Oggi il liceo classico in Italia è in crisi. Lo dicono i numeri: le iscrizioni sono scese al 6%, la percentuale degli iscritti è sempre più di genere femminile e localizzata al Sud, gli indirizzi di studio universitari in uscita dal liceo si concentrano troppo su Lettere e Giurisprudenza. Nei centri minori si stenta a costituire le classi della IV ginnasio, con ulteriore perdita di iscrizioni in un circolo vizioso che va spezzato. La sperimentazione della riduzione della durata a quattro anni non sembra una risposta efficace ai problemi, anzi. Molti sostengono che la ragione fondamentale del calo delle iscrizioni sia da attribuire alla crisi economica. Ma le cause della crisi sono più profonde.
Il Liceo Classico rappresenta nell’immaginario collettivo del nostro Paese la scuola principe per antonomasia, frequentata dall’aspirante classe dirigente, al vertice della piramide che, tradizionalmente, vedeva in ordine decrescente, il Liceo Scientifico, l’Istituto Magistrale, gli Istituti Tecnici, gli Istituti Professionali, la Formazione Professionale. La recente riforma del 2010 ha inciso sui Tecnici e sui Professionali, meno sui Licei, in minima parte sul Liceo Classico. Rispetto all’impostazione gentiliana del 1923, la lingua straniera e le scienze, prima confinate rispettivamente al biennio ed al triennio, sono ora quinquennali. Per il resto, si è mantenuto l’impianto definito da Gentile. Perché? Perché in Italia «chi tocca il liceo classico muore». E così si preferisce che sia piuttosto il liceo classico a morire lentamente.
Si ritiene intoccabile un modello elaborato quasi un secolo fa da un esponente dell’idealismo italiano, una corrente filosofica recepita con un ritardo di circa un secolo rispetto alla sua matrice tedesca e che ha sostanzialmente monopolizzato il dibattito culturale nazionale almeno sino agli anni Sessanta.
Va recuperata invece una dimensione legata all’uomo leonardesco-vitruviano, in cui l’individuo è inteso come un tutto e in cui la sfera umanistica e quella scientifica non si contrappongono, ma si rafforzano vicendevolmente. La prospettiva migliore per riferirci alla classicità non è quella idealistica, ma quella della tradizione dell’umanesimo rinascimentale, che ha come caratteristica principale la riscoperta dell’uomo attraverso la ricerca e la letteratura dei classici latini e greci: humanae litterae o studia humanitatis, da cui appunto il termine Umanesimo. In sintesi è necessario un Nuovo Liceo Classico «più classico e meno idealista».
I capi di accusa sono quattro. Essi corrispondono ad altrettante proposte per cercare di far fuoriuscire il liceo classico dalle secche in cui si sta arenando da tempo.
1 Un grammaticismo fine a se stesso: la grammatica nasce dal testo ed è per il testo
Il grammaticismo continua a influenzare negativamente tutta la scuola italiana secondaria di primo e di secondo grado. Soprattutto in quarta e quinta ginnasio si insiste su forme spinte di tecnicismo linguistico. Si parte dall’astratto, dalle norme per poi applicarle e non viceversa, cioè prendere il via dai problemi per arrivare alle regole come insegnava John Dewey.
Si tende ancora ad utilizzare il testo in funzione della grammatica e non viceversa. L’obiettivo del lavoro di analisi letteraria è il testo con il suo tessuto linguistico e il suo sfondo storico culturale, non invece i veicoli che al testo conducono o gli strumenti che sul testo consentono di operare. Come afferma Quaglia (2003): «Il testo è il cuore dell’insegnamento liceale» e «la grammatica nasce dal testo ed è per il testo». La grammatica è un supporto, una chiave di lettura, la strada da percorrere per incontrare quei particolari concentrati di esperienza umana ed estetica che sono i testi letterari, non il fine dello studio. Una separazione degli studi con l’apprendimento della grammatica concentrata nel biennio del Ginnasio e l’analisi dei testi prevalentemente dislocata nel triennio del Liceo è uno dei mali più gravi che affliggano il nostro Liceo Classico. Una separazione che in certe realtà assume quasi la natura di una ghettizzazione del biennio dove, al di là dell’architettura morfologica, non si lascia intravedere lo spiraglio di una sensata operazione di lettura.
