Abitare lo spazio felice: La poetica dello spazio di Gaston Bachelard

Sezione Scenari:

Abitare

 

Questa sezione nasce con l’intento d’introdurre un nuovo dialogo sulle varie forme dell’abitare e su come queste siano oggetto di prerogativa estetica. Accedere, infatti, a un tipo di fenomenologia sensibile dello spazio è il punto cardine di quest’ambito.  Su questo terreno potranno incontrarsi non solo filosofi ma anche sociologi, antropologi, architetti, ingegneri, psicologi, categorie libere che siano interessate all’aspetto dello spazio nelle caratteristiche dell’esperenzialità. Approfondiremo ogni mese il tema attraverso un contributo filosofico attraverso il quale illustrare gli aspetti più profondi e poetici dell’abitare. Saremo aperti a ogni genere di confronto, purché costruttivo, rispetto agli interessi che intercorrono sul rapporto dell’individuo e della collettività con i luoghi: urbani, paesaggistici, di passaggio, introiettati in forme soggettive, oggettive e di riferimento.

 

– Il Piacere dell’Abitare – (I)

 

Nell’introdurre una prima sezione dedicata alla lettura, all’analisi degli spazi felici, degli spazi amati e intimi che ci conducono al piacere dell’abitare, ci soffermeremo sull’introduzione della Poétique de l’espace, di Gaston Bachelard. Gli elementi suggeriti da questo filosofo francese contemporaneo, possono essere d’aiuto all’interpretazione non solo degli spazi da noi già vissuti ma anche di quelli futuri e presenti. È da ricordare l’importanza di una presa di coscienza spaziale in un’epoca in cui ogni tipo di coordinata si sta dissolvendo negli specchi virtuali della quotidianità. Questo primo approccio al piacere dell’abitare, è un accostamento  allo spazio intimo difficilmente dimenticato.

 

1. “L’essere nuovo come uomo felice

Nel 1957 Gaston Bachelard pubblica La poétique de l’espace. Questo testo si colloca bibliograficamente fra Le matérialisme rationnel, lavoro di timbro epistemologico del 1953 e La poétique de la rêverie,sua penultima pubblicazione del 1960. In questo periodo, il nostro si dedica prevalentemente alla lettura di giovani poeti e alla coltivazione di giovani artisti e surrealisti ed è in questo frangente, infatti, che la sua scrittura si concentra sulle prefazioni di opere di pittori, poeti e scrittori. Forse questo sarà il periodo più ricco e libero per la sua ricerca, incentrata sempre di più sul mondo delle immagini e sull’immaginazione materiale.

Nell’introdurre questo testo interamente dedicato alle immagini dello spazio felice, Bachelard si sofferma sull’importanza del contributo dell’immaginazione. Attraverso questa funzione, il filosofo mette in evidenza le caratteristiche della felicità come elementi conseguenziali alla novità posta dall’istantaneità. Possiamo constatare infatti, come la fenomenologia dello spazio, possa rivelarsi un approccio proficuo alla costituzione di una transoggettività dell’immagine.

Il nostro proposto, in effetti, è quello di esaminare immagini molto semplici, le immagini dello spazio felice.  Da tale punto di vista, le nostre ricerche meriterebbero il nome di topofilia, in quanto esse colgono a determinare il valore umano degli spazi di possesso, degli spazi difesi contro forze avverse, degli spazi amati. Per ragioni spesso diverse e con le differenze che comportano le sfumature poetiche, si stratta di spazi lodati. Al loro valore protettivo, che può essere di segno positivo, si ricollegano anche valori immaginati e questi ultimi diventano ben presto valori dominanti. Lo spazio colto dall’immaginazione non può restare lo spazio indifferente, lasciato alla misura ed alla riflessione del geometra: esso è vissuto e lo è non solo nella sua possibilità ma con tutte le parzialità dell’immaginazione[1].”

L’interesse suscitato dall’immaginazione poetica spinge ad un’accurata speculazione dell’istantaneità, ovvero ad una temporalità dettata dalla novità. In effetti, l’immagina poetica, è secondo Bachelard, provocata dalla realtà di un evento. In questo caso, l’immagine poetica non sarà legata ad un passato seppur illustrandolo, ma rimarrà salda in un qui ed ora folgorante: “L’immagine poetica non è sottomessa ad alcun impulso, essa non è l’eco di un passato ma è piuttosto il contrario: attraverso una folgorante immagine, il passato lontano risuona di echi e non si riesce a cogliere fino a quale profondità tali echi si ripercuoteranno e si estenderanno. Nella sua novità, nella sua attività, l’immagine poetica possiede una propria essenza, un proprio dinamismo, dipende da un’ontologia diretta: ed è precisamente verso questa ontologia che desideriamo indirizzare il nostro lavoro di ricerca[2].”

