Ripensare Cefis

 

 

Ringrazio il professor Giuseppe Lanzavecchia per il suo interessantissimo intervento di commento al mio articolo su Pasolini e Cefis. Si ricorda e si conosce molto poco dell’operato di Cefis, un grande manager italiano delle aziende di stato. Scrivo dalle terre che gli diedero i natali, dove mi pare non si comprenda che quello è stato il più importante e influente uomo pubblico nato in Friuli del secolo scorso. Più importante di Lino Zanussi, di Loris Fortuna, che però era nato a Breno, di Tiziano Tessitori. Poter entrare in contatto con chi preparava i suoi interventi è una occasione veramente preziosa. Mi permetta pertanto di rivolgerle qualche domanda.

L’articolo da lei commentato era un estratto di un paragrafo del libro su Pasolini e il terrorismo politico appena uscito in quel periodo. All’interno del volume avevo dedicato una più ampia interpretazione del ruolo e, io credo, dell’influenza esercitata da Cefis su Pasolini, in positivo e non solo in negativo, come comunemente si pensa. La pubblicistica sull’argomento, a cominciare dal famoso libro sulla Razza padrona di Scalfari e Turani, tende infatti a dipingere esclusivamente un ruolo da ‘cattivo’ per Cefis. Nell’ordine avrebbe commissionato l’omicidio di Mattei, se non addirittura già quello del comandante partigiano Di Dio, commesso una serie di attività illecite ai danni dello stato, corrotto uomini e partiti, come i taxi di Mattei, fondato e diretto la P2 e forse fatto uccidere anche Pasolini. Insomma non un semplice cattivo, ma un genio del male. Talmente abile da fuggire a Lugano prima di essere, si dice, arrestato nel caldissimo 1977. Io non so se tutto questo, in parte avallato anche da Pasolini, è vero, so solo che sentenze definitive della magistratura non vi sono nei suoi confronti. Sono abituato a credere ai magistrati più che ai giornalisti e ai critici letterari. Credo poi anche agli storici, all’occhio lungo degli storici, quello che possedeva anche il poeta di Casarsa, che però dovrebbero capire meglio il ruolo centrale di questo cividalese per la storia d’Italia. Al netto pertanto delle illazioni, io credo che ci dovremmo concentrare su ciò che possiamo dire con certezza dell’operato di Cefis. E lei potrebbe in questo senso offrire un contributo fondamentale, soprattutto intorno alla potenza di quel ‘nuovo potere’ capace di orientare e dirigere “ogni attività e concezione fisica e mentale e la struttura stessa della società mondiale con la distruzione di quella esistente e la costruzione di una nuova, logica e anarchica al contempo”. Per quel che riguarda il mio piccolo settore di competenze, io credo invece che Eugenio Cefis abbia esercitato anche una funzione di stimolo per le idee politiche del poeta friulano, forse addirittura per quella parte della sua riflessione che potrebbe andare sotto il titolo generale di filosofia della storia, e cioè la dottrina della mutazione antropologica. Ciò che avevo taciuto in quella occasione, soprattutto perché non avevo trovato sufficiente documentazione, che ora c’è, è il rinvio ad altri due discorsi di Cefis che Pasolini fa. Già quello all’Accademia modenese del febbraio 1972 è di difficile reperibilità. Come sa Pasolini lo aveva ottenuto nel settembre 1974 grazie allo psicanalista Elvio Fachinelli che glielo aveva inviato insieme al noto libro di Giorgio Steimetz, eteronimo di Corrado Ragozzino, la cui storia è riassunta dal poeta Gianni D’Elia nei volumi per Effigie. Lo stesso editore Giovanni Giovannini  insieme con Carla Benedetti hanno precisato nel recente, riedito e accresciuto volume dal titolo Frocio e basta (2012 e 2016 seconda edizione) che si tratta di tre discorsi, pubblicati in una appendice della nuova edizione, che Pasolini voleva inserire come cesura tra la prima e la seconda parte di Petrolio. Poiché sono meno noti de La mia patria si chiama multinazionale è bene ricordarli. Si tratta di Un caso interessante: la Montedison, che avrebbe dovuto tenere, ma infine non pronunciò, alla Scuola di cultura cattolica di Vicenza nel marzo 1973, e de L’industria chimica e i problemi dello sviluppo tenuto al Centro Alti Studi per la Difesa a Roma nel giugno 1974.

