Le due modernità di Koselleck .

 

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Ha da poco visto la luce l’ultima fatica di Gennaro Imbriano (Le due modernità: critica, crisi e utopia in Reinhart Koselleck, Roma: DeriveApprodi, 2016), assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, già autore di numerose pubblicazioni sul pensiero filosofico contemporaneo. Questa monografia dedicata allo storico e filosofo tedesco Reinhart Koselleck (1923-2006) nasce nell’ambito di un dottorato di ricerca in Storia della Filosofia svolto tra l’Università degli Studi di Macerata e la Ruhr Universität di Bochum, durante il quale Imbriano ha potuto attingere a diversi materiali inediti tra cui – di particolare rilevanza – i carteggi fra Koselleck e alcuni fra i massimi esponenti del pensiero novecentesco, quali Carl Schmitt,Hans Blumenberg e Hans-Georg Gadamer.

Pur essendo conosciuto e tradotto in Italia da ormai quasi cinquant’anni, fino a poco tempo fa il lavoro di Koselleck era stato solamente trattato in alcuni articoli di rivista su temi specifici o utilizzato come riferimento per importanti imprese teoriche, soprattutto in ambito filosofico-politico (si pensi al lavoro di Giuseppe Duso e Sandro Chignola a Padova o alla sezione «Materiali per un lessico politico europeo» della rivista «Filosofia politica» diretta da Carlo Galli). Finora, però, mai il pensiero di Koselleck era divenuto oggetto di un lavoro sistematico in grado di fornirne una visione complessiva. Le due modernità di Imbriano, insieme all’altra recente monografia di Diego Fusaro (L’orizzonte in movimento: modernità e futuro in Reinhart Koselleck, Bologna: Il Mulino, 2012), va a colmare questa lacuna, offrendo una ricostruzione esaustiva del percorso intellettuale di questo autore: ricostruzione resa possibile anche dal decennio trascorso dalla sua scomparsa che ha trasformato un cantiere ancora aperto in un’opera conclusa.

Imbriano, nella sua ricerca articolata in quattro sezioni per un totale di diciassette capitoli, assume come principio euristico l’ipotesi che il concetto di “crisi” sia il cardine dell’opera koselleckiana (parlando esplicitamente, a tal proposito, di “pensiero della crisi” [p. 12]) e, a partire da qui, sviluppa una ricostruzione del modo in cui la riflessione del pensatore tedesco si è evoluta sul piano metodologico e contenutistico. In questo lavoro, che si sviluppa seguendo criteri cronologici e tematici, viene prestata molta attenzione alle influenze – sia esistenziali che teoriche – che hanno contribuito a definire l’interesse di Koselleck per le tematiche trattate. Il nesso fra crisi e modernità, infatti, viene sperimentato in prima persona dal pensatore tedesco durante la seconda guerra mondiale, sul fronte orientale e in un campo di prigionia sovietico,e poi approfondito teoricamente nel fecondo rapporto intellettuale che egli intrattiene con Carl Schmitt soprattutto negli anni ’50 – come documentato puntualmente da Imbriano, in particolare in relazione alle teorie contenute in Kritike und Krise,la sua tesi di dottorato (tradotta in italiano col titolo Critica Illuminista e crisi della società borghese, Bologna: Il Mulino, 1972).

Questo interesse per la modernità, concepita appunto come crisi permanente, strutturerà l’intero percorso di ricerca di Koselleck, attraverso una serie di evoluzioni che lo porteranno ad approdare a varie discipline e teorie: dalla filosofia alla storia sociale e costituzionale, dalla teoria dei tempi storici alla storia dei concetti. In una prima fase del cammino teorico di Koselleck – che potremmo definire “schmittiana” –  la crisi è letta soprattutto come guerra civile, determinata dalle strutture dualistiche imposte dalla critica, che ha sempre una natura partitica, contro il razionalismo seicentesco, che invece aveva neutralizzato lo scontro religioso. Ciò ha luogo a partire dall’illuminismo e dalla Rivoluzione francese fino ad arrivare all’attuale estensione planetaria della crisi, tale per cui si vive oggi una condizione di unità tecnica globale ma, al contempo, di lacerazione politica in grado di minacciare la stessa vita umana (lacerazione che risuona nell’etimologia dei concetti di crisi e critica: Krino = separare, discernere). L’influenza schmittiana in questo momento del pensiero di Koselleck è enorme, dalla lettura del presente come “guerra civile planetaria” alle riflessioni metodologiche (critica dello storicismo, ontologia della crisi, metodo domanda-risposta: cfr. il cap. 3 di Le due modernità) fino alla rivalutazione della razionalità politica che aveva caratterizzato la prima modernità, contrapposta al ritorno illuministico alla profezia secolarizzata in utopia.

