“Io so di non sapere” affermava Socrate nella Grecia classica, “Sapere è potere” ammoniva Bacone all’inizio della Modernità, “Sapere aude” sosteneva Kant, spiegando l’Illuminismo. Queste massime, e altre che si potrebbero ricordare, illustrano in modo evocativo come la dimensione del sapere ha costituito spesso una tappa fondamentale nelle grandi svolte evolutive del pensiero umano: esso rappresenta in definitiva uno degli elementi distintivi della civiltà e ha una connotazione sociale importante, perché è nel momento in cui gli uomini se lo tramandano, lo organizzano, lo gestiscono, lo puntualizzano, lo perfezionano, lo istituzionalizzano, che esso permette loro di raggiungere obiettivi, migliorare la propria esistenza, comprendere e risolvere i problemi, indirizzare le loro vite. Ma il sapere non è una dimensione univoca, esso assume configurazioni diverse che danno luogo a implicazioni diverse: l’insieme di queste configurazioni e implicazioni determina effetti sociali, politici e epistemologici complessi e articolati; ogni epoca storica è caratterizzata da questa condizione e in questa sede può essere interessante cercare di focalizzare sinteticamente l’attenzione sulla situazione del sapere nel mondo del XXI secolo: pur attraverso brevi ma sostanziali considerazioni, a volte, è infatti possibile aprire vie di riflessione.
Già del Novecento il discorso sul sapere diventa sempre più ambiguo e insidioso – basti ricordare i dibattiti sulla crisi della razionalità a partire da Husserl (si veda Husserl, E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1997) o i dibattitti epistemologici legati a Popper, Kuhn e Feyerabend ( si veda Lakatos, I. – Musgrave,A. (a cura di), critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1993) – e giunti nel XXI secolo, esso va avvicinato con opportuna cautela.
Nell età contemporanea due sembrano essere le declinazioni più rilevanti della dimensione del sapere: il sapere come scienza e il sapere come cultura.
La scienza ha assunto un ruolo decisivo nel mondo attuale, tanto più quando essa si associa con sempre maggiore incidenza a tecniche che toccano la vita umana : il canone scientifico basato sulla logica, sulla sperimentazione, sulla quantificazione, sulla enumerazione, sulla classificazione, costituisce la modalità ritenuta più confacente perché possa definirsi un sapere.
La seconda declinazione importante del sapere è quella che può individuarlo come cultura, ossia come insieme di pratiche condivise, comunque rilevanti e di un certo interesse che accomuna le persone ; la cultura può ovviamente essere scientifica, ma non solo: essa può avere una connotazione anche artistica o letteraria, oppure musicale o ludica, o sportiva.
Più sottile invece diventa il discorso se vogliamo ricondurre il sapere alla coscienza. La coscienza è una forma di consapevolezza, di capacità di autoriflessione e valutazione critica. Non necessariamente nella scienza e nella cultura c’è sempre un elemento di coscienza: certo, vi sono casi in cui essa si rileva, ma non vi è una identificazione costante in tal senso. La vicenda della modernità in particolare ha scisso il canone del giusto dal buono e dal bello e, quindi, una scoperta scientifica può essere giusta nel senso di esatta e corretta, ma non per forza buona ossia moralmente accettabile; e, allo stesso modo, un’opera culturale può essere bella, esteticamente appagante, anche di successo economico, ma del tutto priva di significati profondi.
Infine, il sapere di può interpretare come conoscenza in generale, ovvero come una qualunque attività cognitiva attraverso cui costituiamo informazioni. La conoscenza è quindi la forma di sapere più neutra e globale, perché non necessariamente è scientifica, può in effetti esserci anche una conoscenza religiosa o legata a un immaginario, e non necessariamente è culturale, poiché la conoscenza può non essere condivisa come una cultura; e, infine, la conoscenza può non coincidere con la coscienza, poiché possiamo disporre di conoscenza senza implicazioni di coscienza.
Ora, tutte queste declinazioni del sapere hanno una importanza e una specificità, spesso legate ai contesti sociali che li producono o li avvallano. Non è nemmeno escluso o escludibile che tali dimensioni a volte convivano e coesistano, come pure che si contrastino a vicenda. Nel mondo del XXI secolo, probabilmente, il discorso sul sapere come scienza e come cultura è quello più riconosciuto e discusso, quello meglio esplorato. Ma le dimensioni della conoscenza e della coscienza, pur se forse, sotto diversi aspetti, più eteree, più sfuggenti, meno strumentali, possono avere un significato non trascurabile. L’idea di conoscenza in generale apre le porte di infiniti universi simbolici. L’idea di coscienza, invece, ci restituisce la dimensione del sapere nella sua implicazione più filosofica, anche più politica in un certo senso, perché è la coscienza il canone che distingue il modo possibile di sapere dell’uomo e della civiltà da quello degli animali( che a loro modo “sanno” delle cose) e dei contesti privi di qualsiasi forma di civiltà, scrittura e storia.
Questa breve catalogazione, sviluppata in modo leggero e volta a ispirare più che a appagare desideri di approfondimento, in piena consapevolezza che essa richiederebbe in realtà spazi e trattazioni più ampie, non ha naturalmente pretese di sorta, né intende proporre una possibile graduatoria della validità e delle scelte sulle forme di sapere che abitano il mondo contemporaneo e in generale tutta la vicenda storica dell’umanità. Più semplicemente, però provare ad avere una prima impostazione di questo problema delle forme del sapere e del modo in cui ci rapportiamo ad esse può costituire un passo non trascurabile per evitare di cadere in dogmatismi ingenui della più svariata natura.
Il sapere nell’età globale è ancora un tema su cui vale la pena di interrogarsi: al netto di una fase che con disinvoltura assume tra propri riferimenti per elaborare pensieri, fashion blogger, influencer, youtuber, guru aziendali e figure analoghe, recuperare almeno una preliminare idea di articolazione e complessità del sapere restituisce una chiave di lettura che ricorda come la nostra vicenda sia frutto di tanti aspetti anche contraddittori la cui dialettica non possiamo rimuovere. Tra dimensioni filosofiche e sociologiche, psico-cognitive e epistemologiche, mistiche e esoteriche, il sapere solletica sempre l’intelletto umano ma il rapporto dell’intelletto umano con il sapere non è scevro di inquietudini e aporie. Il celebre romanzo di Elias Canetti Auto da fè (Garzanti, Milano, 1987), il cui protagonista è uno studioso completamente assorto nella sua attività di sapere attraverso i libri della sua immane biblioteca, mostra anche indicativamente certi squilibri che il sapere può suscitare, determinando le paradossali situazioni di rapporti distorti tra mente e mondo, che possono sostanziarsi, per usare le argomentazioni di Canetti, in una testa avulsa dal mondo o in un mondo senza testa. E allora pensare al sapere, pensare il sapere nelle sue forme molteplici, e fare tutto ciò con misura e buon senso è uno dei modi per cogliere accuratamente, senza abbagli e illusioni, la dimensione prismatica dell’esistenza, il cui sempre ambivalente percorso non è né frutto di sole contingenze(come vorrebbe suggerire un relativismo troppo lassista), né della nostra sola volontà(come sembrerebbero proporre certe arroganti presunzioni).