Videodrome: vuoti serbatoi di immaginazione

Alien (1979) e Blade Runner (1982), La Cosa (1982) e Videodrome (1983) hanno saputo affrontare in maniera del tutto inedita le montanti paure identitarie della loro epoca. 
In questi film si possono infatti cogliere le premesse alla nostra contemporaneità, le radici di un nuovo immaginario.
Paolo Lago e Gioacchino Toni indagano i concetti di identità, alterità e spazio delle quattro opere nel loro nuovo saggio
Alle radici di un nuovo immaginario (Rogas Edizioni, 252 pag. 21,70 €, 2023).
Su Scenari proponiamo una riflessione di Paolo Lago dedicata al capolavoro allucinato di David Cronenberg.

Gli spazi in cui si svolge l’azione narrativa di Videodrome (1983) di David Cronenberg sono spesso segnati da una profonda desolazione. Gli interni domestici e quelli della Cathode Ray Mission, le strade, i negozi, i vicoli nei quali si aprono le uscite di servizio di negozi e locali sono rappresentati realisticamente dal regista come immersi in una grigia e scontata quotidianità. Quest’ultima, perduta nei suoi ritmi ripetitivi, appare sempre più pervasivamente dominata dal video e dalla televisione, un dominio che il film intende mettere in rilievo nei suoi aspetti più brutali. Gli ambienti tristi e squallidi che vediamo in Videodrome rappresentano lo scenario quotidiano in cui vivono e si muovono gli individui ormai assoggettati agli schermi televisivi e alle potenti corporation che li controllano.
La stessa vita del protagonista Max Renn, direttore di una televisione privata, è scandita dalla presenza ossessiva dello schermo, fin dal suo risveglio, come vediamo nelle sequenze iniziali. D’altra parte, lo schermo televisivo, in quei primi anni Ottanta, appare estremamente diverso dagli apparecchi digitali sottili e poco appariscenti  a cui oggi siamo abituati: grande, ingombrante, non è altro che una scatola meccanica piena di tubi catodici.
Nel film, un ruolo determinante lo giocano anche altri grandi e ingombranti oggetti che oggi non esistono più: le videocassette, che vengono inserite nel videoregistratore emettendo un suono rigido e meccanico. Lo schermo convesso e ‘panciuto’, il videoregistratore, la videocassetta si configurano quasi come gli oggetti-simbolo di quegli anni Ottanta dominati dall’immaginario televisivo. Nel film vengono riproposti nel loro lato più inquietante e abominevole che quasi li trasforma in incomprensibili oggetti di tortura, come in Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos, nel quale scandiscono l’ovattata prigionia domestica dei figli di una famiglia alto-borghese.

Lo spazio domestico del salotto di Renn, dominato dal grigiore di una meccanica e ripetitiva quotidianità, si trasforma in allucinazione, la stessa che emerge dal terribile schermo di “Videodrome”. Durante l’approccio erotico con Nicki, venato di connotazioni sadomasochistiche, sotto l’influsso delle videocassette che riproducono filmati di torture, gli spazi domestici della casa del personaggio si trasformano nella terribile arena di “Videodrome” dove vengono perpetrati atti sadici e violenti che altro non sembrano se non iperboliche rappresentazioni della violenza cui quotidianamente sono sottoposti gli individui che guardano lo schermo televisivo, inseriti nella loro disarmante e scontata dimensione domestica. Lo schermo ‘esplode’ e ingloba i personaggi dentro di esso: la macchina diventa corpo, lo spazio reale diventa spazio virtuale generato dalla greve pesantezza dei tubi catodici e dai nastri delle videocassette. La plastica di quegli oggetti si trasforma in carne e in spazio allucinatorio, inglobando in sé i corpi. Non è un caso che la videocassetta, nel film, venga strettamente associata alla dimensione del corpo: nel ventre di Renn, in uno stato allucinatorio, verrà inserita una videocassetta la quale si configura come un oggetto non meno ‘violento’ della pistola che il personaggio ripone ugualmente all’interno del proprio corpo. L’oscuro e misterioso Brian O’Blivion, il mefistofelico creatore della Cathode Ray Mission, in una delle sue comparsate sul video così afferma: “La lotta per il possesso delle menti, in America, dovrà essere combattuta in una videoarena, col Videodrome. Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell’uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione”.

La Cathode Ray Mission, il regno di O’Blivion, si presenta infatti come un luogo in cui viene diffuso il verbo della televisione. Ai barboni e ai senzatetto che sono accolti nella “missione”, invece di cibo e assistenza, viene somministrata la visione degli schermi televisivi. Lo studio di O’Blivion, all’interno del quale egli compare nei suoi video, è connotato da un sentore di antiquata decadenza: in esso predominano colori forti e accesi, accostamenti kitsch e barocchi, statue lignee e pesanti tappeti ma ormai lo spazio appare svuotato della presenza umana, sostituita dalla dimensione asettica di un ambiente vitreo e allucinato, irrigidito in linee geometriche che incastonano miriadi di mensole dove sono custodite nient’altro che videocassette, le quali si trasformano in una inquietante sineddoche del corpo umano. O’Blivion è frantumato in migliaia di frammenti di nastro intrappolati nella scatola plastica delle cassette, somiglianti a tante funeree urne cinerarie. Esse rappresentano gli estremi lembi di un corpo annullato, annichilito dagli spazi virtuali e allucinatori dello schermo televisivo.

