L’attualità del problema religioso

Prima considerazione: la politica, l’Umanesimo radicale e la tragicità della vita.

Comincio questo scritto con un raccontino animale: una cane fa una marachella e la padrona lo rimprovera, lui vorrebbe ribellarsi ma non ne ha il coraggio di fronte al suo “capobranco” e allora sfoga la sua frustrazione su altri due animali della casa, un cane e un gatto.

Qual è la differenza con un essere umano inconsapevole? Nessuna, perché anche gli esseri umani sfogano la loro mancanza di forza di fronte a un potente dirottando la propria frustrazione e la rabbia conseguente su altri obiettivi più deboli di sé. È la storia del “Capro espiatorio” così bene descritta nell’ omonimo libro di René Girard.

C’è stata un’epoca della storia umana, a partire dall’Illuminismo dove gli individui e le masse hanno cominciato a ribellarsi con forza ai potenti di turno. La storia dei movimenti sociali legati al socialismo ne sono un emblema. “Ne Dio ne Stato, ne servi ne padroni” è il famoso slogan degli anarchici,  “La religione è l’oppio dei popoli” diceva Marx e quest’anima rivoluzionaria ha abbracciato due secoli fino ad esaurirsi con la fine del Novecento.

Era l’espressione di un umanesimo radicale che esprimeva due tipi di ribellione: una contro le ingiustizie sociali e i suoi fautori, i potenti e i ricchi e una contro l’artefice sommo del mondo tragico in cui viviamo esistenzialmente, Dio, ma soprattutto contro coloro che hanno invocato la sua presenza per giustificare il potere nei suoi soprusi, i religiosi, preti etc.

L’umanesimo radicale aveva una sua forte caratteristica universalista, perché la costruzione di una nuova società mondata dalle ingiustizie sociali e cosmiche riguardava tutti, anche i potenti se vi si convertivano. Ma siccome questo non accadeva la soluzione dei movimenti sociali fu quella di tentare di eliminarli fisicamente. Questa eliminazione segnava un buco dell’universalismo umanista poiché la violenza assumeva un valore centrale nell’edificazione del nuovo mondo. 

La violenza era indirizzata contro i potenti e quindi contro chi era realmente il colpevole delle ingiustizie, ma il progetto fallì perché non si era tenuto conto che benché grandi masse fossero coinvolte non tutti gli oppressi avevano il coraggio di ribellarsi e dunque i potenti poterono contare su di essi per difendere le loro posizioni.

Il fallimento dell’umanesimo radicale ha riportato, di fatto, indietro la storia umana a prima dell’Illuminismo e il protagonismo vincente dei vari Trump, Putin etc. ne è una dimostrazione plastica.

Questo per quanto riguarda la questione sociale, ma a mio avviso la vera questione da cui parte tutto è il rapporto con la tragicità intrinseca della vita umana e cioè della questione di Dio. Perché l’essere umano senza più la speranza del paradiso in terra politico si ritrova solo con la sua precarietà esistenziale che viene prima di quella sociale, ma affrontarla è ancora più dura del fallimento della politica, perché questa realtà coinvolge veramente tutti, è un universalismo vero ma in negativo che abbisogna di una risposta altrettanto universale. Questa è stata data nella storia umana dalle religioni e dalla filosofia.

In un’epoca desacralizzata, dove il mito religioso è stato decostruito dalla ragione critica moderna, l’unico ambito di riflessione significativa sul tema rimane quello filosofico, che può ambire a ricostruire un quadro compiuto di senso del mondo con l’uso di una ragione meno angusta di quella predominante  scientifico-tecnologica che non ha niente da dirci sui fini ultimi dell’esistenza umana, sul perché dell’assurdo della morte come destino ineludibile e tragico di ogni individuo.

Ma la critica filosofica illuminista di Dio, e non solo dell’uso politico – conservatore della religione, era giusta? 

Secondo me sì, perché il mondo Creato da Dio non era, come diceva uno degli ultimi interpreti della Teodicea classica, Leibniz, il miglior mondo possibile tra gli infiniti che il creatore poteva creare. Voltaire, che aveva già criticato Leibniz sotto le mentite spoglie di Pangloss nel Candide, di fronte al terremoto di Lisbona del 1755 con 30000 morti, passò dal suo precedente teismo all’ateismo. Perché il mondo pur avendo aspetti positivi,  alla fine dei conti, vedeva prevalere l’orizzonte di morte per tutti; quindi non era un mondo perfetto  e non per il peccato dell’uomo ma per la sua natura intrinseca. E Dio di conseguenza non poteva essere intelligenza perfetta, visto l’esito della sua creazione.

