Ogni martedì, un estratto dal libro Homo sapiens e altre catastrofi. Per un’archeologia della globalizzazione di Telmo Pievani: il romanzo avventuroso della storia umana.
Per conoscere meglio la nostra origine, il nostro sviluppo e la nostra possibile direzione in un mondo del quale non siamo semplici spettatori ma, anche e soprattuto, attori creativi di molteplici scenari.
Ringraziamo la casa editrice Meltemi per la gentile concessione.
Prefazione
“Esplorando meraviglie”
Niles Eldredge
Il mondo oggi è un posto molto diverso da quello che era soltanto cinquant’anni fa. Intanto, i sette miliardi di esseri umani sul pianeta sono più del doppio di quanti non fossero nel 1950. L’era elettronica ha prodotto una rivoluzione nelle comunicazioni che ha accelerato il ritmo dello scambio economico internazionale, il quale ora supera il trilione di euro al giorno. Come Telmo Pievani dice nelle pagine di questo libro, questa marcia verso la globalizzazione iniziò, in realtà, centinaia di migliaia (se non addirittura milioni) di anni fa nella storia evolutiva della nostra discendenza.
Non ci sorprende che anche le nostre idee sul mondo – su come è strutturato, su come funziona e su come è arrivato a essere quello che vediamo oggi – siano notevolmente cambiate nell’ultimo mezzo secolo. Attending Marvels, il primo libro scritto dal noto paleontologo dell’American Museum of Natural History di New York, George Gaylord Simpson, è ampiamente dedicato alle storie di avventurose ricerche di fossili in Patagonia. Pubblicata nel 1934, la narrazione di Simpson inizia, drammaticamente, con colpi di fucile nella Plaza de Mayo di Buenos Aires, allo scoppio della rivoluzione del 1930. Simpson prese il titolo da una riga del romanzo Moby Dick di Melville e le meraviglie di cui parla riguardano, principalmente, il clima, la topografia, la fauna, la geologia, i fossili e le popolazioni che egli incontrò nei suoi viaggi in Patagonia. Tra le righe, però, Simpson lascia intravedere alcuni accenni del suo pensiero evoluzionistico, per il quale diverrà famoso più tardi. Uno dei miei passaggi preferiti è la sua descrizione dei tinamo, i parenti minori degli struzzi americani e delle rea sudamericane, che sono ancora in grado di volare, per quanto raramente prendano il volo. Simpson ipotizzò che, con lo scorrere del tempo, i tinamo avrebbero senza dubbio perso la loro capacità di volare, come se, a tempo debito, la selezione naturale dovesse inevitabilmente completare il suo lavoro, raggiungendo lo stadio evolutivo delle parenti rea che non sono più in grado di volare.
Nel rendere partecipi i lettori di queste sue speculazioni teoriche sul futuro dei tinamo, Simpson evidenzia il vero nodo cruciale del pensiero tradizionale sull’evoluzione: un modo di pensare radicatosi sin da quando, con la sua opera L’origine delle specie (1859), Charles Darwin convinse il mondo intellettuale che tutta la vita si era evoluta da un comune antenato nel lontano passato geologico (ora conosciuto come risalente ad almeno tre miliardi e mezzo di anni fa). Secondo questa tradizione il cambiamento evolutivo è prevalentemente direzionale, lineare, progressivo e graduale, nonché virtualmente inevitabile dato il mero scorrere del tempo geologico, nel contesto degli egualmente ineluttabili e graduali mutamenti nell’ambiente fisico a cui gli organismi si adattano. E sebbene fosse stato lo stesso Simpson a dichiarare, alcuni decenni più tardi, che l’evoluzione del cavallo era stata più “cespugliosa” (bushy) rispetto all’immagine strettamente lineare sviluppata dai suoi predecessori, nel complesso egli rimase fedele alla visione neodarwiniana tradizionale dell’evoluzione.
