Emilia Pérez: maschile e femminile nella danza della vita

 Elisa Panicucci 

Emilia Pérez: maschile e femminile nella danza della vita 

Pluripremiato mélo-thriller in forma di musical, diretto sapientemente da Jacques Audiard, Emilia Pérez è uscito in Italia il 9 gennaio. Oltre due ore palpitanti e tumultuose, di forte presa sui sensi e sulle emozioni grazie al ritmo movimentato e incalzante del plot, alle tinte forti e alle luci aspre degli scenari cupi e saturi, squallidi o lussuosi: un film che non teme gli eccessi. Il pubblico è investito da intermezzi musicali e coreografici spettacolari e a tratti fortemente struggenti, di un’intimità appena al di qua del sottile confine della sdolcinatura. I personaggi sfondano e impattano anche grazie alle ottime interpretazioni, come attestano i premi ricevuti a Cannes 2024 dalle quattro interpreti femminili Zoe Saldana, Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz. La stessa Selena Gomez, che nel cast è stata forse la meno universalmente acclamata, appare invece adatta e convincente in un ruolo interessante e paradigmatico. 

La pellicola ha fatto molto parlare di sé, suscitando critiche entusiastiche e deluse, anche con prevedibili prese di posizione e code polemiche bipartisan focalizzate sullo snodo più appariscente e ‘sensibile’ della trama, la transizione di genere del boss malavitoso messicano che si trasforma, appunto, in Emilia Pérez. Le istanze queer, femministe e sociali (queste ultime soprattutto in carico alla figura dell’avvocata Rita Mora Castro),  per quanto presenti non sono messe al centro e approfondite. 

A essere sondati sembrano piuttosto temi più profondi e universali come la tensione verso il cambiamento, la difficoltà a liberarsi dalle forme e dagli errori passati, la danza delle polarità opposte (maschile e femminile, luce e ombra, bene e male) nell’animo di ogni persona, l’interdipendenza imprevedibile delle traiettorie umane in movimento, la complessità dell’identità, il fluire nella vita attraverso il sentire come unica vera possibilità di realizzazione umana. 

Come è stato detto, sia pure nell’ambito di una critica negativa al film e riferendosi ad altre realizzazioni della carriera di Audiard, «pochi registi hanno saputo rispondere con la sua stessa brillantezza alla domanda “a quante vite abbiamo diritto”?». In questi spunti risiede l’incisività del film, che non è diretta tanto alla testa del pubblico, quanto alla carne e al sentire viscerale.  I brani musicali originali (musiche di Clément Ducol e Camille, testi di Camille e Jacques Audiard, coreografie Damiel Jalet) diventano così veicolo privilegiato per condensare e esplicitare i contenuti espressi dai personaggi e dalla storia, enfatizzandoli. 

Manitas Del Monte, interpretato con una sorprendente trasfigurazione dall’attrice spagnola transgender Karla Sofía Gascón è il capo di un cartello messicano di narcotrafficanti: ha un faccione largo, bruno, butterato, tatuato, barbuto, lunghi capelli tirati all’indietro che scendono lungo la camicia aperta sul petto possente, labbra carnose che scoprono un sorriso di metallo amaro e beffardo. Un guerriero azteco che ha affondato ormai troppi coltelli nei petti nemici. 

È stanco di questa vita violenta, sotterranea, prigioniera, buia, di questa ferocia che ha trovato da mettersi addosso come una corazza per sopravvivere alla violenza con la violenza. È stanco di quel che ha, di essere quel che ha. 

Ha potere, comanda, controlla, possiede, ha dominio sulle cose, la sua voce cavernosa intimidisce, la sua voce è legge… ma è una voce che non può cantare. 

No me falta el cielo, no me falta el mar, no me falta la voz, pero me falta cantar. 

Ha molte ricchezze, conosce l’ebbrezza di uccidere, ha il piacere… ma non sa desiderare. 

No me falta la lana, no me falta matar, no me falta lujuria, me falta desear. 

Ma soprattutto è stanco di non essere chi è. Vuole un altro volto, un’altra pelle, vuole che la sua anima sia finalmente libera di profumare di miele. 

Yo quiero otra cara, yo quiero otra piel, que el fondo de mi alma huela como la miel 

Vuole solo essere la sua vera essenza, quella che ha sempre sentito e saputo: essere Lei. 

No deseo el deseo Ni el ser deseado. Que lo que “es” no no “sea” yo solo deseo ser Ella. 

Lo rivela a Rita Mora Castro (Zoe Saldana), abile ma frustrata avvocata che il criminale ha ingaggiato dietro promessa di lautissima parcella per organizzare, con grande dispiegamento di mezzi, il piano del cambio di sesso e di identità. Glielo dice cantando con la voce roca addolcita in un intimo sussurro.