L’immaginazione poetica è un’attività che si contestualizza nella sua attualità e per questo motivo, Bachelard sottolinea la necessità di adottare una fenomenologia dell’immaginazione come studio del fenomeno dell’immagine poetica in cui l’immagine “emerge alla coscienza come prodotto diretto del cuore, dell’anima, dell’essere dell’uomo colto nella sua attualità[3].” Le forme intuitive dell’immaginazione esprimono una fervente autenticità in cui l’immagine poetica si distingue come variazionale[4], a dispetto del concetto inteso come costitutivo. L’azione dell’immaginazione è mutante e libera ed in questo caso la fenomenologia prende in considerazione l’unione fra una soggettività pura ma effimera e una realtà che non giunge fino alla sua completa costituzione. L’immaginazione appartenendo a una dimensione dell’istantaneo, sarà sempre un’attività produttrice e non riproduttrice, distaccandosi dalla dimensione del passato così come quella del reale, essa si declinerà nella direzione dell’avvenire attraverso la funzione dell’irreale.

È dunque di fondamentale importanza, per la comprensione di questo testo, l’approccio bachelardiano al mondo dell’immagine poetica, intesa sotto il segno dell’istantaneo e quindi del “nuovo”: “Bisognerà concordare con noi nell’opinione che l’immagine poetica si trova sotto il segno di essere nuovo. Tale essere nuovo è l’uomo felice[5].” In questo caso, il concetto di felicità è proprio dell’immediatezza, al contrario dello psicoanalista che scava nella storia dell’uomo mostrandone le sofferenze segrete, il fenomenologo dell’immagine poetica, coglie la felicità offerta dalla parola del poeta ovvero, una felicità subitanea propria della poesia stessa: “È un fatto: la poesia contiene una felicità che le è propria, qualunque sia il dramma che essa debba illuminare[6].”

 

2. Poetiche e fenomenologie dello spazio felice: dalla casa all’universo

“In un primo luogo, come è dovere in una ricerca sulle immagini dell’intimità, poniamo il problema della poetica della casa[7].” I primi due capitoli della Poetica dello spazio, La casa. Dalla cantina alla soffitta e Casa e Universo, esplorano i punti caratterizzanti di una simbiosi fra le ragioni di una topofilia e i loro sviluppi. Bachelard, per introdurre il carattere universale della relazione fra il nostro essere intimo e la casa, si avvale di un celebre passo di Carl Gustav Jung sul condizionamento terrestre dell’anima, passaggio che è adottato per una prima volta ne La terre et les rêveries  du repos : “Dobbiamo porci di fronte allo spaccato di un edificio e fornirne una spiegazione, il piano superiore è stato costruito nel XIX secolo, il pianterreno è del XVI secolo ed un esame più minuzioso della costruzione mostra che essa è stata innalzata su una torre del II secolo. Nella cantina scopriamo fondazioni romane e sotto la cantina si trova una grotta colmata, sul cui suolo si scoprono, nello strato superiore, utensili di selce, e, negli strati più profondi, resti di fauna glaciale. Questa potrebbe essere, all’incirca, la struttura della nostra anima”. Con l’immagine della casa, ci avviciniamo a un vero e proprio principio d’integrazione psicologica, sostiene Bachelard e di conseguenza la casa è considerata come strumento di analisi per l’anima[8]. Tale corrispondenza implica un’alternanza delle immagini della casa e del nostro inconscio, in cui come il nostro inconscio alloggia in noi stessi, così la nostra anima vi dimora. Nel terzo capitolo Il cassetto, le cassepanche e gli armadi, Bachelard sposta l’attenzione dalla casa degli uomini alla casa delle cose. Attraverso le immagini dei cassetti e delle cassepanche chiuse, sviluppa una vera e propria estetica del nascosto, attraverso la quale proiettare ciò che si trova dietro l’immagine stessa. Nel quarto e quinto capitolo, rispettivamente il nido e il guscio, i due rifugi dei vertebrati e degli invertebrati, Bachelard riprende il carattere primordiale dello spazio intimo, quello della protezione. Attraverso le immagini suggerite dalla natura, si colgono ancora una volta, le attinenze con i modi dell’abitare, in cui il ritorno alla casa natale è un leitmotiv definito: “La casa-nido non è mai giovane. Si potrebbe dire, in modo pedante, che essa è il luogo naturale della funzione di abitare. Vi si ritorna, si sogna di tornarvi come l’uccello ritorna al nido, come l’agnello ritorna all’ovile. Il segno del ritorno sottolinea infinite rêveries, dal momento che i ritorni umani avvengono sul grande ritmo della vita umana, ritmo che supera gli anni, che lotta attraverso il sogno contro tutte le sue assenza. Sulle immagini accostate del nido e della casa si riversa il retentissement di una componente intima di fedeltà[9].”

