Phenomenological turn. Introduzione alla fenomenologia della persona

La fenomenologia favorisce approcci variegati per interessi e sensibilità, e il suo metodo – pur nelle diverse declinazioni regionali – incontra un interrogativo tanto personale quanto, a ben vedere, universale: qual è il mio posto nel mondo?

In quanto scienza “pura dei vissuti in generale” (E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 2005, p. 202) o “scienza di essenze (o «eidetica»)” (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, p. 6), la fenomenologia indaga sotto un profilo peculiare il nostro modo di essere nel mondo: attuando l’epochè fenomenologica, anche detta riduzione trascendentale, perviene all’essenza delle cose. A un livello più profondo, la fenomenologia dovrebbe essere letta così: tutto quanto mi capita, la sigaretta tra le mie dita così come il mio sapere il teorema di Pitagora, è un vissuto e, come tale, pertiene alla mia coscienza e dunque, di principio, l’indagine fenomenologica deve occuparsi della coscienza pura poiché, rivelandone i modi, verifica la legalità di ogni conoscenza possibile. Lo vedremo bene tra poco.

Questo ha delle chiare implicazioni esistenziali: potendo lavorare scientificamente ogni vissuto, è possibile da un lato comprenderne il senso riferendolo alla coscienza cui riguarda [2]; dall’altro, emergono gli utensili epistemici di una scienza che scava nel profondo il nostro modo di essere nel mondo [2]. Ecco che la fenomenologia, come dicevamo, risponde bene a un’impellenza amletica tanto personale quanto universale: qual è il mio posto al mondo? Da qui: phenomenological turn!

La nostra introduzione vuole occuparsi della regione persona sulla base di un preciso assunto teoretico: introducendo alla fenomenologia della persona, in realtà si introduce alla fenomenologia come tale. La fenomenologia, stiamo per vederlo, considera centrale la persona in quanto metro epistemico di ogni conoscenza e, per questo, fare una scienza della persona significa fare una scienza di qualsiasi teoria della conoscenza in generale.

Ripiegamento fenomenologico

Perché “ripiegamento”? È bene chiarirlo subito: ripiegare, in questa istanza, non significa approdare alla fenomenologia per accontentamento ma, proprio diversamente, vuol dire ancorarsi a essa perché più di tutte le altre scienze risponde all’interrogativo fondamentale – qual è il mio posto al mondo? E il suo metodo ha il rigore di una scienza logica, tanto che, allo stato embrionale delle Ricerche logiche – luogo della prima sistematica elaborazione del metodo fenomenologico – la si chiamava perlopiù logica pura. Fermandoci su questo testo, essa “tratta a priori delle specie (forme) essenziali delle teorie e delle leggi relazionali corrispondenti” e, dunque, è “una scienza della teoria come tale più comprensiva che indaga […] i concetti e le leggi che ineriscono costitutivamente all’idea di teoria passando poi a differenziare questa idea” (E. Husserl, Ricerche logiche, cit., p. 190). Addolcendo il lessico rigido delle Ricerche, si tratta di una teoria di ogni teoria di una conoscenza in generale. Quindi: la logica pura individua quelle strutture invarianti che legittimano il nostro modo di fare conoscenza in generale, prima di ogni scienza specifica.

Questo è il nucleo delle Ricerche: ogni conoscenza specifica riguarda un soggetto che la teorizza, per cui, prima di ogni scienza specifica, è necessario tornare ai fondamenti della soggettività e ai suoi modi di orientarsi al mondo. Compito della filosofia, allora, è quello di

Chiarire che cosa sia l’essenza di «cosa», «evento», «causa», «effetto», «spazio», «tempo» ecc.; e ancora: che genere di affinità straordinaria intercorra tra queste essenze e quella del pensiero, del conoscere, del significare, dal momento che esse possono essere pensate, conosciute, significate etc. E se la scienza costruisce teorie per la soluzione sistematica dei suoi problemi, il filosofo chiede che cosa sia la scienza della teoria, che cosa rende possibile la teoria in generale ecc. (E. Husserl, Ricerche logiche, cit., p. 195)

Saranno le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), lavoro del decennio successivo alle Ricerche, a cristallizzare una volta per tutte la metodologia fenomenologica. Parlando di questo lavoro, si articola in tre volumi cui ci si riferisce convenzionalmente come: Idee I, Idee II e Idee III. In queste ulteriori ricerche, Husserl ammorbidisce sensibilmente il lessico delle Ricerche e presenta a chiare note i precetti della fenomenologia come teoria della conoscenza e, quindi, come studio della coscienza pura. L’obiettivo è di conquistare “il libero orizzonte dei fenomeni «trascendentalmente» purificati” e, così,

tracciare sul terreno della logica pura, in quanto parte della struttura fondamentale di ogni possibile conoscenza o di ogni oggettualità di conoscenza […], uno schema in conformità al quale tutti gli individui devono poter essere determinati, secondo concetti e leggi; sotto «principi sintetici a priori»”. (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, cit., pp. 5, 40).