Una tale separazione è una delle determinanti della dispersione dei primi anni del liceo classico. Gli allievi sono disposti ad accettare le più pesanti fatiche mnemoniche, se intuiscono che, al di là del deserto della cieca ingurgitazione meccanica, si aprono i territori del dinamismo intellettuale, e il fascino incontenibile della dialettica delle forme.
L’auspicio è quindi quello di superare una separazione antistorica, rivedere l’organizzazione degli studi ponendo al centro dell’insegnamento i testi ed attribuendo alla grammatica il suo corretto ruolo: nasce dal testo ed è per il testo. Il risultato auspicato è che nel Nuovo Liceo Classico ci sia «meno dispersione e più passione».
2 Assenza dei laboratori umanistici: per una rifondazione metodologica
Come mai nei conservatori si insegna a comporre musica, nelle accademie a dipingere ed a scolpire, nelle scuole tecniche e professionali a costruire apparati, mentre nei licei classici non si scrivono romanzi o raccolte di poesie? Perché si approfondiscono solo opere già scritte? Perché si fa solo storia della letteratura e non si fa letteratura? Perché non sono presenti i laboratori umanistici?
La questione è correlata ad un’impostazione didattica dove dovrebbero auto-rinforzarsi in un circolo virtuoso insegnamento e apprendimento, pensiero e azione, teoria e prassi, approccio deduttivo e induttivo, sapere e saper fare, attività intellettuali e pratiche, astrazione logico- concettuale e azione empirico-fattuale, logos e physis, trasmissività e laboratorialità.
Learning centred education, problem based learning, cooperative learning, peer education, learning by doing sono approcci educativi che stimolano l’autonomia e la motivazione dello studente, favoriscono l’interazione sociale, le abilità organizzative, l’imparare ad imparare e la capacità di problem solving. Sono approcci che non possono essere assenti in un Nuovo Liceo Classico capace di aprirsi alla modernità. Non sono necessarie modifiche ordinamentali, c’è bisogno di una rifondazione metodologica.
3 Assenza della didattica per competenze: per l’adozione dell’European Qualification Framework
Il compito primario della scuola e le finalità dell’apprendimento vertono sulla costruzione e sullo sviluppo di competenze. Una scuola di sole nozioni e conoscenze non è una scuola di cultura. E’ la differenza tra erudizione e cultura, che già Montaigne indicò lucidamente.
La didattica per competenze è un ulteriore passo rispetto all’educazione tradizionalmente intesa: presuppone un coinvolgimento attivo del discente; i saperi e le conoscenze sono intese come elementi agiti, declinati dallo studente secondo le sue capacità e i suoi vissuti.
Al discente è richiesto di più di una semplice riproduzione della conoscenza. Ogni competenza presuppone dimensioni cognitive, abilità, attitudini, valori, emozioni, fattori sociali e comportamentali. Si acquisisce in contesti educativi formali (la scuola), non formali (la famiglia, i media, le organizzazioni culturali, ricreative, il luogo di lavoro, ecc.), informali (la vita sociale nel suo complesso).
Se i saperi si acquisiscono mediante la trasmissione, le competenze non sono trasmissibili direttamente, ma necessitano di uno sviluppo legato all’esperienza, ossia in situazione. Le competenze si esprimono nell’esercizio di determinate attività, e come tali sono in parte visibili e in parte implicite. Le prestazioni costituiscono la forma attualizzata della competenza, in termini osservabili e misurabili.
