Si è da poco conclusa la XXI edizione del Premio De André, uno dei più importanti riconoscimenti in ambito musicale che celebra il noto cantautore genovese attraverso le nuove proposte di artisti emergenti.
Per Scenari Silvia Eccher ha incontrato la direttrice artistica Luisa Melis per parlare del premio, delle sua evoluzione nel corso degli anni e di cosa significa esordire nella scena musicale contemporanea.
Il Premio De André è uno dei più importanti premi in Italia, come e quando nasce?
Il Premio De André è nato nel 2003 su iniziativa di Gianni Paris che allora era il Presidente del 15esimo Municipio di Roma e aveva intitolato a De André una piazza nel quartiere della Magliana per dare risalto a nuovi talenti. Nel 2004 l’organizzazione del Premio fu affidata da Dori Ghezzi a mio padre, Ennio Melis che ricoprì anche l’incarico di direttore artistico, e a me; purtroppo mio padre poi venne a mancare e la direzione artistica passò a me.
Cosa è cambiato da allora?
Da allora il premio è cambiato tantissimo. Oltre alla sezione musica abbiamo introdotto due nuove categorie: pittura e poesia.
Dal 2010 sono state inserite anche la Targa “Faber” dedicata a chi si è distinto negli anni nell’ambito della canzone d’autore e la Targa “Quelli che cantano Fabrizio” dedicata invece a coloro che hanno reinterpretato le canzoni di De André in modo creativo e originale.
Dal 2018 l’organizzazione è affidata a iCompany, che si occupa anche del Concerto del 1° maggio. Negli ultimi anni, per problemi legati al budget, ci siamo spostati, per la serata finale, nel prestigioso Auditorium “Parco della Musica”
Quali sono le peculiarità e le caratteristiche che rendono unico il Premio De André?
Innanzitutto il PDA, oltre alla sezione musica, ha anche una sezione dedicata alla pittura e una dedicata alla poesia. La giuria comprende un numero significativo di giurati, tra giornalisti, addetti ai lavori, etc.
La conduzione è affidata al critico musicale Paolo Talanca ed è presieduta da Dori Ghezzi. Naturalmente ogni premio ha le sue caratteristiche ed è diverso dagli altri, quello che ti posso dire è che noi prestiamo molta attenzione al testo che rappresenta un valore fondamentale. Il Premio De André non pone limiti di età ai partecipanti e l’iscrizione è totalmente gratuita.
Che cosa significa essere direttrice artistica di un premio oggi?
Innanzitutto per me è un incarico molto piacevole, è molto bello ascoltare la musica che mi inviano tanti giovani cantautori esordienti.
Quest’anno sono arrivati più di mille iscrizioni e si ha sempre un po’ la paura di sbagliare perché decidere chi passa e chi no è una grande responsabilità ma anche una grande soddisfazione vista la altissima qualità dei partecipanti. La vera sfida però sta nel farli emergere al di fuori del premio.
Quali sono le fasi di organizzazione del Premio De André?
Il lavoro di organizzazione parte con il bando in primavera, poi si raccolgono le proposte e i ragazzi della produzione mi inviano i materiali da ascoltare.
Quando li ricevo non conosco il nome né l’età o la provenienza degli artisti. Quest’anno le domande erano oltre 1100. Ne seleziono al massimo 30, che accedono alle semifinali. Da lì, insieme alla giuria scegliamo 10 concorrenti per la finale.
Che cosa significa per un aspirante cantante esordire oggi? E che importanza può avere partecipare a un premio?
Sicuramente è importante per un ragazzo di oggi partecipare a un premio perché fa curriculum. Nel caso del PDA il cantante che vince si aggiudica un finanziamento di 10.000 euro per fare un tour in tutta Italia e un contratto con Sony Music il che ovviamente è molto prestigioso. Il vincitore dello scorso anno della sezione musica, Lorenzo Santangelo, ad esempio ha conosciuto in quell’occasione Neri Marcoré che era stato premiato con la Targa quelli che cantano Fabrizio e hanno fatto amicizia finendo per scrivere una canzone insieme. Una delle maggiori soddisfazioni per me sta nel veder nascere questo tipo di collaborazione, anche solo tra esordienti. Oggi i premi rappresentano insieme ai talent – decisamente più orientati sul pop – una possibilità per essere conosciuti, una vetrina che dà grande visibilità.
Quali sono le differenze tra l’esordire oggi e l’esordire in passato?
È cambiato tutto! In passato se eri un bravo cantante e venivi scoperto da qualcuno (un professionista del settore come un produttore, un discografico, un talent scout,…), quel qualcuno era disposto a investire su di te, a farti crescere. Oggi invece non è più così, ci vuole sicuramente molta fortuna perché anche grazie al web e ai social le proposte di giovani cantanti sono cresciute in maniera esponenziale. Oggi purtroppo è molto difficile riuscire a emergere, ci sono moltissimi ragazzi bravissimi che non ce la fanno e questa è una delle cose che più mi dispiace. Fino circa al 2000 anche i piccoli festival di tutta Italia in cui orbitavano gruppi di tutti i generi erano regolarmente sovvenzionati con fondi pubblici; adesso invece vengono finanziati soltanto i grandi eventi e quindi tutta quella zona di musica non mainstream che in passato avevano fatto emergere molti talenti ora non esiste più se non il localino dove ti pagano una miseria ma anche quel tipo di realtà è in difficoltà. Oggi un caso come quello dei Litfiba che sono diventati famosi solo grazie ai concerti dal vivo sarebbe impensabile. Sarebbe molto importante ritornare a sentire anche tutta quell’altra musica che non va di moda ora.
Che consigli ti sentiresti di dare a un ragazzo che vuole fare della sua passione per la musica una professione?
Il consiglio è quello di andare in giro a suonare il più possibile e cercare di farsi conoscere. Ai giorni nostri bisogna essere determinati, avere molto coraggio e non arrendersi perché è molto difficile.
Per me è molto avvilente vedere molti ragazzi dotati di talento non riuscire a farcela o avviare una carriera solo a metà dove per sbarcare il lunario si è costretti a fare anche un altro lavoro.
Oggi per riuscire a vivere solo di musica devi essere molto famoso. Anche la radio e la televisione, dove non esiste più un programma serio di approfondimento musicale che vada a conoscere giovani artisti, hanno le loro responsabilità in quanto non favoriscono certo l’emergere di nuovi talenti.
Il settore dello spettacolo e della musica dal vivo è stato uno dei più colpiti dalla pandemia di Coronavirus. Che cosa è cambiato? Secondo te c’è stato un prima e dopo Covid?
Durante la pandemia siamo andati avanti lo stesso. Le semifinali si sono svolte su Zoom, con i giurati e i ragazzi che si esibivano collegati da casa. La finale invece si è tenuta in un teatro di posa a porte chiuse, alla quale però alcuni concorrenti non hanno potuto partecipare perché avevano contratto il Covid. Insomma, ci siamo arrangiati come meglio abbiamo potuto perché non volevamo saltare nemmeno un’edizione del premio. Secondo me non è cambiato granché tra il prima e il dopo Covid. Sicuramente negli anni della pandemia i testi di molti ragazzi parlavano del Covid, ma già oggi non se ne parla più.