E piange. 

Il brano musicale racconta di una ‘disforia di genere’, di un’identità femminile nata in una forma maschile che desidera un corpo nuovo in cui riconoscersi. 

Ma, se andiamo più a fondo, Manitas parla della dicotomia tra avere e essere, tra potere e sentire, tra dominare la vita degli altri e essere in contatto con la propria, tra un modello di energia maschile negativa e un modello di energia femminile vitale. 

Rita non può che accettare la minacciosa e allettante proposta, anche perché in un caso di questo genere, faccia a faccia con il gangster, «ascoltare è accettare». 

Così Manitas finge la propria uccisione per mano di un cartello rivale e dal lavoro clandestino del migliore chirurgo rinasce come Emilia Pérez trionfante di femminilità (ancora Karla Sofía Gascón)

E davvero la sua anima comincia a fluire come il miele, ora che finalmente può essere

Là dove Manitas era imprigionato in un maschile estremizzato e brutale, Emilia è ora l’incarnazione del femminile,  vibrante, forte, accogliente, fluida e amante. 

L’amore che ora sente si allarga da lei al mondo che la circonda: l’identità caduta di spietato signore della droga ha rivelato una donna luminosa e materna che sfrutta denari e conoscenze altolocate per fondare La Lucecita, un’associazione umanitaria impegnata nella ricerca e identificazione dei corpi desaparecidos, vittime delle violenze proprio dei clan di narcos, come quello che lei stessa comandava quando era lui. Emilia sta agli antipodi di Manitas, eppure è Emilia proprio perché sa di essere stata Manitas. 

Emilia si finge una lontana parente di Manitas e, sempre con l’aiuto dell’avvocata Rita, fa tornare a Città del Messico, nella propria villa in collina, l’ignara vedova Jessica (Selena Gomez) e i due figli di cui aveva una nostalgia ormai insopportabile e che ama con tenerezza di padre e di madre insieme. I bambini sentono questo amore e si affezionano alla zia Emilia che profuma proprio ‘come papà’.

Ma, soprattutto, Emilia ora può entrare nella complessità del vivere, che è coscienza degli opposti, della luce e dell’ombra, abbandonandosi al continuo fluire nel sentire, un istante dopo l’altro. 

Medio él, medio ella, Medio papá, medio tía, Medio rica, medio pobre, Medio jefe, medio reina, Medio aquí, medio allá, Medio muerto, medio viva, Medio dentro, medio fuera, todo, nada.  Si innamora, ricambiata, di Epifanía (un nome non casuale) Flores (Adriana Paz), una donna che si era rivolta alla Lucecita. 

¿Quién soy?, no lo sé. Yo soy lo que siento. Y por primera vez siento un sentimiento

Ma proprio la complessità è un terreno scivoloso e quella che, con linguaggio junghiano, potremmo chiamare ombra è in agguato dentro l’anima: come una bestia non domata, è pronta a riprendere il sopravvento. 

L’ombra è uno dei temi fondamentali del film e tutti i personaggi se la portano dentro: Emilia che era Manitas, l’avvocata che fa scelte professionali immorali pur di emergere, la vedova di Manitas piena di rabbia per i dolori sofferti e pronta alla più spietata violenza, così come il suo amante Gustavo; perfino la dolce e semplice Epifanía porta in borsa un coltello da piantare nella pancia dell’ex marito violento per vendicarsi dei torti subiti. 

Un personaggio molto interessante è la figura della moglie-vedova di Manitas, Jessica Del Monte. 

Anche Jessi rappresenta un femminile fatto di contraddizioni. È un archetipo doloroso e incompiuto, la femmina-bambina: immatura e manovrabile donna del boss che l’ha amata, ma di un amore dispari, innamorata, dedita e passiva (cuando digo sí, para decir no), manovrata e lasciata nell’inconsapevolezza, sofferente, poi insofferente e ribelle, desiderosa di emanciparsi, sempre attraverso una passione amorosa (ritrova un ex amante con il quale aveva tradito Manitas), dalla prigione dorata in cui Emilia l’ha rinchiusa per tenere vicini a sé i figli; significativa metafora della prigione dorata è la scena in cui Selena Gomez – Jessi canta la sua ribellione con Bienvenida, svegliandosi tra lenzuola di seta marrone nel suo letto di ospite forzata a casa di Emilia: l’arredamento lussuoso della camera è dominato da elementi e dettagli di colore oro e caricato da una luce dorata; in evidenza sul letto due cuscini leopardati suggeriscono l’idea di Jessi come un animale selvaggio tenuto in gabbia. 