Ma se era vero che il male prevaleva al bene, alla fine sconfitto in questa vita terrena, che senso si poteva dare per la sua esistenza nel mondo? Il senso, e questo sfuggiva a Voltaire e agli altri illuministi, dell’incompiutezza della creazione che avrebbe avuto bisogno di un ulteriore salto evolutivo per compiersi.

Ma questa visione, che poteva riaprire da un punto di vista filosofico l’orizzonte della speranza religiosa, in fondo indicava anch’essa, come la precedente negativa, che la creazione era ancora imperfetta e dunque anche Dio, nel suo intento creativo, di conseguenza. 

La soluzione a questo problema nella filosofia religiosa classica era che l’imperfezione era motivata dal dono di Dio all’essere umano della libertà, che lo investiva della possibilità di perfezionare il mondo. Ma oltre all’espressione di questa capacità, l’uomo aveva anche la facoltà di esprimere la sua capacità distruttrice, e quanta sofferenza incolpevole ha creato quest’ultima! 

Ma anche la natura, come disse Leopardi, si rivelò matrigna. E allora questa libertà persino di Dio di fare del male, perché la natura dipendeva dalle sue leggi, dove andava a parare? 

Come recuperare la speranza di un compimento della realtà con queste contraddizioni?

Cambiando il modo di  pensare Dio.

Excursus sulla storia della filosofia in relazione al tema in oggetto 

La Filosofia fin dall’antica Grecia ha proposto una riflessione sulla presenza del male nel mondo, quello procurato dagli esseri umani ma anche quello procurato dalla stessa natura, con al centro il problema dei problemi: la Morte.

La filosofia greca si pose in contrapposizione con la religione mitica degli Dei sostituendola con una riflessione razionale sull’Essere del Mondo, sul suo significato più profondo, elaborando una serie di soluzioni legate a diverse scuole filosofiche, che vedono però nelle figure di Socrate, Platone e Aristotele i suoi massimi teorici.

In particolare Platone razionalizza la visione di un ente superiore, uno e non molti, ma senza bisogno di racconti mitici caratterizzanti anche le religioni monoteiste allora esistenti come l’Ebraismo: il suo sistema legato all’Idea e al Bene è una meravigliosa architettura in cui la realtà si divide nettamente tra quella ideale rappresentata dalle Idee e dal Bene e dall’altra il mondo materiale che è frutto della creazione di un Demiurgo e che è essenzialmente imperfetto, anche se può aspirare a un’elevazione dell’essere umano dotato di coscienza attraverso un duro lavoro su se stesso per uscire dalla sua condizione originaria di ignoranza (qui le riflessioni di Socrate sono alla base della successiva filosofia di Platone). 

Aristotele invece cerca di unificare la dimensione dell’Essere originario, il Motore Immobile con la realtà materiale che da lui deriva, attraverso l’introduzione del concetto di sostanza e di Causa attraverso l’essere in potenza e in atto, in altre parole  fisicizza l’indagine sull’altrove e si pone il problema di come questo si relazioni con il mondo, l’infinito col finito e definisce per la prima volta il termine Metafisica che contraddistinguerà tutta la storia della filosofia come termine irrinunciabile per la ricerca sull’Essere. Il male qui è considerato come un attributo solo umano e il massimo che si può richiedere all’umanità è di costruire un mondo più giusto attraverso la Politica.

La filosofia successiva si intreccia decisamente con la rivoluzione religiosa del Cristianesimo e utilizzando le concezioni greche le rende compatibili con le verità di fede. Agostino riprende Platone, Tommaso Aristotele ed è in particolare lui che congegna un sistema poderoso, ma che, secondo i dettami dell’epoca, deve rendersi “ancella della teologia” e non può pretendere l’autonomia e men che meno la superiorità della ragione sulla fede. Nella sua summa teologica si dedica soprattutto a dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio. Il male è secondo la teologia cristiana dovuto al Peccato Originale.