Tutti gli spazi di una casa natale o immaginaria, sono fondamentali per la lettura della nostra vita attraverso le stagioni dell’età. Il capitolo successivo Gli angoli, è dedicato agli spazi dell’infanzia, quelli in cui rannicchiarsi, dove lo spazio assume un ruolo fondamentale nella formazione del bambino. Le immagini che evocano gli spazi dove nascondersi, rappresentazione il grado più intimo ad un’educazione dell’abitare: “Nelle nostre stesse casa, in effetti, non troviamo forse luoghi appartati ed angoli in cui ci piace andarci a rannicchiare? Rannicchiarsi appartiene alla fenomenologia del verbo abitare. Soltanto chi ha saputo rannicchiarsi sa abitare con intensità[10].”

Questa prima parte della Poetica dello spazio, descrive i luoghi della nostra infanzia, del nostro vissuto che ritornano attraverso le stanze, i profumi di lavanda nei cassetti, la luce soffusa della soffitta, il buio della cantina. A questo punto, Bachelard, decide di suggellare la dimensione intima dello spazio, come dimensione felice attraverso il settimo e l’ottavo capitolo La miniatura e L’immensità intima, in cui la questione del piccolo si riscontra con quella del grande, dando vita ad una dialettica costitutiva dello spazio. “Questi due capitoli non sono poi così antitetici come potrebbe pensarsi: nell’uno e nell’altro caso, il piccolo ed il grande non vanno colti nella loro oggettività. Scrivendo questo libro noi li abbiamo considerati come i due poli di una proiezione di immagini… Qui si tratta invece di una partecipazione più intima al movimento dell’immagine: ad esempio dovremmo provare, seguendo certe poesie, che l’impressione dell’immensità si trova in noi e non è legata necessariamente ad un oggetto[11].” La miniatura prelude ad una trattazione più ampia della dimensione intima, attraverso la quale introiettare la vastità dell’esterno. “L’immensità è in noi, è legata ad una sorta di espansione di essere che la vita frena e la prudenza arresta[12].”

La dialettica del grande e del piccolo è speculare al nono capitolo del libro, La dialettica del fuori e del dentro, dove lo spazio è definitivamente inserito in una fenomenologia d’immagini dal valore ontologico. Questa spirale del dentro fuori rappresenta la circolarità dell’essere in tutte le sue forme. L’essere per Bachelard è entre-ouvert, ovvero socchiuso, una formula che rimanda a un binomio strutturale nel quale troviamo tutti gli elementi del nostro rapporto con lo spazio e quindi con noi stessi. “ Chiuso nell’essere, bisognerà sempre che ne esca, appena uscito dall’essere, bisognerà sempre rientrarvi. In tal modo nell’essere, tutto è circuito, tutto è rigiro, tutto è ritorno, discorso, tutto è uno sgranarsi di soggiorni, tutto è ritornello di strofe senza fine[13].”  A conclusione di questa lunga trattazione d’immagini spaziali, Bachelard sceglie l’immagine del rotondo come emblema di una definizione ontologica e allo stesso tempo come apertura simbolica. Nell’ultimo capitolo, La fenomenologia del rotondo, è ancora una volta, l’analisi dell’intimità a spingere Bachelard nell’utilizzo di un’immagine così forte come quella della sfera che si distanzia enormemente da quella fredda e razionale del cerchio geometrico. Riprendendo Jaspers, egli ci ricorda che “Ogni essere sembra in sé rotondo”, vale a dire che la dimensione effettiva dell’essere è in quella metafisica concreta del das Dasein ist rund, attraverso la quale la dimensione spaziale aderisce perfettamente a quella esistenziale.

 

 

Le intenzioni di Bachelard nel descrivere una fenomenologia dello spazio, rimangono ancora oggi raffinatamente sibilline. Gli spazi della casa, come quelli dell’universo, sono contraddistinti dal coinvolgimento spirituale dell’essere umano. Gli esempi degli spazi primordiali, delle immagini intime del nascosto, delle miniature, delle chincaglierie ci riportano a quei luoghi vissuti, le nostre case d’infanzia, la casa dei nonni, la casa al mare o in campagna, dove abbiamo lasciato i nostri ricordi, gli oggetti che non abbiamo usato più ma che abbiamo ritrovato, quaderni ingialliti dal tempo che raccontano di pensieri andati e musiche dimenticate. Un bagaglio interiore enorme, vasto, proprio come l’Universo in cui siamo piacevolmente cullati.

 

[1] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, traduzione italiana a cura di Ettore Catalano, Dedalo, Bari, 1957, 4 ristampa 1993, p.25,26

[2] Ivi, p.6

[3] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, p.7

[4] Ivi, p.8

[5] Ivi, p.20

[6] Ibidem

[7] Ivi, p.26

[8] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, p. 27

[9] Ivi, p.123

[10] Ivi, p.28

[11] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, p.29

[12] Ivi, p. 206

[13] Ivi, p. 235


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