È proprio questo tarlo apparentemente tassonomico, ma intrinsecamente epistemologico, a guidare l’indagine fenomenologica: per determinare la legalità delle scienze specifiche, si deve meditare circa il fondamento che le istituisce tutte a priori – la coscienza pura. Per farlo, occorre purificare trascendentalmente il mondo attraverso l’epochè, la quale altro non è che una messa fra parentesi o fuori circuito del mondo, compresi noi stessi come presenze empiriche (cfr. ivi, pp. 67-80). Per pervenire al fondo eidetico, essenziale e in quanto tale invariante delle cose, così come della coscienza, bisogna sospendere il proprio giudizio purificando i fenomeni della loro stratificazione empirica, vedendoli eideticamente (Wesenserschauung). Questo accade per motivazioni epistemologiche e filosofiche.

Sin dalle Ricerche, la fenomenologia risponde all’esigenza di fronteggiare il probabilismo epistemologico (cfr. E. Husserl, Ricerche logiche, cit., pp. 61-72), il relativismo psicologista (cfr. ivi., pp. 99-106) e quindi la contingenza empirista (cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, cit., pp. 13-26; pp. 43-47). Il punto è che rimanendo su un piano esclusivamente empirico, e negando quindi le essenze, si compie un passo epistemicamente falso: la scienza dovrebbe formalizzare a priori ma, eliminando ogni base eidetica cui riferirsi, “fornisce soltanto singolarità e nessuna generalità” (ivi, p. 45). Come se non bastasse, le scienze empiriche presuppongono una tesi generale, che Husserl formalizza come “«ogni pensare valido si fonda sull’esperienza come sull’unica intuizione offerente»” (ibid.), avvolta nell’evidente paradosso di configurarsi come paradigma eidetico.

Di qui la necessità di allontanarsi non solo dalle scienze atteggiate naturalmente ma dal mondo stesso per poterlo studiare in generale, ovverosia trascendentalmente o eideticamente. In questo Husserl risulta particolarmente raffinato poiché, pur ammettendo lo sfondo eidetico, riconosce continuamente in Idee I anzitutto che il punto di partenza siano i dati in carne e ossa (cfr. ivi, pp. 103-111; pp. 209-221) e, in secondo luogo, che vi sia sempre uno scarto di kantiana memoria tra ciò che si percepisce e ciò che è in sé (cfr. ivi, pp. 105-109) – e “Nessun Dio può minimamente modificare ciò” (ivi, p. 106). Non bisogna infatti dimenticare che la fenomenologia non studia il mondo ma il nostro modo di conoscerlo e organizzarlo sistematicamente nelle formalizzazioni delle scienze, siano naturali o teoretiche (come la matematica o la geometria pura).

Di qui, gli adombramenti: percependo una cosa con certe intenzioni, prestiamo attenzione a certi suoi lati adombrandone degli altri; in un secondo momento possiamo cambiare posizione vedendo altri lati e adombrandone ancora alcuni, e così via in un processo di continuo schiarimento dell’“alone di indeterminata determinabilità” (ivi, p. 167). Insomma, “Per quanto possiamo dunque procedere nell’esperienza, per grandi che siano le continuità di percezioni attuali […], rimarrà sempre per principio un orizzonte di determinabile indeterminatezza” (ivi, p. 106).

È qui che entrano in gioco le categorie più suggestive del metodo fenomenologico: la nostra vita è un’intermittenza di penombre e schiarimenti più o meno limpidi che lasciano sempre zone di incertezza. Il dislivello esistenziale di questa dottrina è a doppio filo legato con l’epistemologia in quanto, anche atteggiandosi eideticamente, “L’afferramento dell’essenza ha […] i suoi gradi di chiarezza” (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, cit., p. 163), e tutto il processo di riduzione è un graduale illuminarsi dell’essenza dal suo grado oscuro di partenza (cfr. ivi, pp. 162-170).