Durante la recente riforma la didattica per competenze è stata introdotta nei nuovi ordinamenti dell’istruzione tecnica e professionale, mentre questo non è avvenuto per quella liceale dove le due parole chiave sono state: conoscenze espresse in unità di contenuto e confini disciplinari. La cosa è tanto più grave se considerata all’interno del processo di internazionalizzazione del sistema educativo europeo che intende fornire una nuova opportunità ai cittadini europei, facilitandone la mobilità e la formazione anche al di fuori del proprio paese di origine.
Ciò ha richiesto l’adozione di accordi e strumenti relativi alle cosiddette qualifications, al riconoscimento e trasferimento dei crediti formativi, alla garanzia reciproca di qualità. Il riferimento condiviso delle qualificazioni e dei titoli di studio è costituito dal «quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente» (European Qualification Framework for Lifelong Learning – EQF). L’EQF è stato adottato formalmente con la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio il 23 aprile 2008. Esso si sostanzia in un framework – costituito da una griglia di otto livelli che descrivono conoscenze/abilità acquisite da chi apprende – per facilitare il riconoscimento dei titoli e delle qualificazioni in ambito europeo, l’occupabilità, la mobilità e l’integrazione sociale dei lavoratori e dei discenti.
Un Nuovo Liceo Classico non può rimanere tagliato fuori da questi processi europei di integrazione dei sistemi formativi e professionali. L’adozione della didattica per competenze e dell’EQF rappresentano obiettivi non più rinviabili. Le competenze devono essere recepite nel Nuovo Liceo Classico perché sia una scuola capace di inserirsi nella dimensione europea.
4 Alternanza scuola-lavoro da avviare: per imparare dentro e fuori le mura scolastiche.
Il concetto di out of school learning richiede alle istituzioni educative del XXI secolo di «sconfinare dalle proprie aule in senso fisico e mentale, per poter interpretare le esigenze formative di ciascun discente e tradurle in una istruzione capace di proiettarlo dallo specifico ambito scolastico al più ampio contesto culturale, sociale ed economico» (Berlinguer e Guetti, 2014, p.34). In questa logica l’alternanza scuola-lavoro può svolgere un ruolo fondamentale.
Il regolamento dei nuovi licei consente, a partire dal secondo biennio, percorsi di alternanza scuola-lavoro, nonché l’attivazione di moduli e di iniziative di studio-lavoro per progetti, di esperienze pratiche e di tirocinio.
L’alternanza scuola-lavoro, contrariamente a tirocini e alle esperienze di studio-lavoro, è per sua natura curricolare, quindi impatta direttamente sul curricolo, senza rimanere relegata ad attività extracurricolari, pur significative e può modificarne la portata formativa. Attraverso la progettazione di percorsi in alternanza è possibile reinterpretare alcune componenti del curricolo in termini di percorsi in cui i saperi teorici, contestuali e procedurali si intreccino sempre più con il saper fare cognitivo, operazionale, esperienziale e socio-relazionale, oltre che con il saper essere valoriale e motivazionale (Dordit e Russo, 2007).
Nel Nuovo Liceo Classico ci dovranno essere spazi autentici per diffuse esperienze di alternanza scuola-lavoro. La conoscenza del greco e del latino dovrà costituire una competenza distintiva per essere presenti in musei, archivi, biblioteche, siti archeologici, luoghi turistici con itinerari artistici tra monumenti, chiese e opere d’arte, oltre che per essere attori protagonisti nella valorizzazione dei nostri Beni Culturali che sono le nostre miniere moderne. Ma presenti anche in ambienti musicali, teatri, cinema, televisioni, giornali, agenzie pubblicitarie, amministrazione pubblica, imprese, immersi con la propria specificità culturale dentro la rivoluzione digitale. Nel Nuovo Liceo Classico l’alternanza scuola-lavoro è la chiave di accesso per imparare dentro e fuori le mura scolastiche.
