Sul finire degli anni Settanta del Novecento, cominciarono a diffondersi, in Italia ma non solo, le serie animate giapponesi, note come anime, portatrici di un immaginario del tutto nuovo e dirompente. Una tipologia specifica di quelle serie era inquadrabile nelle storie dei “robottoni”, ossia super robot giganti, guidati da giovani eroi e chiamati a difendere l’umanità da mostri e invasori di svariata natura e origine.
I più noti di questi super robot erano quelli ideati da Gō Nagai, ossia Mazinger Z (in Italia Mazinga Z), Great Mazinger (in Italia Grande Mazinga), Grendizer (in Italia Goldrake), Jeeg, Getter robot (in Italia Space robot), cui presto si affiancarono epigoni quali Gakeen, Daitarn 3, Zambot 3, Combattler V, Gordian, Daikengo, Daltanious, Danguard, Diapolon, Baldios, Trider G7, e altri ancora.
Il modello di anime robotico nagaiano sanciva in generale uno sbalzo notevole nel modo in cui la fantascienza considerava il robot (si pensi al canone di Asimov, Io, robot): era un modello che alludeva a un rapporto simbiotico tra uomo e robot, in una dialettica tra tradizione e futuro (per una lettura critica su fantascienza dei super robot giapponesi, si veda Bartoli, F., Mangascienza. Messaggi filosofici e ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunué, Latina, 2011), ed ebbe un enorme seguito, determinando una scia di lungo corso che ancora si avverte sia per i fan che continuano a ricordare volentieri quelle serie classiche favorendo l’industria di gadget e prodotti a essi dedicati, sia per le rivisitazioni e i remake che i produttori giapponesi continuano a proporre.
I super robot nagaiani (nelle loro versioni televisive prodotti con gli adattamenti della Toei Animation), al di là della loro semplicità di fondo, sembrano racchiudere e riflettere molto emblematicamente tanto del senso e dello spirito del mondo contemporaneo, dai tempi della fase discendente della Guerra Fredda, passando per il trionfo della globalizzazione, sino ai passaggi più recenti delle logiche dei social network e degli algoritmi. Proprio su questo punto, possiamo esplicitare alcune riflessioni che contribuiscono, seppur in parte, a darci ulteriori dettagli sulla visuale dell’epoca che attraversiamo.
Quando uscirono in Giappone negli anni Settanta, i super robot di Nagai si caratterizzavano – al di là di alcune ingenuità e leggerezze in vari passaggi sia grafici che narrativi (ovviamente comprensibili se si considera che erano programmi per bambini o ragazzini e che le tecniche erano all’epoca molto più approssimative rispetto agli standard attuali) – per la drammaticità delle loro vicende e per i sentimenti e gli ideali di sacrificio e giustizia: questi programmi, sotto molti aspetti, si ponevano in modo serio e adulto, anche con scene “forti”, per quanto riguardava le tematiche che indirizzavano ai loro giovani spettatori. Proprio per questi toni, come è noto, in Italia vi furono polemiche sulla trasmissione delle serie robotiche, accusate di veicolare, attraverso i combattimenti degli eroi, certi aspetti di violenza.
A ben guardare, in Mazinga, Godrake e compagnia si avvertiva molto lo spirito della cultura, non solo giapponese, degli anni Settanta, una fase in cui i canoni ideologici erano ancora influenti (era vivido il ricordo della Seconda Guerra Mondiale e in particolare, naturalmente, della catastrofe atomica) e in cui, il disincanto e il disimpegno massiccio dell’ultimo scorcio del secolo dovevano ancora compiersi.
Nei super robot nagainai c’era l’utopia della lotta per un mondo migliore, c’era l’eroe coraggioso, forte e buono, elementi che facevano breccia nel cuore bambini, già affascinati dal turbinio dei colori e delle trasformazioni spettacolari che quei giganti d’acciaio costantemente esibivano ai loro occhi. Ma soprattutto l’incanto di queste storie stava nel fatto che, a volte, bastavano pochi secondi di un passaggio asciutto ma cruciale di un episodio, con un evento commovente, sapientemente accompagnato da una musica solenne che rapiva, per sciogliere l’animo dello spettatore; questa sempre sorprendente alchimia di semplicità e profondità resterà un tratto forse impareggiabile degli anime di quell’epoca.
