“Noi vogliamo tornare alle «cose stesse»”1! – diceva Husserl, ormai più di un secolo fa. Questo motto, divisivo nella storia della fenomenologia, riecheggia ne I piedi del mondo (Luiss University Press, Roma 2024) di Tommaso Ariemma. Attraverso un’analisi, come vedremo, impostata sulla linea della storie delle idee – sono vari i richiami a Cassirer o Blumenberg, tra gli altri –, il libro narra la storia della globalizzazione economica e dei suoi rimbalzi sociali mediante una cosa stessa: le scarpe. E non un paio di scarpe qualsiasi, ma le scarpe Nike, che per anni sono state “un principio di orientamento del mondo”2.
In questo senso, il lavoro di Ariemma rappresenta l’esempio perfetto di quella che definiamo pop-filosofia: un modo di fare filosofia che tratta gli oggetti del quotidiano in modo simbolico, poiché da essi traiamo quell’orizzonte di contesti sociali, culturali, ma anche politici ed economici, che tiene le fila del mondo. Fare una filosofia delle cose quotidiane – tale è la pop-filosofia – significa allora indagare le strutture fondamentali del mondo partendo dalle immediatezze che lo costituiscono.
Ancora Husserl, trent’anni e una svolta trascendentale dopo il suo famoso motto, dichiarava necessaria una filosofia radicata nel mondo-della-vita3 che si confrontasse con l’intuizione quotidianamente offerente4, ovvero con l’immediatezza pura e vergine, pre-riflessiva e autentica, delle esperienze vissute di tutti i giorni. La pop-filosofia fa qualcosa di simile: prendendo sul serio gli oggetti che compongono il flusso più spontaneo dell’esistenza, ordina i complessi tasselli che articolano il mondo nel quale viviamo. I piedi del mondo sostiene queste idee: se “Le scarpe Nike sono capaci di incorporare gli elementi fondamentali del mondo contemporaneo: hanno la virtù di raccogliere il suo spirito”5, allora studiarle ci rende conto dell’organizzazione di mondo in cui sono nate e che hanno radicalmente trasformato.
- Estetica del simbolo, estetica del mondo
Dice Ariemma, “Soffermatevi di più sulle vostre scarpe: sono i piedi del mondo”6. Si tratta di un’allegoria che, oltre a dare il titolo al libro, possiede una forte carica semantica: in un certo momento storico e culturale, in particolare tra gli anni ’807 e i primi del Duemila, le scarpe hanno mosso il mondo. Meglio, ne hanno costituito il simbolo più importante in un’epoca di grandi cambiamenti; secondo Ariemma sono state proprio le scarpe Nike il motore di questo cambiamento e, dunque, “Riflettendo sulle scarpe Nike […] noi possiamo avere […] uno sguardo d’insieme”8 sul mondo che hanno cambiato e nel quale viviamo oggi.
Il testo, organizzato in quattro parti precedete da un’introduzione e succedute da una conclusione, considera le scarpe Nike come dispositivo simbolico per ricostruire la forma del mondo9, e lo fa assumendo una posizione ben specifica: rifiutando il realismo speculativo di G. Harman, per il quale le cose si ritraggono le une dalle altre10, Ariemma propone una filosofia metessica che, recuperando il lessico platonico, determina le cose in base alla partecipazione che le lega11.
L’idea di Ariemma è che gli oggetti siano legati da una forma di partecipazione che disegna il reticolato di una situazione del mondo: ogni periodo storico e culturale sarebbe determinato da questa metessi ontologica, che certamente organizza l’assetto del potere alla Foucault ma, pure, restituisce il sentire delle epoche in base alla loro articolazione simbolica. Dunque è proprio studiando i simboli che capiamo il sentire delle epoche e, se la storia è anche un complesso e tumultuoso movimento che contempla la sfera psicologica di sentimenti ed emozioni12, allora dobbiamo partire dagli oggetti dell’immediata quotidianità per capire come cambia il mondo – “Just do it”! Di qui, l’importanza della filosofia pop: studiare le cose della quotidianità ci apre a quelle sfere dell’immediatezza più diretta che determinano i modi di sentire di epoche storiche e società.
Se la filosofia pop ha a che fare con le immediatezze del quotidiano, allora flirta bene con l’estetica, che di fatti è alla base de I piedi del mondo, e non solo perché pieno di esempi che chiariscono il ruolo determinante dell’empirico nella diffusione simbolica delle Nike, ma anche perché, ben più profondamente, “L’estetica ha sempre proposto o imposto modelli, esemplarità, legati all’essere in un certo modo o a un fare determinato”13.