Diversamente da quello di Modena, incentrato sul ruolo delle multinazionali, si tratta di due documenti di analisi della società italiana, del ruolo centrale della chimica per lo sviluppo di tutta l’economia e delle difficoltà in cui versava la Montedison. Sono meno noti del primo perché in essi non si trovano quelle parti che hanno fatto preoccupare molti sul nuovo potere e sul ruolo chiave dei militari nella società futura. L’opinione più diffusa sul discorso di Modena lo dipinge come un neanche tanto velato dispositivo di propositi golpistico-autoritari. Se si leggono con attenzione i due discorsi meno noti, si può trovare una analisi raffinata della crisi della società italiana con sorprendenti vicinanze a certe tesi pasoliniane. Cefis esalta l’attività industriale ma deplora il fatto che in Italia essa abbia prodotto una vera e propria emarginazione del settore primario. Una forte agricoltura, sorretta dalla chimica, avrebbe potuto controbilanciare gli squilibri di uno sviluppo perverso. Quello sviluppo perverso e intrecciato di edonismo, volgarità consumistica e corruzione, Pasolini lo chiamava mutazione antropologica. Tra i temi portanti di quel discorso, oltre alla rivalutazione dell’agricoltura, c’è la sottolineatura del ruolo centrale della chimica, che è capace di determinare influssi positivi non solo sull’edilizia e sul tessile ma anche sull’industria farmaceutica e soprattutto sull’ambiente. Può sembrare strano ma l’accento di Cefis cade più volte sul problema dell’ambiente e dell’inquinamento. Dopo un Cefis a suo modo europeista del discorso di Modena, ecco un Cefis ambientalista ed anticonsumista nel discorso di Roma. Non so quanti in Italia all’epoca manifestavano tale preoccupazione in pubblico. Prima di Seveso, di Three Mile Island, di Bohpal, di Chernobyl, prima di radicali e verdi, finora considerati i primi ecologisti in Italia. Cefis era talmente avanti che poteva suggerire argomenti anche alla sinistra non comunista.Anche su questi due discorsi lei sa qualcosa di più?

Non nell’articolo per Scenari, ma nella versione più lunga sì, facevo menzione di quella che secondo me fu la principale fonte ispiratrice di Cefis, ovvero del professor Lanzavecchia, e cioè il volume The Multinationals, trad. it Mondadori gennaio 1972, di Christopher Tugendhat, come ora riconosce anche Giovannini (p. 158). Poiché la conosco per studioso molto attento alla pubblicistica anche e sopratutto di lingua inglese per esempio nei suoi volumi sul lavoro (1996 e 2014), immagino che quel testo di Tugendhat le abbia fornito una buona quantità di dati ed argomenti.

Dopo aver letto il discorso di Roma, quello pronunciato al Centro Alti Studi per la Difesa che contiene una sintetica, precisa ed accurata descrizione dello sviluppo dell’industria chimica in Italia, e mi chiedo chi meglio di lui poteva farlo, la prima sensazione è stata quella di avvicinarlo, per la conoscenza profonda delle tematiche affrontate, alle perspicue illustrazioni che Herbert Marcuse produceva della composizione sociale della Germania nazista agli uffici analisi dell’OSS. Voglio dire che uno degli aspetti più affascinanti di Cefis è il suo ruolo nelle attività di intelligence, direi multinazionale. Perché Cefis non fu solo un grande manager pubblico, fu anche uomo di intelligence, dagli esordi nella resistenza proprio con l’OSS e con il nostro SIM, ai rapporti con l’intelligence inglese e sicuramente anche svizzera e su su fino a quelli col SIFAR e col SID, già rivelati dagli articoli sull’Espresso di Catalano del 1974, che catturarono immediatamente l’attenzione di Pasolini. Nel 1977 in Italia c’è la seconda riforma, ma sarebbe meglio dire bonifica, non proprio compiuta, dei servizi segreti del dopoguerra. Cambiano nome, diventano Sismi e Sisde. Cefis se ne va in Svizzera sconcertando perfino Cuccia.



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