Io, proprio io, sono la scienza

Quali sono le conseguenze concrete della riduzione? Vista la diretta correlazione tra fenomenologia e vita, Husserl non si esime da un interrogativo simile, a cui risponde che “Noi possiamo addirittura tranquillamente continuare a parlare come dobbiamo quali uomini naturali, giacché in quanto fenomenologi non dobbiamo cessare di essere uomini naturali” (ivi, p. 159). Malgrado tutto, la vita fluisce e si aspetta che noi le corrispondiamo. Ciononostante, “ci prescriviamo la norma della riduzione fenomenologica, che si riferisce anche alla nostra esistenza empirica e che ci vieta di introdurre una proposizione che […] contenga delle posizioni naturali” (ibid.).

Perciò la fenomenologia è un atteggiamento: si tratta di una posizione a un tempo teoretica e pratica nei confronti del mondo. Questa concretezza della fenomenologia interesserà l’ultimissimo Husserl, quello de La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936): rispetto alla separazione delle scienze in Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften, Husserl propone di tornare al mondo della vita (Lebenswelt), quello per così dire pre-teoretico, in cui avviene la concretezza del nostro essere nel mondo.

È sulla base di queste cose che è possibile una fenomenologia della persona. E ancora meglio, per quanto detto finora, si hanno buone ragioni di credere che la regione persona sia il tema principale dell’atteggiamento fenomenologico, specie considerando come la coscienza sia sempre coscienza di qualcosa dove ogni intenzione che conferisce senso alla realtà è sempre la mia propria personale. Questo aspetto della fenomenologia è molto intricato e permea la seconda parte di Idee I, dove sono introdotti i concetti di noetico e noematico: in breve, l’idea è che malgrado la coscienza intenzionale, proprio perché intenzionale, conferisce sempre un senso (carattere noetico), è possibile ogni volta estrapolarne i contenuti considerandoli in generale (come noemi). Naturalmente questo “apre all’indagine di un vasto campo, quello delle relazioni eidetiche tra il noetico e il noematico, tra il vissuto di coscienza e il correlato di coscienza” (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, cit., p. 250).

Questo intrecciarsi di noetico e noematico è vitale per la fenomenologia della persona: l’estrapolazione dell’essenza parte da un orizzonte noetico (di senso) intrinsecamente mio. E dunque, è partendo da quanto mi accade e che vivo personalmente che si conduce un’analisi eidetica. D’altronde, le scienze mi appartengono e sono io che le vivo in quanto unità di senso che “conferiscono appunto questo senso e non un altro” (ivi, p. 140). La nostra esperienza della realtà è sempre filtrata da un’impostazione di senso che dipende dalle nostre conoscenze, dalle nostre convinzioni e dalle nostre personali motivazioni, a maggior ragione che “Ogni atto ha una sua modalità di badare a qualcosa” (ivi, p. 88). E a monte, pure potendo mettere fuori circuito l’intera realtà compreso me stesso, il residuo fenomenologico rimanente testimonia che “il mio esperire attraverso l’entropatia e la mia coscienza in generale è dato in maniera assoluta e nell’originale non solo riguardo all’essenza, ma anche riguardo all’esistenza” (ivi, p. 112).

Le ramificazioni di questa teoria muovono verso l’approccio di M. Scheler sui valori (1913-1923, Essenza e forme della simpatia; 1913-1926, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori) da un lato e, dall’altro, verso l’Einfühlung di E. Stein (1917, Il problema dell’empatia), oltre che le riflessioni di D. von Hildebrand sul cuore (1977, Il cuore. Un’analisi dell’affettività umana e divina) e quelle, ben più note, di M. Merleau-Ponty sul corpo (1945, Fenomenologia della percezione) e di J.-P. Sartre sulla condizione umana (1943, L’essere e il nulla). Questo bacino della fenomenologia, quindi, raccoglie le riflessioni di Husserl intorno alla coscienza intenzionale e le espande in un orizzonte disciplinare sensibile all’esistenza concreta, corporea e qualitativa.

Ora, da questo consegue che io stesso, io nella mia irriducibile singolarità e nella mia inalienabile irripetibilità, divento il fulcro della scienza. Anzi: io sono la scienza e, tra tutte, sono quella più certa visto che la mia coscienza coi suoi vissuti rappresenta il limite della riducibilità e, insieme, il cominciamento di ogni teoria del conoscibile in generale. Io sono logica pura: io sono fenomenologia.

Fenomenologia della persona nel contemporaneo

Concluderemmo con qualche parola sulla condizione della fenomenologia della persona nell’attualità. Crediamo che specialmente oggi questa regione fenomenologica penetri la realtà, viste le radicali modificazioni socioculturali cui stiamo assistendo e che, perlopiù, si coagulano nella virtualizzazione delle relazioni sociali e, ancor prima, nella virtualizzazione del proprio io in un profilo [3]. Questo mutamento ci chiama all’attenti, avendo in spalla gli equipaggiamenti fenomenologici.