Questo ultimo tema, cioè quello dell’esistenza di “due modernità” (come leggiamo nel titolo stesso del libro), è secondo Imbriano centrale nell’opera di Koselleck e destinato a riemergere in forme diverse lungo tutta la sua produzione successiva. In questo senso, pur variando parzialmente nel tempo, tanto da portarlo nel libro sulla Prussia ad opporsi esplicitamente a Schmitt sul tema del liberalismo (cfr. La Prussia tra riforma e rivoluzione [1791-1848], Bologna: Il Mulino, 1988), la risposta di Koselleck alla crisi rimane la medesima: razionalità politica contro utopia, prognosi contro filosofia della storia. Ciò, sempre nell’intento di definire una forza “katéchonica”che si possa opporre alla deriva catastrofica del moderno.

Tuttavia, a dispetto della presenza di siffatti elementi persistenti nel percorso di ricerca di Koselleck, va anche detto che esso conosce notevoli evoluzioni: è infatti già con la sua seconda opera importante, il testo sulla Prussia, che incontriamo notevoli cambiamenti. Innanzitutto, sotto la guida di Werner Conze egli si concentrerà su ricerche di storia sociale e costituzionale sulla Prussia del 1848, iniziando a leggere la crisi come crisi sociale e approdando a quei temi che lo interesseranno per tutto il periodo successivo. È infatti la scoperta del fenomeno dell’accelerazione che interessa l’Europa tra le due rivoluzioni (Rivoluzione Francese 1789 / Moti del 1848) a spostare l’interesse di Koselleck verso la definizione di una semantica dei tempi storici. In questo senso, la transizione alla modernità viene indagata nel rapporto fra i nuovi concetti che definiscono l’ambito storico-politico e le strutture temporali dell’esperienza. La crisi, allora, indagata da queste due nuove prospettive, assume ancora un altro volto, quello dell’abbreviazione del tempo (tipica delle aspettative apocalittiche) secolarizzata in accelerazione storica. Sotto questo punto di vista, il fecondo utilizzo prognostico di questa categoria paventa di nuovo il rischio apocalittico e impone la ricerca di una forza frenante che si opponga alla deriva tecnico-nichilistica del moderno. Ma Imbriano sottolinea anche un altro aspetto centrale: oltre all’idea che la crisi costituisca il momento genetico della modernità, con il progetto di una Istorica – cioè di una fondazione metastorica della storia – riemerge l’idea che la crisi costituisca una costante trascendentale della storia, cioè ne sia condizione di possibilità e, quindi, elemento ineliminabile. Sono infatti le coppie antitetiche di amico/nemico (a proposito della quale diviene nuovamente evidente l’ascendenza schmittiana) e di dover-morire/poter-uccidere a costituire per Koselleck le più importanti costanti trascendentali della storicità: insomma, di nuovo la crisi e il conflitto come elementi strutturali.

Concluso il suo itinerario analitico, Imbriano arriva infine a definire una concezione koselleckiana della crisi che è per così dire molteplice: dalla crisi come critica alla crisi sociale, dall’accelerazione alla conflittualità come elemento trascendentale della storia. Una vita di ricerca, quella di Koselleck, nel tentativo continuo di portare la modernità alla propria auto-coscienza, alla comprensione degli elementi degenerati e alla definizione di adeguati strumenti di contenimento e di neutralizzazione. Uno sforzo straordinario, come si può vedere, finalizzato a comprendere e correggere il lato oscuro del moderno che Koselleck, come già accennato, aveva potuto osservare di persona nei suoi aspetti più inquietanti. In sintesi, il volume di Imbriano riesce dunque nell’intento di offrire un ritratto complessivo di Koselleck, della sua opera e del suo pensiero, e per questo motivo riteniamo di poter affermare che esso meriti di essere segnalato agli studiosi della storia dei concetti, in generale, e di questo autore, in particolare, come una lettura stimolante e importante, accostabile senza timore anche a lavori su questo tema piuttosto noti e celebrati a livello internazionale come, giusto per citare un esempio, History in the Plural: An Introduction to the Work of Reinhart Koselleck dello studioso danese Niklas Olsen.

 

Recensione di  Alessandro Volpi


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