La modernità filosofica si annuncia invece come liberazione dall’ipoteca religiosa e afferma con forza l’autonomia della ragione contro l’eteronomia della cultura premoderna. È in particolare Immanuel Kant colui che in questo si staglia come il  vero padre della filosofia moderna, ma da vero filosofo qual era non segue lo scientismo prevalente nella sua epoca nell’abbandono della spiritualità.

Costruisce, è vero, la sua filosofia critica in contrapposizione alla metafisica della Scolastica medioevale, ma riconosce che la realtà non è solo quello che si vede (sotto al Fenomeno c’è il Noumeno) e che anche se non si può dimostrare un altrove con la stessa certezza empirica dell’aldiquà lo si può pensare come il presupposto della nostra realtà, soprattutto con l’analisi della sua intima bontà, data dal suo ordine, che ci fornisce un senso compiuto dell’esistenza. Queste considerazioni non si basano su una fede rivelata ma solo sul ragionamento e questa è la “Religione entro i limiti della sola ragione”, titolo anche di una sua opera.

Tutto risolto allora? Non proprio, perché seppure Kant abbandona la pretesa di dimostrazione forte dell’esistenza di Dio da parte della filosofia Tomistico-cristiana e ne fa solo un presupposto di compiutezza della realtà, in particolare di quella morale, mantiene della vecchia filosofia una giustificazione del male nel mondo, che viene denominata come Teodicea, che vede l’origine del male solo nel comportamento umano.

Ma questa giustificazione è debole di fronte alla critica atea che nasce dall’indignazione di fronte all’idea di un Dio buono che tollera le sofferenze infinite delle sue creature e di fronte alle quali non vale nemmeno la soluzione del libero arbitrio dell’essere umano che sceglie coscientemente tra il bene o il male. Perché il male non è solo quello provocato dall’umanità ma c’è anche quello provocato dalla natura e non a caso di fronte al terribile terremoto di Lisbona del 1755 Voltaire abbandona il suo deismo precedente.

Il problema sta nel dualismo tra Dio e le sue creature a cui la dottrina cristiana ha cercato di porre rimedio con l’incarnazione di Dio, che patisce le sofferenze degli altri uomini e attraverso la sua resurrezione ridona speranza all’umanità perduta. Ma questo è un racconto mitico che per la ragione critica moderna non cambia le carte in tavola. Quindi non è un caso che di fronte a questo scacco della filosofia kantiana ci sia stata nella filosofia posteriore una ripresa di una proposta di diversa metafisica da parte della filosofia idealistica tedesca che trova il suo apogeo nella proposta teorica di Hegel.

Il maggior filosofo dell’Idealismo contro il dualismo propone una spiegazione monista della realtà che unisce Dio al mondo, come aveva già fatto in precedenza Spinoza: Hegel definisce tutto ciò che è reale come razionale e tutto ciò che è razionale come reale, dove l’accento principale è sul razionale, per evidenziare che è il pensiero che domina tutto o, come preferisce dire Hegel, lo Spirito. Questa soluzione risolve la presenza del male perché, di fatto, la elimina, la considera come una parte necessaria della realtà, che chiama il Negativo, perché il mondo è essenzialmente divenire e in quanto tale dialettico.

Da parte del Tutto non c’è mai una perdita irreparabile, perché continua la sua permanenza e il suo sviluppo nella Storia Umana; la sofferenza del singolo non può essere al centro della nostra attenzione che in quel caso sarebbe un’attenzione puramente egoistica e non comprensiva delle sorti dell’Umanità intera.

Ma questa soluzione monista di Hegel se ci si pensa è una non soluzione, sempre rispetto all’indignazione dell’ateo di fronte all’imperfezione del Tutto verso i singoli individui e non è un caso che la reazione anti-hegeliana posteriore alla sua teoria fu veemente in molti campi, della cultura non solo filosofica, non solo ateistica ma anche religiosa (un nome su tutti Kierkegaard), e poi, di fatto, Hegel elimina la figura di Dio perché è la Realtà, seppur spiritualizzata e in particolare la Storia, che ne assume le veci.

Ed è proprio da questa considerazione che il discepolo più famoso di Hegel, Karl Marx, intende risolvere l’aporia eliminando la spiritualizzazione hegeliana, rimettendo, come afferma lo stesso, la sua filosofia coi piedi per terra, facendola diventare materialista. Il divenire, con la sua componente dialettica è effettivamente la legge della storia, ma questa è materiale e in questa sfera vanno risolti i problemi filosofici: la sfera religiosa anche se trattata filosoficamente è solo alienazione.