L’epoca d’oro dei super robot classici, avviata in Giappone da Mazinger Z nel 1972, si protrasse sostanzialmente sino alla prima metà di anni Ottanta (l’ultimo super robot di una certa rilevanza che chiuse questa fase viene spesso ritenuto Dancouga, appunto del 1985, che già rifletteva una impostazione parzialmente differente, in cui si dedicava meno spazio al robot in sé e ai suoi combattimenti rispetto alla “tradizione” inaugurata dai nagaiani); dopo di che, anche per l’ovvia crescita dei bambini di quell’epoca e il passaggio a una nuova generazione, la loro “moda” ebbe un calo e le repliche cominciarono a farsi più rare, venendo in una certa misura soppiantati dai real robot sul genere di Gundam, serie in cui i robot avevano tratti molto più realistici appunto rispetto agli stilemi fantasiosi dei super robot, oppure dai Transformers, che in quanto robot senzienti e autocoscienti costituivano un passaggio ancora ulteriore. Del resto era chiaro che si era entrati in una nuova fase storica, molto meno sentimentale e molto più pragmatica: alla fine degli anni Ottanta cadde il Muro di Berlino, tutta l’Europa orientale si liberò dal regime sovietico, le frontiere si aprivano; e negli anni Novanta la strada era spianata per la globalizzazione e per una cultura sempre più individualista e sofisticata e frammentata, tutti processi colti diffusamente in molta della teoria sociologica più attenta (si veda indicativamente Beck, U., La società del rischio, Carocci, Roma, 2000).
Eppure, già in questa fase di transizione, alcuni di coloro che erano stati bambini all’epoca dell’arrivo dei “robottoni”, covavano una certa nostalgia per quegli eroi, lontani ma in fondo mai dimenticati; per costoro fu una gradita sorpresa quando, alla fine degli anni Novanta, tra 1998 e il 1999, venne prodotta in Giappone e poi diffusa nel mondo la prima rivisitazione rinnovata di uno dei robot classici ideati da Nagai. Infatti, in quegli anni, vide la luce la serie Shin Getter Robot-The Last Day, in cui si rivedevano, in un contesto del tutto diverso dalle serie precedenti, i robot Getter e la loro nuova versione, appunto lo Shin Getter. Questa nuova serie, soprattutto per chi aveva visto il Getter classico, risultava comunque molto spiazzante, pur essendo interessante e spettacolare, con un ritmo serratissimo in cui diventava anche non facile inquadrare bene tutte le situazioni e i personaggi. Tutta la nuova trama poneva i vari eroi sotto una luce più cupa e inquietante rispetto al passato, la stessa potenza dei robot raggiungeva iperboli e gigantismi sconosciuti negli anni Settanta, in cui la narrazione aveva una cadenza più equilibrata e lineare e in cui gli eroi, pur con i loro tormenti, erano ispirati a un canone ideale di fondo che tendeva a prevalere sempre. In definitiva, giunti alla fine del XX secolo, ci si trovava in una fase storica ormai dominata da un modello culturale postmoderno (si veda naturalmente Lyotard, J. F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981), più attento a certe sottigliezze estetiche o citazionistiche, che alla compiutezza etica.
