Con la recente scomparsa di Alain Touraine, a quasi 98 anni, viene meno uno dei riferimenti intellettuali che maggiormente ha segnato un genere di riflessione sociologico-filosofica tipico della cultura e delle scienze sociali novecentesche. Studioso delle dinamiche delle società post-industriali, del ruolo della sociologia e critico degli eccessi del liberalismo, Touraine ha fornito, in generale, una visione influente della vicenda della modernità all’interno della società occidentale (si veda il denso e importante Touraine, A., Critica della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993). Touraine, tuttavia, non si è limitato a una interpretazione teorica, pure presente e comunque accurata, ma ha soprattutto considerato la condizione e la collocazione vivida degli individui all’interno di questa vicenda: da questo punto di vista, il suo contributo si inserisce in maniera significativa, all’interno del dibattito sociologico contemporaneo che su questi aspetti ha visto protagonisti del calibro di Zygmunt Bauman, Ulrich Beck, Richard Sennett, Jürgen Habermas, Anthony Giddens, Slavoj Žižek (mi sono impegnato a raffrontare queste prospettive in Giacomantonio, F., Il discorso sociologico della tarda modernità. Individui, Identità, democrazia, Il melangolo, Genova, 2007). Se si volesse, in effetti, racchiudere emblematicamente il senso della sua ricerca, toccandone in questa sede alcuni passaggi indicativi, si potrebbe forse affermare che tutto il suo ampio discorso ruota attorno all’idea di soggetto e alla sua relazione con la ragione. Il sociologo francese, osservando i processi storico-sociali, sottolinea costantemente che, sin dall’inizio, la razionalizzazione tipica della modernizzazione è combattuta da un’altra forza, la soggettivazione, la cui origine è individuabile, secondo Touraine, nelle dimensioni religiose costituitesi durante il periodo della Riforma. I due poli della modernità, razionalizzazione e soggettivazione, si separeranno definitivamente solo con la Rivoluzione francese e con la Rivoluzione industriale. Nei primi due secoli della modernità, infatti, secondo quanto sostenuto da Touraine la società non è stata obbligata a scegliere tra i due orientamenti, forse perché la comune opposizione di entrambe le correnti al passato era più forte del loro conflitto all’interno della modernità. Dopo i momenti della Rivoluzione francese e di quella industriale, si assiste all’ingresso nello storicismo e nel mondo tecnico. A questo punto il disincanto del mondo diviene palese e iniziano a manifestarsi alcuni tentativi di re-incanto, come quello romantico. Successivamente, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud saranno, per Touraine, i primi a infrangere l’idea di modernità, cessando, nelle loro teorie, di concepire l’individuo esclusivamente nella sua dimensione sociale (sia essa quella di lavoratore, consumatore o cittadino) ed enfatizzando l’essere individuale con i suoi desideri.
Avendo ben chiaro questo sfondo generale, la sociologia di Touraine considera gli individui dal XX secolo in poi differenziandosi sia dagli approcci francofortesi sia da quelli foucaultiani (per una panoramica dei contenuti fondamentali di queste prospettive si rimanda rispettivamente a Adorno, T.W., Horkheimer, M., Marcuse, H., Fromm, E., Löwenthal, L., Pollock, F., La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, a cura di Donaggio E., Einaudi, Torino, 2005 e Foucault, M., Antologia. L’impazienza della libertà, a cura di Sorrentino V., Feltrinelli, Milano, 2005), respingendo l’idea che l’individuo non possa diventare un soggetto creatore del proprio Io, attraverso diverse forme di rapporto con se stesso e con gli altri. In quest’ottica, la società è sempre una sorta di produzione (del resto si ricordi che uno dei primi testi di Touraine ha proprio come titolo La produzione della società, Il Mulino, Bologna, 1975). Di qui la necessità della riaffermazione del nesso soggetto-ragione, che presuppone il soggetto attraverso il rapporto con l’altro. Solo quando l’individuo esce da se stesso e parla all’altro, solo allora diviene libertà, solo allora crea davvero se stesso ed è produttore della società. Il soggetto esiste solo come movimento sociale: la nascita del soggetto non ha a che vedere con la difesa dell’Io, della coscienza e dell’intimità. E proprio il tema del movimento sociale è un altro dei punti fondamentali del discorso di Touraine: esso è essenziale per la soggettivazione e per la sfera politica perché, per Touraine, gli orientamenti culturali di una società non sono al di sopra di essa, ma sono inseparabili dalla forma sociale che lo stato dei conflitti sociali determina, una forma che va dalla completa identificazione con gli interessi della classe dirigente a un’estrema autonomia. La stretta associazione tra la costruzione del soggetto personale e il movimento sociale costituisce peraltro lo snodo in cui risiede la portata più politica della sociologia di Touraine, ossia il riferimento alla democrazia (non necessariamente identificata con il liberalismo e con una società liberale): non è la modernità a produrre la democrazia, ma la capacità di combinare la razionalizzazione e la soggettivazione a definire la modernità. La democrazia è tale quando è simultaneamente sociale e politica. Essa non si realizza con la semplice affermazione della partecipazione del popolo, ma con la subordinazione delle tecniche e delle istituzioni alla capacità creatrice e trasformatrice di individui e collettività. Non a caso, in quest’ambito, la democrazia viene definita da Touraine attraverso l’espressione “politica del Soggetto”: il progetto democratico può essere realmente attivo solo se le istituzioni politiche sono il luogo in cui, al fine di accrescere l’autonomia dei soggetti, vengono respinte o limitate le pressioni esercitate dai mercati o dalla comunità (si veda Touraine, A., Libertà, uguaglianza, diversità. Possiamo vivere insieme?, Il Saggiatore, Milano, 1998); e congiuntamente “la difesa del Soggetto può avere efficacia solo se viene tutelata da un sistema politico sempre più indipendente dallo stato imprenditore e sempre più alimentato dai movimenti sociali, dalle associazioni, dall’opinione pubblica, insomma dalle forze della società civile”(Ivi, p. 262).