Come già accennato, le allucinazioni più terribili prodotte da “Videodrome” avvengono in spazi desolati e quotidiani, segnati in alcuni casi da una greve malinconia.
Il film possiede una significativa impronta di tipo picaresco: Renn percorre in lungo e in largo la città di Toronto, muovendosi fra vicoli pieni di rifiuti abbandonati, uscite secondarie, sottoscala, miseri negozi, studi televisivi per poi percorrere le periferie della città fino a giungere in uno squallido molo del porto industriale dove si recherà, come vedremo, all’interno di una nave abbandonata. Ed è proprio in un ambiente spoglio e desolato, il retrobottega di un negozio di occhiali, che Barry Convex, un altro oscuro personaggio, manager di una corporation altrettanto oscura, la Spectacular Optical, applica sul volto di Renn una specie di visore dotato di schermo televisivo che altera la visione della realtà del personaggio. Per mezzo dell’infernale filtro visivo, egli non vede più la quotidianità nella quale è inserito. Il retrobottega del negozio, come precedentemente il suo salotto di casa, si trasforma adesso nella terribile arena di “Videodrome” mentre fa la sua comparsa la stessa Nicki, oscura messaggera dell’universo allucinatorio della realtà alterata e virtuale. Quest’ultima, in Videodrome, a differenza che in molti film contemporanei, non nasce dalla dimensione digitalizzata del computer o della rete internet; nasce, invece, dallo schermo televisivo. Il mondo contemporaneo di internet, con tutte le sue appendici digitali fatte di social e di videogiochi di ultima generazione visualizzati su smartphone o su tablet, sembra  un’evoluzione allucinata e spettacolare dello stesso schermo televisivo. La realtà virtuale e il “metaverso” di cui tanto oggi si fantastica sembrerebbero allora gli estremi approdi di una tecnologia malata e obnubilata dalla macabra spettacolarità di “Videodrome”. Dietro gli inferni virtuali che spesso ci appaiono come paradisi, infatti, non vi è altro che la nostra cruda e scontata realtà di tutti i giorni.

Paolo Lago – Gioacchino Toni, Alle radici di un nuovo immaginario. Alien, Blade Runner, La Cosa, Videodrome (Rogas Edizioni, 252 pag., 21,70 €, 2023)

L’ultimo spazio desolato che ci presenta il film è, come già notato, quello di una nave abbandonata in uno squallido molo industriale di Toronto. Cronenberg ripropone l’immagine della nave abbandonata in luoghi tristi e periferici nel recente Crimes of the Future (2022): vicino a navi arenate e abbandonate, infatti, spesso si incontrano il body artist Saul Tenser e il giovane poliziotto di colore. La nave ferma, bloccata, incagliata, abbandonata e in disarmo, è ormai un “serbatoio di immaginazione” (per utilizzare un termine utilizzato da Michel Foucault nel suo studio sulle eterotopie) dal quale i sogni sono inesorabilmente fuggiti. La nave ferma, ormai, non solca più i mari portando con sé “l’assolata bellezza dei corsari”, come dice Foucault, ma è soltanto una carcassa scheletrita, un ferreo mostro rugginoso in bilico sugli abissi.
Ultimo e inquietante spazio desolato di Videodrome, la nave abbandonata è anche l’ultimo luogo in cui si somatizzerà l’infernale arena degli schermi televisivi. All’interno di essa, infatti, Max Renn trova un televisore dal quale la sua ex amante Nicki gli annuncia la sua evoluzione verso la “Nuova Carne”.
Come in un rituale che lo condurrà all’autodistruzione, Renn si punta alla tempia la sua mano trasformatasi in pistola e si uccide pronunciando queste parole: “Gloria e vita alla Nuova Carne”.
L’ennesimo spazio desolato segnato da sporcizia, da rimasugli di fuochi accesi, da miseri giacigli di senzatetto, si trasforma nell’orrore virtuale di “Videodrome”. Un altro spazio abbandonato dalla società e dai suoi poteri, lasciato tranquillamente a marcire alla periferia della città e della coscienza collettiva, diviene il centro di una ennesima metamorfosi infernale: anch’esso si trasforma nello spazio virtuale che sta indelebilmente segnando la coscienza e la mente degli individui. Dietro la desolazione quotidiana, ancora una volta, c’è un inferno virtuale, quello in cui gradatamente stiamo tutti precipitando senza nemmeno rendercene conto.


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