‘Antisemitismo’ o impegno politico? (per il rispetto di diritti umani in Palestina)

         

 

 

L’Unione degli Studenti di SOAS (Student Union), con il sostegno di organi di rappresentanza dei docenti e dello staff universitario, ha recentemente indotto un referendum consultivo sull’adesione alla campagna internazionale che va sotto il nome di BDS (Boycott, Divestments and Sanctions), la quale sostiene tre richieste: la fine dell’occupazione Israeliana in Palestina; l’uguaglianza dei cittadini arabo-palestinesi in Israele; il rispetto del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi (Risoluzione ONU 194). Il 27 Febbraio scorso i risultati sono stati annunciati: dei 2056 votanti (circa un terzo della comunita di studenti, insegnanti e lavoratori) il 73% si e’ espressi in favore dell’adesione.

In risposta, l’otto marzo è apparso sulle colonne del Corriere della Sera un articolo firmato da Fabio Cavalera in cui si affermava che il referendum, avrebbe favorito l’antisemitismo. Mentre il titolo dell’articolo – Università, boicottaggi e una fiction: Londra-ebrei, la relazione tormentata – è alquanto generale, il sottotitolo afferma con più precisione l’accusa sopra enunciata: “La prestigiosa Soas vota per tagliare i rapporti con Israele. E cresce l’antisemitismo.”

L’accusa ‘velata’ si fa più accentuata all’interno dell’articolo, in cui Cavalera fornisce dati per provare come il referendum della SOAS abbia contribuito alla crescita dell’antisemitismo, che sembrerebbe in forte aumento anche nella capitale britannica. O, come afferma l’autore, un antisemitismo verso cui la società britannica starebbe scivolando pericolosamente.

Se da una parte si capisce e forse anche si condona la fretta giornalistica di voler soddisfare l’urgenza di trasmettere lo scoop a lettori avidi di novità, dall’altra non si possono certo perdonare né le inesattezze contenute nell’articolo né tanto meno lo spirito di dissenso – infondato – che motiva lo scritto, cioè attribuire a questo referendum delle colpe che non esistono.

Siamo d’accordo con Cavalera che “l’educazione e lo studio devono unire e non dividere”, ma vorremo anche che lui fosse d’accordo con noi sulla necessità di condurre studio e ricerca in maniera seria e approfondita. Perché questo avvenga, è necessario indagare a fondo con coscienziosità giornalistica, se non proprio da studiosi, prima di lanciare accuse sia alla SOAS come anche all’organizzazione che ha promosso questo referendum.

Nella pagina ufficiale del BDS Movement è riportato un comunicato che invita tutti i gruppi presenti a SOAS a prendere parte attiva al referendum, auspicando il voto a favore del boycott accademico contro Israele. Qui, tra l’altro, si legge:

“Noi che nel settore accademico sopportiamo il peso delle politiche di occupazione, colonialismo e apartheid Israeliane, non possiamo che attestare sia quanto queste decennali e deliberate politiche soffochino la vita accademica degli intellettuali Palestinesi e reprimano la loro libertà accademica, sia la complicità delle istituzioni accademiche Israeliane nella pianificazione, implementazione e assoluzione di queste politiche…. La Hebrew University, in particolar modo, con cui SOAS mantiene legami istitutzionali, ha sede, in parte, nei Territori Occupati e mantiene una base militare all’interno del suo campus. La sua complicità nelle violazioni Israeliane della legge internazionale è ben documentata… Ribadiamo con forza che la richiesta di boicottaggio accademico è istituzionale. Il suo obiettivo è lo status privilegiato delle istituzioni accademiche israeliane, e la immagine di normalità che proiettano …. non individui…”

Ma veniamo alle imprecisioni riguardanti quanto detto a proposito della SOAS. Prima di tutto, non si tratta di “tagliare i rapporti con Israele”, ma di una azione mirata a sanzionare quelle istituzioni accademiche che, guarda caso, favoriscono oppressione, ingiustizie e disuguaglianza, cioè proprio il contrario di quanto Cavalera auspica come obiettivo dell’ educazione e dello studio. Inoltre, la SOAS (fondata nel 1916 e non nel 1919), non vanta certo, tra i colleges dell’Università di Londra, il primato per finanziamenti Arabi o dalla Libia. Ma non è questo il luogo per approfondire l’argomento. Quello che più sconcerta è il tono irrisorio verso i membri della SOAS (studenti, docenti e dipendenti di vari settori) per la coralità con cui hanno partecipato al referendum: “perfino gli addetti alle pulizie”, come se questi ultimi non avessero diritto al voto, o fossero incapaci di ‘pensare’, date le mansioni manuali che svolgono. Forse quei “40 lavoratori che sistemano aule e corridoi” – come li definisce Cavalera – sono di stimolo a studenti e docenti perché non perdano contatto con la realtà di chi vive, lavora e spesso soffre oltre le mura dell’ateneo; una realtà che talora sfugge anche ai libri,alle biblioteche, alle lezioni e sovente a certi quotidiani.