Jessi-Selena Gomez, bambola bionda dai lineamenti delicati, è anche visivamente una kore, femmina-fanciulla ancora ostaggio di quella bambina che non le hanno permesso di essere, alla tenera ma fallimentare ricerca di amore, di appropriazione di sé, delle proprie luci e ombre, ansiosa di autodeterminazione. 

La canzone che esprime questa tensione, Mi camino, è struggente, vibra di una speranza venata di illusione: 

Quiero quererme a mí misma 

Querer sí mi vida 

Querer sí lo que siento 

Quererme así toda 

Quererme así como soy 

Quiero amar A la niña que no me dejaron ser 

Quiero amarme cada día, cada hora, cada segundo 

Soy y eso me basta 

Eso es ser una mujer, ¿no? 

Quiero amarme como quiero que me amen 

Si me caigo en la barranca es mi barranca 

Si me doblo del dolor es mi dolor 

Si me mando al séptimo cielo es mi cielo 

Si me equivoco de camino, igual! Es mi camino

L’innesco del dramma si ha quando Emilia si trova di fronte all’imprevista decisione della madre dei suoi figli di risposarsi e di andarsene con il nuovo uomo portando via con sé i bambini. Ferita nel sentimento per i figli, non potendo separare amore e possesso, la personalità di Emilia si crepa in un istante e ruggisce fuori di nuovo Manitas che sa usare solo minaccia, controllo, ricatto e violenza. 

Sono gli stessi metodi che però anche Jessi ha imparato, vivendo per anni accanto a Manitas e ora li mette in atto con l’amante Gustavo, che è a sua volta un bel tipaccio. Emilia viene rapita e per chiedere il riscatto vengono spedite tre dita mozzate all’avvocata Rita che è ormai amica e collaboratrice fidata di Emilia e la sostiene nell’impresa della Lucecita. 

Come Emilia non è stata capace di rimanere nel proprio amore e esprimere con amore la verità, così Jessi è un animale ribelle che impazzisce di rabbia e di ferocia pur di liberarsi dalle catene, rimanendo poi disperatamente incapace di fermare la spirale di morte, quando infine Emilia morente le rivela di essere Manitas, chiedendole perdono per averla lasciata e ingannata. La distruzione ormai travolge vittime e carnefici, come un karma ineludibile e il fuoco incenerisce speranze e sogni di vita. 

Ma dopo tanta catastrofe Audiard ci stupisce ancora con un finale nel segno della speranza. 

Il regista ha affermato che «l’idea di base di questo film era che tutti coloro che entrano o che sono entrati in contatto con Manitas e poi con Emilia subiscano una trasformazione». 

Il personaggio che fa da filo conduttore alla storia dal principio (il film inizia con la sua vita professionale di compromesso prima dell’incontro con Manitas) alla fine e che rappresenta l’esperienza di trasformazione personale è l’avvocata Rita Mora Castro: si coinvolge nel piano di Manitas per soldi e ambizione, per emanciparsi da una posizione professionale subalterna, si confronta con il proprio vuoto esistenziale grazie all’incontro pericoloso con il boss e poi all’amicizia con Emilia, sopravvive alla rocambolesca tragedia finale e ne esce più umana e responsabile (si occuperà dei figli di Manitas-Emilia e Jessi, rimasti orfani). 

Rita, come si diceva, è anche il personaggio a cui il regista affida principalmente gli accennati messaggi di critica sociale: la denuncia della giustizia ingiusta (El alegato racconta l’assoluzione di un femminicida fatto passare per innocente), della condizione penalizzata di avvocata donna e nera (Todo y nada); soprattutto è efficace El mal, spettacolare coreografia con una splendida Rita-Zoe Saldana, fasciata da un tailleur giacca e pantaloni di velluto rosso, che balla aggressivamente tra i tavoli della cena di gala organizzata per finanziare La Lucecita, denunciando l’ipocrisia di un mondo corrotto e criminale rivestito a festa. 

La trasformazione collettiva è invece raffigurata con la processione laica finale guidata da Epifanía, sulle note di Las damas que pasan (subito riconoscibile come adattamento della struggente Le passanti di Fabrizio De Andrè, a sua volta ripresa da Les passantes di Georges Brassens), liturgia laica per celebrare una Emilia santificata, ricordata per il suo impegno alla ricerca della verità e della giustizia per il popolo messicano, lei che aveva fatto el milagro de cambiar el plomo en oro volviendo a soñar este mundo.  Il personaggio Emilia Pérez, incarnando in sé polarità opposte e simboleggiando con il suo cambio di sesso la transizione da un modello esistenziale e culturale (maschile-potere) all’altro (femminile-sentire), porta sulle sue larghe spalle la metafora di cambiamento antropologico-sociale che Audiard sembra avere in mente: 

Changing the body, changes Society 

Changing Society, changes the soul 

Changing the soul, changes Society 

Changing Society, changes it all.


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