Su queste cose è emblematico un piccolo quadretto autobiografico, dove Ariemma racconta che da piccolo “Il mio desiderio di avere una scarpa Nike non aveva a che fare […] solo con lo sport. Molti ragazzi la indossavano […] non praticando nessuna attività. Desideravo quelle scarpe […] perché, come per molti adolescenti, rappresentava un simbolo. […] Era una cosa che ci avrebbe reso riconoscibili, membri di una comunità globale”14. E se questa riconoscibilità passa attraverso un’economia che “per attrarre ingenti capitali […] deve possedere la forma del mondo”15, allora le Nike veicolano una vera e propria educazione estetica schilleriana16: “I colori utilizzati e le dimensioni per il logo stesso possono inoltre cambiare […] secondo una logica combinatoria tipica della dimensione del gioco”17.
E il gioco è infatti centrale nella storia delle Nike in quanto, seppure siano nate come scarpe da basket18, hanno rotto le barriere del mercato di massa estendendosi alla persona comune, che vestendole acquista uno status metessico di inclusione. L’importanza estetico-educativa del gioco non è centrale solo in Schiller, o nella rielaborazione rivoluzionaria e politica in Marcuse tra gli altri19, ma anche in pop-filosofia perché col gioco si mette a fuoco tutta quella serie di simboli sociali che essa si propone di studiare20. Nelle società, infatti, “la dimensione del gioco ha a che fare con la partecipazione, con la complicità, con l’apprendimento continuo, con quell’aspetto dell’umano votato più alla sfida e all’esperimento”21. In questo, le Nike hanno dimostrato di captare bene le proprietà metessiche del gioco, usufruendo di pubblicità simbolicamente ragionate per la diffusione del loro marchio22.
- Idee per una filosofia fenomenologica dell’incorporazione
In estrema sintesi, questo è il contenuto del libro. Eppure, non è tutto. A una lettura più attenta mi sembra esserci un secondo, ancora più importante, livello di analisi: le scarpe Nike sembrano un dispositivo concettuale per organizzare metodologicamente i criteri della pop-filosofia. Infatti, riprendendo l’idea di una enclothed cognition23, il libro prende una posizione teoreticamente ben precisa: «Quella delle scarpe Nike può essere definita una filosofia dell’incorporazione»24. Ovvero, le Nike sono rivestite di un’orchestra promiscua di simbologie che, ordinate sul piatto della discussione, delineano gli orientamenti emozionali, sociali, politici ed economici del mondo con cui interagiscono e che hanno rivoluzionato.
Analizzare in questo modo gli oggetti di massa significa da un lato riprendere il metodo della storia delle idee e, dall’altro, individuare epistemicamente la pop-filosofia come scienza degli oggetti di massa. Quella sul metodo pop-filosofico è una discussione accesissima che vede perlopiù contrapporsi due mondi concettuali: la filosofia accademica – che nega alla pop-filosofia lo statuto di scienza perché lontana dai canoni della cosiddetta filosofia tradizionale – e appunto la pop-filosofia, che rivendica dignità epistemica.
È stato un recente testo di M. Mugnai, Come non insegnare filosofia (Cortina, Milano 2023), già di per sé divisivo, a rimettere sul tavolo di discussione i rapporti tra pop-filosofia e filosofia accademica. Al suo interno, Mugnai sostiene che per quanto la pop-filosofia abbia una sua legittimità, al contempo la si dovrebbe separare nettamente dalla filosofia tradizionale. Dal canto suo Ariemma polemizza con questa visione25 rifacendosi, tra le altre cose, a un filosofo tipicamente rivestito dell’aura sacrale della filosofia tradizionale, Karl Marx, che ne Il Capitale dice come «A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia e facilmente comprensibile. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici»26.
Anche se in Marx non c’è un’idea simbolica della merce per come la intende Ariemma, credo ragionevole rifiutare la netta separazione tra filosofia accademica e pop-filosofia per più ordini di ragione. In primo luogo, si frammenterebbe ulteriormente una scienza che già negli anni Ottanta ammetteva la sua posizione equivoca27; in seconda istanza c’è da dire come gli argomenti della filosofia pop sono i medesimi della filosofia accademica: quello che mi sembra cambiare sono gli appigli concettuali. Con un esempio che ripercorre Mugnai: se la filosofia accademica ragiona dell’uguaglianza parlando dell’uguaglianza in sé per poi verificarla nei contesti, la pop-filosofia parte dai contesti – o dalle cose del quotidiano, che è il contesto più immediato – per ragionare dell’uguaglianza28.
