchiera. Cita Lukács. Lo citerò anch’io: il filosofo ungherese parlava di “distruzione della ragione”. Il pezzo di Dalla Vigna ne è un conclamato esempio. La ragione che esce distrutta è, naturalmente, la sua, piegata a questo patetico gioco dell’inventarsi capi d’accusa: e più precisamente i capi d’accusa con i quali all’interlocutore è negata dignità di dialogo in partenza (xenofobia, antisemitismo, ecc.).
Il fatto che oggi non si debba più lottare contro la schiavitù antica non vuol dire offendere Spartaco. Analogamente con la memoria delle vittime del fascismo. Resto convinto, con Adorno, che la memoria serva a evitare che le tragedie del passato si ripetano, e non a giustificare quelle del presente. Rispetto le vittime del fascismo, come rispetto quelle del comunismo e dell’odierno fanatismo dell’economia. Contesto il fatto che ci si sia giustamente pentiti delle atrocità del lager e del gulag e non di quelle della bomba atomica. Ma questo è un altro discorso.
Non credo vi sia molto altro da aggiungere. Agli attacchi ad personam potrei rispondere muovendone a mia volta, ma non voglio scendere a questo livello. Non mi interessa e in fondo non ho seguito neppure lontanamente l’iter biografico-intellettuale di Dalla Vigna, che invece rivela curiosità morbosa per il mio. L’argomentazione iniziale è ancora tutta lì, e aspetta di essere confutata.
Sulla famiglia: giustissimo, Engels ha detto le cose che Dalla Vigna, con scolastica pedanteria, ripete. Bene. Salvo errore, non è obbligatorio condividerle. E infatti non le condivido. Chi non le condivide e pensa che la famiglia esista è un cretino? Bene, felice di esserlo, peraltro in buona compagnia (Aristotele, Hegel, ecc.). Secondo le zoppicanti argomentazioni di Herr Dalla Vigna, anche Hegel e Aristotele, ovviamente, sarebbero xenofobi e nazisti, non ci piove. Ovvio che, per quel che mi riguarda, preferisco essere “fascista” come Hegel che “democratico” come Dalla Vigna: non ci piove. E lo rivendico.
Ho argomentato in altra sede perché penso che oggi il capitale distrugga la famiglia. Si può anche discutere di questo, e sarò lieto di farlo. Liquidare come omofobico con starnazzamenti dallavigneschi chiunque la pensi diversamente sul tema fa ridere. Blocca in partenza la libera discussione. Idem per fascismo e affini: accusare di fascismo con starnazzamenti dallavigneschi chiunque metta in discussione l’antifascismo oggi fa ridere. E così via.
Dalla Vigna cita vittime del fascismo e del nazismo: le rispetto quanto lui. E non capisco perché voglia a tutti i costi dimostrare il contrario. O forse lo capisco pure: per liquidare il mio discorso con la carta sempre vincente del fascismo larvato. Silenziandomi cioè come fascista. A Dalla Vigna piace vincere facile. All’argomentazione razionale e al logon didonai preferisce l’urlo scomposto e isterico «dagli all’untore!». In questo si risolve la sua “argomentazione”: inventarsi un nemico immaginario ideale, fascista e antisemita, omofobo e nazista, e distruggerlo. Anche un bambino potrebbe farcela. Come si dice dalle mie parti, fa fine e non impegna. Resta per me valido quanto diceva Marx nel Capitale: «sarà per me benvenuto ogni giudizio di critica scientifica». Resto in attesa. Insulti, calunnie, livore e starnazzamenti scomposti vanno a nocumento – come l’invidia di cui diceva Spinoza – del soggetto che ne fa uso e non dell’oggetto cui sono rivolti.