Mentre l’articolo di Cavalera è passato quasi inosservato, l’editoriale di Pierluigi Battista “Contro l’antisemitisimo della London University” pubblicato il 9 marzo, sempre sul Corriere, ha suscitato la reazione di molti studenti e docenti della SOAS. E non poteva essere diversamente, visto il loro quotidiano sforzo e dedizione nel condurre ricerca e insegnamento all’insegna della professionalità, svolto proprio a evitare di cadere nelle trappole e le facili interpretazioni offerte da estremismi e fondamentalismi.

L’editoriale riprende quanto già detto da Cavalera, ma in modo ancor più banale e superficiale. La SOAS non è neppure nominata, bensi la fantomatica London University        (un’entità inesistente – la denominazione corretta è University of London, che in ogni caso rappresenta un gruppo di atenei indipendenti) viene presa di mira per aver decretato con questo referendum l’ostracismo contro studenti israeliani, libri israeliani e ricerche israeliane. Questo accanimento contro i cittadini e le idee di un’intera nazione, continua Battista, è incivile e supera ogni limite di decenza.

Questa rappresentazione è faziosa, inaccurata e fuorviante. La risposta ufficiale della direzione di SOAS, cosí come quelle della Student Union e di molti docenti (in forma privata), rifiuta seccamente queste interpretazioni, e fornisce una lettura diametralmente opposta. In una lettera al Corriere, la SOAS Director of External Relations and Development contraddice Battista asserendo che il referendum è stato organizzato dalla Student Union, e non dall’Università; afferma che la rappresentazione di Battista è “widly inaccurate” (selvaggiamente distorta), e che la SOAS non avrebbe mai permesso un dibattito e un referendum contrari ai valori di uguaglianza, diversità e dialogo culturale, valori fondanti di questa università; ricorda che, al contrario, la SOAS ospita la European Association of Israel Studies, e si vanta dell’insegnamento e la ricerca condotta al suo interno sulla storia, la società e la cultura Israeliana ed ebraica, attraverso il Centre for Jewish Studies, ed i suoi programmi di studio in Israel Studies e Jewish Music. La lettera conclude ribadendo che la SOAS si impegna ad offrire una piattaforma neutrale dove tutti i membri della sua comunita possano essere liberi di esprimere le proprie opinioni, e che il referendum organizzato dalla Student Union è stato preceduto da un dibattito dove studenti e docenti hanno presentato in maniera precisa, accurata, e ben informata posizioni a favore e contro il BDS.

Non si puo certo dire lo stesso degli articoli di Cavalera e Battista, che usano l’imprecisione come strumento di demonizzazione nei confronti del dibattito democratico che si e’ svolto, e come arma di mobilizzazione contro di essi. Come interpretare altrimenti l’invito di Battista a una mobilitazione di chi lavora nelle università europee contro questa “schifezza antisemita”?

Non è solo il Corriere a intervenire in questa vicenda. Il Foglio, in un articolo firmato da Giorgio Meotti il 6 marzo, usa toni simili nel definire il referendum un voto sul diritto all’esistenza dello stato ebraico, e nel caratterizzare il risultato come un “soffice rogo antisemita.” L’articolo di Cavalera e’ stato poi riprodotto su Dagospia, sulla webpage del Osservatorio Antisemitismo, e su informazionecorretta.com. L’inesistente London University viene così a essere costituita come un feticcio ingombrante attraverso il quale accuse, idee e concetti basati su informazioni false, fuorvianti, e ai limiti della diffamazione, sono riprodotte in maniera concertata ed ossessiva. Ciò non puo che farci preoccupare (ulteriormente) per lo stato dell’informazione in Italia, e farci rattristare del fatto che questo referendum a favore del popolo e degli intellettuali Palestinesi, venga interpretato come un’azione antisemita.