Come sono cambiate le cose nel corso degli anni! Naturalmente permangono controversie nell’ambito della biologia evoluzionistica ed esistono ancora sostenitori della vecchia visione di un’evoluzione graduale e lineare. Ma i dati della paleontologia, dell’ecologia e della sistematica, insieme agli sviluppi teorici che attengono alla speciazione, all’estinzione e alla struttura gerarchica dei sistemi biotici (per citarne solo tre), hanno creato niente di meno che una rivoluzione (senza fucili!) del modo in cui noi pensiamo alle “meraviglie” della storia dell’evoluzione. Noi oggi sappiamo che la maggior parte delle specie rimangono immutate (spesso per milioni di anni), senza mostrare nessuno dei cambiamenti evolutivi inevitabili che Simpson immaginò per i suoi tinamo. Vediamo oggi che la gran parte del cambiamento evolutivo è concentrato in eventi di speciazione e che tali eventi di speciazione sono di solito associati fra loro attraverso linee di discendenza non correlate, innescati da cambiamenti ambientali che portano molte delle specie preesistenti in un ecosistema regionale all’estinzione. Senza questi episodi di estinzione, ci sarebbe ben poca evoluzione. Il cambiamento tende a essere repentino e avviene dopo lunghi periodi di quiescenza evolutiva.
Telmo Pievani, con grande capacità, collega questi e altri cambiamenti nella prospettiva evolutiva con la meravigliosa storia dell’evoluzione umana. Egli ci mostra come l’evoluzione della nostra stessa specie, Homo sapiens, e dei nostri più vicini antenati, abbia seguito le stesse “regole” evolutive e sviluppato i medesimi tipi di pattern evolutivi, allo stesso modo dei trilobiti e dei dinosauri del lontano passato geologico. Lo fa con estremo rigore intellettuale, ma senza quell’inutile gergo pedante così tipico dei testi scientifici formali.
Prendere atto che l’evoluzione non è un’ineluttabile ascesa verso la perfezione, ammettere che la contingenza gioca un ruolo cruciale nella vita quotidiana come nella storia evolutiva e vedere che la nostra evoluzione rispecchia quella di tutte le altre specie che sono vissute sul pianeta ha profonde implicazioni per capire chi siamo, come siamo arrivati fin qui e dove stiamo andando. È vero, la cultura influenza la nostra storia evolutiva da almeno due milioni e mezzo di anni. È vero anche che con l’invenzione dell’agricoltura, circa diecimila anni fa, Homo sapiens è stata la prima specie a lasciare i confini dell’ecosistema locale, rendendosi autosufficiente attraverso la produzione del cibo. Così liberata dalla produttività degli ecosistemi locali, la popolazione umana è cresciuta da sei milioni a sette miliardi di unità in quei diecimila anni, distribuendosi su tutto il pianeta.
Ora noi vediamo però che, dopotutto, c’è un limite alla crescita, essendo noi diventati la prima specie economicamente integrata: il nostro raggio di azione si è espanso dall’ecosistema locale alla biosfera globale – ma noi siamo, alla fine, ancora parte del mondo dal quale proveniamo. La globalizzazione ha un prezzo molto alto: per l’ambiente, per le altre specie, per la nostra stessa diversità culturale. Abbiamo perso più di cinquecento lingue negli ultimi cento anni. E il terrorismo stesso può essere visto, a mio avviso, come una resistenza alla quasi inesorabile marcia verso la globalizzazione economica e alla sua conseguente minaccia di omogeneizzazione culturale. A nessuno piace, dopotutto, vedere le proprie tradizioni soppiantate dalle idee di altri su come vivere.
Ciononostante, nel contemplare il nostro passato, il nostro presente e il nostro potenziale futuro (o i nostri potenziali futuri), noi stiamo ancora “esplorando meraviglie”. Abbiamo nuovi strumenti per interpretare il nostro passato. Speriamo di avere la saggezza di valutare la nostra situazione attuale con ragionevolezza e di usare questi strumenti analitici per aiutare a costruire un futuro pacifico e produttivo per la nostra specie e per l’intero mondo in cui viviamo. Il libro di Telmo Pievani, mentre affrontiamo questi temi e riflettiamo su dove stiamo andando, ci offre molto “cibo per la mente”.
Niles Eldredge
American Museum of Natural History
New York, luglio 2002
Una serie di letture a puntate in questo particolare, difficile e drammatico periodo di emergenza.