Il pensiero di Touraine, indubbio protagonista del contesto contemporaneo francese delle scienze sociali accanto a figure come Cornelius Castoriadis, Maurice Duverger, Edgar Morin, difende dunque una visione della sociologia come “richiamo, contro tutti i poteri, alla realtà delle relazioni sociali distrutte o occultate” (Id., Per la sociologia, Einaudi, Torino, 1978, p 228), distinguendosi per lucidità ed equilibrio, e riflettendo una idea del ruolo fattivo degli intellettuali che possono contribuire a ricostruire il legame tra soggetto e ragione infrantosi con l’età delle rivoluzioni politiche e industriali. Più precisamente, l’intellettuale considerato in quest’ottica, non è quello “dall’alto”, che parla solo del senso della storia; piuttosto è l’intellettuale “dal basso”, che parla dell’individuo e dei diritti dell’uomo. In tal senso è opportuno anche ricordare che Touraine è stato lontano dalla visuale dei postmodernisti, incentrata sull’inevitabile scomposizione della modernità; il pensiero postmodernista è incompatibile con le nozioni di storicismo, movimento sociale e soprattutto di soggetto, che Touraine cerca invece di riaffermare, ritenendo la rottura del postmodernismo inaccettabile: un attore definito al di fuori di ogni riferimento all’azione razionale, diventa infatti ossessionato dalla propria identità e vede negli altri solo ciò che lo differenzia da lui. E, per Touraine, l’ossessione dell’identità individuale o collettiva è pericolosa quanto il fondamentalismo razionalista.
Il soggetto della modernità, su cui Touraine ha per tutta la sua vita ha insistito, non è né l’individuo né il sé costruito dall’organizzazione sociale, ma è da intendersi come il processo tramite cui un individuo si trasforma in attore, cioè in un agente capace di modificare la propria situazione, anziché riprodurla tramite i suoi comportamenti, perché “ciò che definisce nel migliore dei modi la modernità non è né il progresso delle tecniche né l’individualismo crescente dei consumatori, ma l’esigenza di libertà e la sua difesa contro tutto ciò che trasforma l’essere umano in strumento, in oggetto o in straniero assoluto” ( Id., Critica della modernità, cit., p. 274).
Osservando le intricate vicende del mondo contemporaneo, è chiaro che l’appello al soggetto teorizzato da Touraine resta di difficile ricezione: se da una parte le spinte liberali dissolvono il soggetto nelle loro reti di bisogni e relazioni, dall’altra le spinte comunitarie lo imprigionano entro un blocco di credenze e di poteri. Tuttavia, si deve necessariamente cogliere che, riproponendo il nesso tra soggetto e ragione in una dialettica che non ha mai dimenticato la lezione freudiana sul rapporto tra Es e Super-Io, l’opera di Touraine ha riaffermato incisivamente la capacità immaginativa della società umana: tale capacità in fondo appare la chiave della modernità, molto più che i suoi numerosi prodotti economici, politici e scientifici. È attraverso il mantenimento di tale capacità che si può evitare che la modernità collassi vorticosamente tramite i suoi stessi prodotti. Di questo insegnamento che Touraine lascia, e che appare il tratto fulgido di molti sociologi della sua generazione, sarà ancora opportuno tener buon conto per chi crede nello studio come affinamento della coscienza, ben oltre le strategie banalmente comunicative, le logiche sovrastimate dei social media e le mere narrazioni giornalistiche.
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