Come accennavo, l’idea pop-filosofica di radicare l’indagine nelle cose dell’immediata quotidianità mi sembra risuonare con lo Husserl della Crisi, che vedeva la salvezza dell’umanità nel ritorno al mondo-della-vita. Non sono sicuro che per la pop-filosofia ci sia un mondo da salvare, e neanche che ce ne sia uno da riorganizzare epistemologicamente come voleva Husserl, ma quel che è certo è che «Riflettendo sulle scarpe Nike […] Possiamo guardare in faccia il nostro mondo, […] E, se lo possiamo guardare, lo possiamo anche trasformare»29. Guardare in faccia il nostro mondo è qualcosa che la fenomenologia sa fare bene, e non solo perché ritorna alle cose stesse ma anche perché è nel suo interesse – almeno in quello dello Husserl del ’36 – trasformare il nostro modo di conoscerlo, perché da questo dipende anche la nostra maniera di viverlo. A ben vedere e com’è noto, è la fenomenologia stessa a nascere da una trasformazione-rifondazione: quella dei modi del sapere.
Per queste cose, non vedo impossibile una sorta di filosofia fenomenologica dell’incorporazione: una fenomenologia che, partendo dalle cose stesse della quotidianità di massa, renda conto della loro specificità eidetica e dei loro modi di interazione col sistema delle intenzionalità del soggetto, chiarendo come gli oggetti di massa ne influenzino gli orizzonti tematici, gli interessi, le motivazioni e, insomma, le esperienze vissute. Si tratterebbe di un’analisi impellente a dir poco, essendo ormai ben noto come l’economia capitalista si alimenti del desiderio dei suoi consumatori, riorganizzandone così i progetti e, in generale, l’agency30.
- Conclusione
Per concludere: I piedi del mondo di Ariemma è un testo stratificato e, anche per questo, invero molto complesso – per quanto questa complessità possa essere tradita dal tema pop-filosofico. Che sia proprio caratteristico della filosofia di tradire la sua stessa complessità? Nondimeno mi sembra chiaro come non si possa più fingere che l’analisi pop-filosofica manchi il bersaglio della scienza: è possibile considerare simbolicamente gli oggetti di consumo dell’immediata quotidianità per descrivere il mondo, in quanto questi stessi oggetti sono pieni di mondo31.
L’indagine pop-filosofica non è solo una tra le altre vie del filosofare, ma oggi come oggi rappresenta un appiglio alla realtà importante, specialmente se crediamo ancora valida – come mi sembra ragionevole – la diagnosi husserliana sulla crisi delle scienze. Per queste cose, la filosofia pop riuscirebbe in qualcosa di davvero importante: ridare dignità epistemica, e forse ontologica, alle cose della banale quotidianità che, proprio in virtù della loro banalità, sono nella nostra vita senza che ce ne accorgiamo, influenzando i nostri desideri e le nostre idee sul mondo.
D’altronde, la quotidianità «non è forse l’universalmente noto, l’ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana, ciò che nella sua tipicità ci è già sempre familiare attraverso l’esperienza?»32. Se le cose stanno così, la pop-filosofia è la scienza dell’universalmente noto e dell’ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana proprio perché analizza quelle cose che, universalmente diffuse, sono presenti nella vita di chiunque. E in questo la filosofia pop è intrinsecamente fenomenologica: se il suo metodo è quello di una filosofia dell’incorporazione, forse è arrivato il momento di interrogarci sulla possibilità di una filosofia fenomenologica dell’incorporazione.
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[1] Cfr. E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 2015, p. 204.
[2] T. Ariemma, I piedi del mondo. Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale, Luiss University Press, Roma 2024, p. 12.
[3] Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 2015, §33 sgg.
[4] Ivi, §9b, p. 65.
[5] T. Ariemma, op. cit., p. 24.
[6] Ivi, p. 27.
[7] A questo periodo è dedicata una parte del libro (cfr. pp. 75-81), suggestivamente organizzata come un’Archeologia emozionale degli anni Ottanta. Come viene argomentato, non solo gli Anni ’80 hanno rappresentato un momento di svolta culturale, sociale, politica ed economica, ma anche una riorganizzazione emozionale dei modi di sentire delle persone. In un certo senso, il mondo non è più lo stesso da quegli anni. Da parte sua, Ariemma ha dedicato un’intera monografia al tema: id., Filosofia degli anni ’80, Il Melangolo, Genova 2019.
[8] T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 69.
[9] Cfr. ivi, pp. 31-32.
[10] Cfr. G. Harman, Ontologia orientata agli oggetti. Una nuova teoria del tutto, a cura di F. D’Isa, Carbonio, Milano 2021.
[11] Cfr. T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 31.
[12] L’ovvio riferimento, qui, non può che essere M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, Einaudi, Torino 2009.