Alcune delle domande che una fenomenologia della persona oggi dovrebbe porsi, sono: cosa è persona in una società liquida e virtualizzata? In che modo si determina l’identità personale nell’epoca dei social network, e che ne va dell’integrità individuale nel periodo delle passioni tristi [4] e dell’intranquillità [5]?

È evidente che la posta in gioco sia alta. La fenomenologia della persona, per quanto detto, ha un avversario importante perché a incrinarsi è il suo stesso oggetto di studio, appunto la persona. Perciò, noi crediamo non solo urgente ma addirittura necessaria un’indagine profonda sul senso dell’essere persone oggi. Cosa ne va dell’irriducibilità di ognuno, e cosa della propria singolarità irripetibile, oggi che tutto si frantuma in una temporalità puntuativa [6]? Quel che è certo, comunque vada, è che si sia nel mezzo di uno spartiacque nella storia dell’essere, e stavolta ciò che è in palio non è lo Zeitgeist ma lo stesso fatto di essere ancora umani. Per questo: dobbiamo tornare alle persone stesse!

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[1]  In senso stretto è ciò che Husserl definisce guida trascendentale. Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, a cura di F. Costa, Fabbri, Milano 1996, §21, pp. 78-80.

[2]  Sulla base di queste considerazioni si possono ordinare, senza però alcuna presunzione di esaustività, le varie regioni che, nel modo più prolifico, hanno applicato la metodologia fenomenologica; per ognuna, segnaliamo un testo cardine e, per così dire, compendiale. Regionalizzazioni ormai consolidate vertono, tra le altre: l’ontologia sociale (cfr. M. Gilbert, Il noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale, a cura di F. De Vecchi, Raffaello Cortina, Milano 2015; F. De Vecchi, La società in persona. Ontologia sociale qualitativa, il Mulino, Bologna 2022), la psicopatologia fenomenologica (cfr. L. Binswanger, Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, tr. it. di E. Filippini, Feltrinelli, Milano 2007; E. Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, tr. it. di G. Terzina, Einaudi, Torino 2004; E. Straus, L’estetico e l’estetica. Un dialogo nello spazio della fenomenologia, a cura di A. Pinotti, Mimesis, Milano 2005; V. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, a cura di E. Fizzotti, Morcelliana, Brescia 2005; V. Costa, Psicologia fenomenologica. Forme dell’esperienza e strutture della mente, Morcelliana, Brescia 2018; id., Teorie della follia e del disturbo psichico, Morcelliana, Brescia 2023) e la pedagogia fenomenologica (P. Bertolini, Pedagogia fenomenologica. Genesi, sviluppo, orizzonti, La Nuova Italia, Firenze 2001; V. Costa, Fenomenologia dell’educazione e della formazione, Morcelliana, Brescia 2023).

[3]  Sull’argomento suggeriamo due collettanei incredibilmente densi ed eterogenei, che riescono molto bene a inquadrare da un lato la complessità del fenomeno e, dall’altro, la sua multipolarità: G. Riva, B. K. Wiederhold, P. Cipresso, The Psychology of Social Networking Vol. 1. Personal Experience in Online Communities, De Gruyter, Berlino 2015 (doi: https://doi.org/10.1515/9783110473780); id., The Psychology of Social Networking Vol. 2. Identity and Relationships in Online Communities, De Gruyter, Berlino 2019 (doi: https://doi.org/10.1515/9783110473858).

[4]  Cfr. M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2013.

[5]  Cfr. M. Benasayag, T. Cohen, L’epoca dell’intranquillità. Lettera alle nuove generazioni, Vita e Pensiero, Milano 2023.

[6]  Quelle di Bauman prima in Modernità liquida (tr. it. di S. Minucci, Laterza, Bari 2011) e poi, con uno spirito ben più divulgativo, in Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi (tr. it. di S. Minucci, Laterza, Bari 2003) e Vita liquida (tr. it. di M. Cupellaro, Laterza, Bari 2005), sono forse le tesi più efficaci, a metà strada tra la sociologia, la psicologia sociale, la psicoanalisi e la filosofia, nella descrizione della temporalità al tempo della globalizzazione. La tesi di fondo è che la concezione del tempo, da essere dilatata nella tridimensionalità di passato, presente e futuro, viene ridotta all’effimero soddisfacimento istantaneo scaturito dal fagocitare l’ultimo dei gingilli del consumismo organizzato. Questo, naturalmente, ha influenze nei rapporti sociali e di intimità, in quanto anche questi ultimi riflettono il contesto nel quale vengono a essere, scadendo in fragilità e inconsistenza.


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