A partire da quel momento, nel corso del nuovo secolo, i super robot nagaiani, hanno conosciuto altri rifacimenti/rivisitazioni, ed ecco quindi Mazinkaiser(nel 2001, in cui si ritrovano Mazinger Z e Great Mazinger e il loro upgrade, appunto Mazinkaiser), Shin Jeeg(del 2007), e ancora Shin Mazinger Z (2009, una sorta di reboot di Mazinger Z), sino al film Mazinger Z Infinity (del 2017, dove vediamo i nostri eroi divenuti adulti), oltre che Shin Getter Robot Vs Neo Getter Robot (del 2000-2001), Shin Getter Robo Re:MODEL (del 2004), Mazinkaiser SKL (del 2010-11) e il recentissimo Getter Arc (del 2021, culmine della saga Getter). In tutti questi casi le trame, in linea di massima, appaiono più articolate e iperboliche(e meno sentimentali) rispetto agli anni Settanta, in cui si assisteva più semplicemente alle tappe di una lunga lotta con il nemico, e hanno una durata più limitata: si consideri che ad esempio Shin Getter-The Last Day aveva 13 episodi, Mazinkaiser solo 7, Shin Jeeg pure 13, Shin Mazinger Z arriva a 26, e siamo distantissimi dalle durate tra le circa 40 e 50 puntate medie dei loro antesignani (si consideri che Mazinger Z aveva addirittura 92 episodi e Goldrake ben 74); la cosa anche qui è comprensibile e non può stupire se si considera che nell’età globale (e della fine delle grandi narrazioni), il canone del tempo è molto più immediato e istantaneo, tutto deve catturare subito l’attenzione e non può protrarsi eccessivamente (per una agile ma attenta lettura su questo tema si veda Augé, M., Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo, Elèuthera, Milano, 2009). Rimarchevole anche il fatto che, tra i tanti super robot dell’epoca d’oro, sono stati appunto tutti questi ideati da Nagai a riproporsi massicciamente e a essere maggiormente ricordati, forse non solo perché il loro creatore fu l’apripista più sistematico del genere, dettando molti stilemi, ma anche perché nell’immaginario robotico nagaiano vi è una commistione di elementi che oscillano tra il diabolico e il grottesco, che tendono a restare impressi, oltre che echi in qualche misura nichilisti e una caratterizzazione molto forte non solo degli eroi ma anche dei nemici, anche questi tratti che intercettavano particolarmente la sensibilità postmoderna. Peraltro, queste nuove produzioni hanno contribuito a rinfocolare sia il già sviluppato mercato dei modellini robotici affermatosi soprattutto da anni Duemila in poi, sia tutta una serie di siti di appassionati, che in ultimi anni sono ulteriormente diffusi attraverso le logiche dei social media.
Alla luce di tutto ciò, l’epopea dei super robot sembra tutt’ora aperta ed è opportuno rilevare il fatto significativo che gli anime in generale sono divenuti col tempo oggetto di attenzione e studio anche accademico non solo dal punto di vista massmediologico e delle scienze della comunicazione ma più ampiamente da un’ottica sociologica, volta a comprendere questi processi culturali nel modo più completo e articolato (si vedano ad esempio gli ampi e dettagliati studi di Pellitteri, M., Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake generation-1978-1999, Tunué, Latina, 2008, la cui prima edizione risale al 1999 per editore Castelvecchi di Roma, e successivamente disponibile anche in edizione ampliata in 2 volumi, sempre per Tunué, nel 2018, e Id., Il drago e la saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese, Tunué, Latina, 2008). Certamente, in tutto ciò, è sempre opportuno osservare che non si possono caricare di illusori eccessi di significato le serie dei super robot, ma è in una certa misura lecito ritenere che l’immaginario di cui essi fanno parte resta un piano di discorso che sottende dinamiche socio-culturali interessanti (sul rapporto cruciale tra immaginario e società si tenga presente l’insegnamento e la ricca prospettiva di Castoriadis, C., L’istituzione immaginaria della società, Mimesis, Milano, 2022).
E allora non appare del tutto azzardato credere che, come attraverso l’interpretazione dei sogni la psicoanalisi cercava di dedurre una migliore conoscenza della vita dell’individuo, forse, per la sociologia e le scienze sociali, analizzare l’immaginario di un’epoca nelle sue varie forme, anche quelle più “leggere” degli anime robotici, può magari essere un modo di comprendere tratti insospettati delle società complesse in cui ci troviamo.