Ma è Friedrich Nietzsche che va ancora più in là, radicalizzando il materialismo marxiano che considerava ancora la coscienza razionale un momento importante nella sua costruzione filosofica; Nietzsche al contrario ritiene che l’essere umano deve conformarsi completamente alla natura, che è istintuale, che non conosce la morale ed è al di là del bene e del male e per questo è felice.

E, dopo il fallimento del marxismo nelle sue attuazioni politiche, è proprio quest’eredità nicciana che ha influenzato di più la filosofia contemporanea nella cosiddetta filosofia postmoderna francese con Foucault, Derrida e soprattutto Deleuze, che vedono nel puro divenire, ancor più se mancante di un  senso compiuto, il massimo della libertà esperibile dall’essere umano. Il male è nel Soggetto razionale che vuole imbrigliare la forza dell’essere che va oltre le dualità astratte del pensiero che non vuole arrendersi al divenire: il divenire di fatto diventa la nuova divinità.

Si potrebbe dire che non c’è molta differenza tra quest’esito e quella che è la corrente dominante nella cultura scientista attuale, il neopositivismo logico, che considera i problemi metafisici nemmeno pronunciabili perché illogici. Ma almeno la filosofia, anche in questa versione di decostruzione estrema, non ha rinunciato a confrontarsi con la sua tradizione e cerca di sfruttarla, magari in modo spregiudicato, per le sue nuove teorie.

La soluzione 

Sebbene non così popolari, come le filosofie postmoderne, se ampliamo il nostro sguardo ad approcci minoritari nella storia della filosofia, possiamo trovare alcune teorie che possono segnare un nuovo cambio di paradigma nel pensiero metafisico che potrebbe essere utile per tentare di avere più successo nella ricerca di un senso dell’esistenza.

Infatti c’è una terza via tra il deismo e l’immanentismo che è la filosofia processuale dell’Essere, cioè un monismo che non fa coincidere semplicemente la divinità col mondo ma che contempla più dimensioni che l’Essere ha assunto nella sua cronologia d’esistenza. La teoria processuale assume il divenire come importante ma lo lega a uno scopo, a una teleologia o come ci piace dire, riprendendo un termine della tragedia greca a una Teogonia.

Suoi esponenti principali sono: il filosofo antico Plotino, che vede il mondo non come creazione di Dio ma come sua emanazione, cioè come una mutazione del suo stato originario; Alfred North Whithehead che vede il mondo come un’altra faccia di Dio e in evoluzione e Teilhard de Chardin, che vede l’approdo dell’evoluzione dell’Essere in noi esseri umani, che apparteniamo oltre che alla biosfera alla Noosfera, cioè alla sfera del pensiero che ha caratteristiche eminentemente immateriali e una sua dimensione precipua.

Io unisco le tre prospettive sopra delineate in questo modo: L’essere del mondo è un progetto incompiuto perché confinato in una dimensione spazio-temporale che ha prodotto la biosfera ma all’ultimo stadio della sua evoluzione aggiunge la noosfera, dimensione tipicamente umana, che potenzialmente supera i limiti del divenire materiale in un nuovo salto evolutivo che si compirà fuori dallo spazio-tempo.

Nel nostro appartenere già in parte alla noosfera sentiamo i limiti della biosfera, li giudichiamo soprattutto moralmente per l’indifferenza della natura al destino dei singoli che sono solo funzionali alla sua perpetrazione come Tutto. Per liberarci appieno come individui abbiamo il bisogno di entrare a pieno in una dimensione che valorizzi in modo assoluto ogni vita, ogni coscienza, cioè nella noosfera pura al di là dello spazio e del tempo. La noosfera pura ci permetterà la riparazione della realtà che abbiamo subito e di realizzare compiutamente quello che abbiamo cominciato a creare nella nostra vita terrena, ed ecco perché affermiamo, con ottimismo, che il nostro destino indefettibile è la Creatività.

In conclusione la processualità dell’Essere risolve il problema della Teodicea perché vede il male come imperfezione della storia dell’Essere che attraverso la natura umana può essere corretta: le coscienze unite porteranno alla realizzazione del bene, finalmente senza il male.


Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139