Come ribadito in una lettera inviata al Corriere dalla Student Union, e controfirmata dalla Israel Student Society at SOAS, dallaPalestine Student Society at SOAS, dalla Italian Student Society at SOAS, e da numerosi docenti e professori:

E’ nostra convinzione che il mondo accademico sia esattamente il luogo nel quale sviluppare il dibattito critico, nello spirito di valori che riteniamo fondamentali come la libertà di opinione e di espressione, anche su temi difficili. La diversità di opinioni riguardo strategie quali quelle che il movimento BDS appoggia è sempre benvenuta. Accusare di antisemitismo chi sostiene un pensiero critico rispetto alle attuali politiche del governo israeliano, è un’azione non solo inaccurata ma soprattutto pericolosa. Articoli di stampa scomposti nella forma e infondati nella sostanza, come quelli apparsi sul Corriere, sono il sintomo di questa pericolosa, e strumentale, disinformazione.

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Qualche anno fa, una studentessa tedesca non ebrea scelse di visitare alcune sinagoghe del sud di Londra, come parte della sua ricerca all’interno del corso ‘Religion in London’. Nella presentazione in classe dei risultati della ricerca e nel suo saggio finale, la carica emotiva e la serietà del lavoro svolto si intrecciavano nel racconto dell’esperienza del suo incontro con gli anziani ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento. Un giovane studente norvegese, sempre all’interno dello stesso corso, decise di attendere le ‘prediche’ di Abu Amza al-Masri, nella moschea di Finsbury Park, proprio per capire da vicino quella parte dell’Islam che si stava radicalizzando. I risultati del lavoro furono ugualmente eccellenti e sappiamo che questo studente cominciò a lavorare con la International Red Cross in Libano e in Siria. Ma al tempo della sua ricerca, non gli fu facile spiegare alla polizia che era uno studente della SOAS e non un ‘convertito’ al fondamentalismo islamico. SOAS è anche questo.

Quotidianamente, nelle aule, nei dialoghi su sviluppo, migrazioni, confini e conflitti, durante le jam sessions organizzate dai nostri studenti di musica in giro per il campus, nelle visite di solidarietà agli “immigration and removal centres” organizzate da alcune Student Union Societies, durante le campagne a favore dei lavoratori precari, a margine dei numerosi film e presentazioni che ci informano su avvenimenti storici e contemporanei in ogni angolo del mondo, in biblioteca e al bar, studenti, docenti e “perfino” gli addetti alle pulizie della SOAS si confrontano, si misurano, si scambiano informazioni e opinioni, e cosi facendo producono cultura e sapere. Se vogliamo, il referendum fonda le sue radici non nell’antisemitismo, come è stato detto, ma nella ricerca e l’impegno dei nostri studenti e docenti per conoscere e interpretare la realtà di oggi, nella sua complessità e diversità. Per poter dialogare con questa realtà con strumenti adeguati e che ci permettano di fare scelte individuali e collettive che si ispirano all’etica sociale e non certo ai fondamentalismi di parte.

Il ‘dialogo’, questa parola-chiave tanto importante quanto bistrattata, per diventare un impegno veritiero deve abbandonare il terreno del fastfood intellettuale, per collocarsi piuttosto nel terreno solido della ricerca sistematica, paziente e minuziosa, che è il solo terreno che permetterà al dialogo di fondare radici profonde e a noi di coltivarlo con rispetto e anche con umiltà. Nel 2016, nel centenario della sua fondazione, SOAS ha programmato di lanciare un nuovo corso di laurea, il BA World Philosophies. Se all’inizio della sua storia, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, SOAS volle dare una risposta che si ispirava alla diplomazia, sostenuta dalla conoscenza (soprattutto linguistica) dei popoli appartenenti all’ Impero Britannico – ‘Knowlwdge is Power’ fu il motto coniato in quegli anni – la risposta odierna si ispira al dialogo inter-filosofico. Un dialogo questo che nasce da anni di lavoro dei nostri predecessori, e dalla vicinanza e ascolto di quelle ‘storie’, spesso solo narrate e non scritte, di quei popoli e comunità umane che sono ormai presenti a SOAS non più e non solo come ‘oggetto di studio’, ma come soggetti della loro storia e senz’altro rappresentati in modo eccellente, sia dagli studenti che dal corpo docente. L’avventura del BA World Philosophies sarà affiancata anche dalla felice collaborazione con MIMESIS che ospiterà tra le sue collane anche la World Philosophies Series. Questo ci permetterà di estendere il ‘dialogo inter-filosofico’ con molti colleghi in tutto il mondo decisamente impegnati in questo settore.

 

 

Cosimo Zene,

Department of the Study of Religions, SOAS, University of London

Paolo Novak,

Department of Development Studies, SOAS, University of London

 



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