Viviamo un periodo storico dove si assiste, ogni giorno, a una deformazione della cultura usata e gestita come strumento di profitto e di conquista di potere. Il mondo virtuale, che pervade quasi tutto il nostro mondo personale, è invaso da operazioni politiche, economiche, d’immagine, e dove la persuasione occulta è, spesso, la regola. In questo mondo le leggi sono una nuvola che passa, si dissolve e ritorna quando è utile a qualche interesse.
Come strumento di profitto la cultura è intesa come retorica del potere, reale o virtuale, e come capacità di persuasione funzionale agli interessi economici di chi la gestisce.
Come potere reale la cultura svolge una funzione direttamente persuasiva funzionale alla vendita e quindi agli interessi monetari. Come potere virtuale svolge una funzione d’incentivazione dei desideri e dei relativi bisogni (reali o indotti). Per produrre economia, in senso capitalistico, la cultura deve sottostare alle regole della produzione di valori economici, deve appartenere in pieno al mondo del plusvalore nel ciclo “valore del prodotto culturale”–“valore del lavoro intellettuale”. Nel caso della cultura il valore del prodotto non è legato necessariamente a un oggetto specifico, un libro o un e-boock, ma è legato, essenzialmente, a incrementare un’immagine dell’autore o della casa editrice che rende quel prodotto valido nel mercato (desiderabile) e che non corrisponde, spesso, a una qualità del prodotto intellettuale. È evidente il caso diffuso dei blog dove s’invita alla partecipazione, non remunerata, a un movimento intellettuale senza regole o con regole del vuoto culturale che ancora persiste dalla notte dei tempi (generalmente “leave a comment”; “è interessante…”; “sono d’accordo…”; “ho apprezzato il suo articolo…”; “molto molto interessante…”; ecc.). Non ha importanza quello che si dice, se non è contro gli interessi della gestione, basta che si crei un movimento funzionale agli interessi in gioco.
Come strumento di profitto la cultura deve interpretare le attese dell’utente virtuale che è a sua volta influenzato, se non formato, dal mondo virtuale gestito dalle multinazionali del consumo in un ciclo perverso produttore-consumatore.
Come strumento di potere la cultura ha bisogno di un luogo dove esprimersi e dove rimarcare la propria esistenza egemonica ha bisogno, di uno spazio egemonico, di occupare uno spazio culturale. A tal fine per costruire e mantenere la propria egemonia è necessario appropriarsi di un concetto, o di inventarne uno, a giustificazione della propria esistenza culturale, a santificazione della propria immagine.
Ė un chiaro esempio la nuova figura del “Culturalstar” (possibilmente con referenze TV o Facebook) e il sistema delle conferenze dove una conferenza viene trasformata, con poco sforzo e molto reddito, in libro da comprare e dove, probabilmente, se ci sono interventi negativi non vengono registrati.
La conquista del potere, di qualunque tipo, ha sempre avuto bisogno del supporto di una forma di cultura per relazionarsi con le masse e per giustificare la propria esistenza egemonica. Le ideologie, che erano un’interpretazione della realtà sociale, sono diventate delle “quasi” (a volte sgrammaticate) retoriche vuote di senso, senza un supporto logico e piene solo di aspirazioni di potere.
Tutto ciò non esprime uno scetticismo sulla funzione e sull’esistenza della cultura, quella vera, ma esprime solo la difficoltà nei nostri tempi a continuare ad agire nel senso dello sviluppo della cultura come un approfondimento della conoscenza del mondo che ci circonda.
Ė evidente che ogni luogo di azione, oggi nella società occidentale e non solo, per esistere ha bisogno di un supporto economico, ma esistono modi diversi di fare economia senza sopprimere la voce della cultura vera, senza sopprimere lo sforzo di chi con tutte le difficoltà, gli errori e le contraddizioni del caso cerca di far avanzare, a proprie spese, la conoscenza del mondo che ci circonda.
Ė compito di chi gestisce la cultura di trovare un giusto rapporto di mediazione tra le esigenze economiche e l’esigenza di un progredire della conoscenza senza entrare in contraddizione con se stessi e con la propria origine.