Noi vogliamo un Nuovo Liceo Classico. Non si tratta di snaturare quello attuale. Anzi. Noi vogliano un Nuovo Liceo Classico più classico e meno idealista, che rimetta al centro dell’apprendimento la lettura e la comprensione dei testi classici con meno dispersione e più passione, che faccia delle competenze del greco e del latino le competenze distintive dei suoi allievi, che adotti l’European Qualification Framework e proietti i propri studenti su una scala europea valorizzando la specificità italiana, che crei i laboratori umanistici dove si apprenda a scrivere poesie, a narrare, ad argomentare, a dialogare nel tempo e nello spazio, che faccia tesoro delle nuove metodologie di insegnamento e apprendimento, dal problem based learning al cooperative learning, che faccia dell’alternanza scuola-lavoro la chiave di accesso per imparare dentro e fuori le mura scolastiche.
I latini ci insegnano che nomen omen. Per questa ragione dobbiamo cambiare anche il nome del liceo classico per segnare una discontinuità nelle metodologie didattiche in una prospettiva esperienziale e di senso, da cui il termine Nuovo Liceo Classico.
Delle quattro proposte formulate (centralità dei testi, didattica laboratoriale, adozione delle competenze e alternanza scuola-lavoro), le ultime tre rischiano di non trovare la giusta attenzione – o peggio incontrare forti resistenze – da parte di componenti della scuola che si pongono a strenua difesa dello status quo. In una prospettiva “idealista” termini come laboratori, competenze e lavoro sembrano provocatori. In ogni caso sono riferimenti estranei ad una storia che li considera come fattori di «verità strumentali e pratiche». Si tratta in larga parte di docenti che rivendicano con orgoglio una condizione di estraneità alle sollecitazioni poste dal tempo presente, preferendo non confrontarsi con una contemporaneità intesa spesso come una forma di modernismo amorale o come il luogo del trionfo della téchne. Dato che nessun cambiamento reale può passare senza il pieno coinvolgimento e protagonismo dei professori, la proposta è di attivare all’interno del Liceo Classico un’opzione, denominata appunto Nuovo Liceo Classico. Questo consentirebbe di dare una prospettiva di impegno ai docenti che invece, dentro il liceo classico, vogliono sperimentare nuovi percorsi di classicità, offrendo maggiori opportunità di scelta agli studenti.
La mia partecipazione a questo processo va intesa come una testimonianza di accusa contro chi non ha avuto il coraggio, durante la recente riforma, di rinnovare realmente i licei. Ho sollevato quattro obiezioni di fondo all’impostazione dell’attuale liceo classico e ho indicato quattro possibili linee di soluzione, sull’esempio di quanto fanno i periti giudiziari quando, per facilitare una sentenza di condanna della Corte, sottopongono al suo vaglio le possibili ipotesi contrarie.
La mia accusa è contro chi, in occasione di una riforma, non ci ha restituito un liceo classico come dovrebbe essere realmente: una scuola capace di sfide elevate, vere, al passo della contemporaneità, che rinnovi e mantenga alta la fama e il prestigio di cui gode la cultura italiana nel mondo. Il liceo classico deve tornare ad essere una scuola di grande seduzione per gli studenti, una scuola straordinaria perché sviluppa apertura mentale, strutturazione concettuale, rigore metodologico fornito dallo studio delle lingue antiche, delle letterature classiche, della mitologia, della filosofia. Uno studio che ha la potenzialità di formare a un modo di pensare aperto, interculturale, complesso.
La classicità, nelle sue varie forme, fa parte della nostra identità, ci è dentro più di quanto pensiamo, è il filtro con cui interpretiamo le suggestioni che ci vengono dall’esterno e ci spinge ad una visione olistica dell’uomo. Diceva Bernardo di Chartres che «noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti». Noi, eredi primi di greci e latini, possiamo vedere lontano perché siamo sulle spalle di questi giganti che sono i classici.