La lodevole volontà di andare a vedere le cose di persona e da vicino fa sì che talvolta i princìpi esplicativi delle realtà osservate siano cercati dove non si trovano (non tutti in ogni caso), ossia nel luogo in cui si sviluppa l’osservazione: in tal senso, è indubbio che la verità di quanto accade nelle “banlieues difficili”, non si trovi in questi luoghi, di solito dimenticati, e che di tanto in tanto fanno irruzione nell’attualità.Il vero oggetto dell’analisi – che è necessario costruire contro le apparenze e contro tutti quelli che si accontentano di ratificarle – è la costruzione sociale (o più precisamente politica) sia della realtà, quale si offre all’intuizione, sia delle rappresentazioni, in particolare, giornalistiche, burocratiche e politiche della realtà, che contribuiscono a produrre effetti del tutto reali nell’universo politico, dove strutturano la discussione, e nell’universo scientifico.
La nobiltà di Stato e il liberalismo
Se insistiamo sull’analisi critica delle rappresentazioni, non è per il semplice gusto della polemica. Queste costruzioni collettive fanno parte della realtà che bisogna cercare di comprendere e della quale sono in gran parte responsabili: si pensi, per esempio, alla visione neoliberale che ha ispirato le misure politiche in materia di finanziamento pubblico degli alloggi, decretate negli anni ’70.
Tali misure hanno contribuito a creare la divisione sociale, spesso materializzata nello spazio, come nel caso di Saint-Florentin, dove una semplice strada separa i proprietari dei villini dagli abitanti dei grandi complessi collettivi. […]
L’opposizione tra liberalismo e statalismo, materia di tanti saggi, non resiste un solo istante all’osservazione. Non si può fare altro che constatare, per esempio, come lo Stato offra un contributo determinante al mercato immobiliare, in particolare attraverso il controllo del mercato dei terreni e le varie forme di aiuto erogate per l’acquisto o l’affitto degli alloggi; e come, al tempo stesso, contribuisca a determinare la distribuzione sociale dello spazio, o se si preferisce la distribuzione delle diverse categorie sociali nello spazio (sulla quale agisce anche attraverso l’azione esercitata sul mercato del lavoro e su quello scolastico). E sono il ritiro dello Stato e il declino dell’aiuto pubblico alla costruzione – espressi nel corso degli anni ’70 dalla sostituzione dell’aiuto alla costruzione con l’aiuto alla persona – i principali responsabili dell’apparizione dei luoghi di confino, nei quali, per effetto della crisi economica e della disoccupazione, si trovano oggi concentrate le popolazioni più bisognose. È quindi impossibile comprendere lo stato delle cose, in materia di alloggi e in molti altri ambiti, senza tener conto della conversione collettiva alla visione neoliberale, iniziata negli anni ’70 e compiutasi alla metà degli anni ’80, con l’adesione dei dirigenti socialisti. Questo cambiamento non si è limitato alle trasformazioni dell’umore ideologico, che i “filosofi” mediatici annunciavano come il “ritorno del soggetto” o la “morte del pensiero ’68”. È stato invece accompagnato da una demolizione dell’idea di servizio pubblico, alla quale i nuovi maîtres à penser hanno collaborato attraverso una serie di falsi teorici e di equazioni truccate, fondate sulla stessa logica della contaminazione magica e della denuncia confusa cui in passato hanno spesso fatto ricorso i loro avversari marxisti: facendo del liberalismo economico la condizione necessaria e sufficiente della libertà politica, si assimila l’interventismo dello Stato al “totalitarismo”; identificando il comunismo sovietico con il socialismo, si considera la lotta contro le ineguaglianze, ritenute inevitabili, come inefficace (rimproverandole, però, al tempo stesso, di scoraggiare i migliori), e tale da poter essere condotta solo a discapito della libertà; associando l’efficienza e la modernità all’impresa privata, s’intende sostituire al rapporto con l’utente il rapporto con il cliente, ritenuto più egualitario ed efficace, e s’identifica la “modernizzazione” con il trasferimento al privato dei servizi pubblici più redditizi, e con la liquidazione o l’allineamento del personale subalterno dei servizi pubblici, ritenuto responsabile di tutte le inefficienze e di tutte le “rigidità”.
Mano destra e mano sinistra dello Stato
Basta soffermarsi su quest’ultimo aspetto, per vedere come tutto questo complesso di luoghi comuni – elaborati in luoghi d’incontro organizzati appositamente per favorire gli scambi tra “pensatori” a corto di potere e di potenti a corto di pensiero (riviste, club e convegni), e instancabilmente ripresi in giornali e settimanali – esprima direttamente la visione e gli interessi della grande nobiltà di Stato uscita dall’ENA e formata agli insegnamenti di Science Po. […]
Si capisce allora che i piccoli funzionari – specialmente quelli incarica- ti di rivestire le cosiddette funzioni “sociali”, ossia di compensare, senza disporre dei mezzi necessari, gli effetti e le carenze più intollerabili della logica di mercato: poliziotti e magistrati subalterni, assistenti sociali, educatori e, sempre più spesso, maestri e professori – abbiano la sensazione di essere abbandonati, se non sminuiti, nel loro sforzo di affrontare la miseria materiale e morale, unica indubbia conseguenza della Realpolitik economicamente legittimata. Vivono le contradizioni di uno Stato la cui mano destra non sa più, o peggio, non vuole più quello che fa la mano sinistra, nella forma di “doppi vincoli” sempre più dolorosi: come non vedere, per esempio, che l’esaltazione della redditività, della produttività, della competitività, o più semplicemente, del profitto, tende a distruggere le fondamenta stesse di funzioni che non sono esenti da un certo disinteresse professionale, spesso associato a una dedizione militante?In un senso più profondo, è la definizione stessa delle funzioni di questa “burocrazia di base” (street-level bureaucracy) a trovarsi profondamente trasformata, nel settore degli alloggi, ma anche in altri (si pensi all’introduzione del Reddito minimo), nel momento in cui le vecchie forme di aiuto al servizio sono state sostituite dall’aiuto diretto alla persona, i cui effetti, com’è stato mostrato, sono del tutto diversi: in modo perfettamente conforme alla visione liberale, l’aiuto diretto “riduce la solidarietà a una semplice allocazione di risorse economiche”, e mira semplicemente a permettere di consumare (o a incitare a consumare di più), senza cercare di orientare o di strutturare il consumo.Si passa, così, da una politica dello Stato che mira ad agire sulle strutture della distribuzione delle risorse a livello del capitale economico e culturale, a una politica che mira a correggere gli effetti della loro distribuzione ineguale, ossia a una carità di Stato destinata, come ai tempi d’oro della filantropia religiosa, ai “poveri meritevoli” (deserving poors). Le nuove forme di azione dello Stato contribuiscono così, con l’indebolimento del sindacalismo e delle istanze di mobilitazione, alla trasformazione del popolo (potenzialmente) mobilitato, in un aggregato eterogeneo di poveri atomizzati, di “esclusi”, come li definisce il discorso ufficiale, chiamati in causa soprattutto (se non esclusivamente) quando “pongono problemi”, o per ricordare ai “benestanti” il privilegio di possedere un impiego stabile.
tratto da “La miseria del mondo”, Mimesis, Milano 2015