[13] T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 59.
[14] Ivi, pp. 16-17, corsivi miei.
[15] Ivi, p. 32.
[16] Cfr. ivi, pp. 64-66.
[17] Ivi, pp. 64-65.
[18] Cfr. ivi, pp. 35-41.
[19] Cfr. H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 2001.
[20] Seppure l’analisi venga condotta sotto una prospettiva sociologica, e solo secondariamente filosofica e psicologica, sono importantissimi i lavori di E. Goffman sulla quotidianità sociale, che lui vede come un’articolazione ben definita di simboli routinari che descrivono le varie facciate messe-in-scena dal soggetto. Cfr. E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, tr. it. di M. Ciacci, Il Mulino, Bologna 1997. In accordo con Ariemma, anche secondo Goffman – seppure forse con meno centralità – le emozioni intervengono nelle articolazioni sociali e determinano, esplicitamente o latentemente, il rituale dell’interazione sociale. Cfr. id., Il rituale dell’interazione, tr. it. di A. Evangelisti e V. Mortara, Il Mulino, Bologna 1967, specialmente p. 7.
[21] T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 66.
[22] Ne è emblema lo spot pubblicitario andato in onda nell’87 che, utilizzando come sottofondo musicale Revolution (1968) dei Beatles, incorporava un pacchetto simbolico incredibilmente potente non solo per le sue implicazioni nel gioco metessico, ma anche per la sua stratificazione di significati. Revolution era in realtà una ballata acustica che sbeffeggiava la rivoluzione, e quando Nike ne fece uso stava in verità comunicando qualcosa di molto complesso: il marchio Nike rivoluziona, sì, ma lo fa attraverso la partecipazione del gioco e, in questo senso, ben diversamente dai tumulti rivoluzionari che solitamente caratterizzano l’idea di rivoluzione. Se originariamente Revolution costò ai Beatles un’aspra critica da parte della Sinistra radicale, che di fatti considerava il brano come “un grazioso e riprovevole urlo di paura della borghesia” (vedi J. Wiener, Come Together: John Lennon in His Time, University of Illinois Press, Urbana 1991, p. 60, trad. mia), Nike se ne appropriò per affermare la sua propria rivoluzione commerciale. Per vedere lo spot: https://www.youtube.com/watch?v=ztSYJNO4kac (ultimo accesso: 1 Dicembre 2024).
[23] Cfr. H. Adam, A. Galinsky, Enclothed Cognition, in Journal of Experimental Social Psychology, 48 (4), 2012, pp. 918-925.
[24] T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 69.
[25] Cfr. ivi, p. 70.
[26] K. Marx, Il Capitale, tr. it. di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1975, vol. I, p. 86.
[27] Cfr. F. Lyotard, La condizione postmoderna, tr. it. di C. Formenti, Feltrinelli, Milano 1981.
[28] A questo punto, crederei ben più importante discutere delle analogie e differenze tra pop-filosofia e filosofia divulgativa: se la prima tratta simbolicamente gli oggetti di consumo della quotidianità immediata per analizzare l’articolazione del mondo, la seconda non sembra fare più o meno la stessa cosa?
[29] T. Ariemma, I piedi del mondo, cit., p. 69, corsivi miei.
[30] Naturalmente c’è una letteratura sterminata sul tema, della quale è mandatorio far presente: Z. Bauman, Consumo, dunque sono, tr. it. di M. Cupellaro, Laterza, Bari-Roma 2010.
[31] Spenderei qualche parola in più sulla cosa, in quanto credo sia proprio da qui che si può sviluppare una filosofia fenomenologica dell’incorporazione. Seppure “le cose materiali […] sono realtà senza storia” (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. II, Libro II: Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, tr. it. di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, §33, p. 140), è anche vero che “c’è uno strato che, per così dire, li «anima», che conferisce il senso […] grazie al quale dall’elemento sensoriale, che non ha in sé alcuna intenzionalità, si realizza appunto il concreto vissuto intenzionale” (id., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Libro I: Introduzione generale alla fenomenologia pura, tr. it. di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, §85, p. 213). Da queste cose, com’è noto, ci sono due ramificazioni possibili delle indagini fenomenologiche: quelle dirette “all’elemento materiale, [che] possono essere dette iletico-fenomenologiche” (ivi, §85, p. 217), e “quelle relative ai momenti noetici, noetico-fenomenologiche” (ibid.). Da mia parte, vedrei bene la filosofia fenomenologica dell’incorporazione come una specifica modalità dell’indagine noetico-fenomenologica: è proprio dai conferimenti di senso che stratificano gli elementi materiali che è possibile una loro massificazione.
[32] E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., §34a, p. 148.