Max Weber scomparve nel giugno 1920 e due anni dopo, nel 1922, uscì la sua opera d’insieme Economia e società, una sorta di trattato in cui confluirono tutte le sue ricerche storico-sociologiche: da allora è passato un secolo intero, e quell’opera postuma del grande sociologo tedesco, lungo il Novecento e sino a questa prima fase del XXI secolo, non ha cessato di rimanere un punto di riferimento cui si è sempre guardato con attenzione nella sociologia, nell’epistemologia, nella filosofia, nelle scienze politiche, nella storia economica. Questo perché, di base, si può certamente ritenere che Weber sia stato una personalità intellettuale assai complessa, rigorosa e al contempo attenta all’evolversi del mondo, per cui l’interesse scientifico si accompagnava al senso di una propria responsabilità politica. Ma al di là di questo assunto generale, quell’ultimo suo testo, in particolare, permette l’incrocio, in varia misura, di tematiche significative che spaziano dalla questione dell’epistemologia e del metodo delle scienze sociali, all’analisi della civiltà occidentale moderna e capitalista, alla definizione dei concetti chiave della sociologia (si segnala che esistono diverse edizioni italiane di Economia e società, dalla prima in 2 volumi edita da Comunità nel 1968, alla successiva in 5 volumi sempre di Comunità nel 1980, sino alla nuova recente riorganizzazione proposta da editore Donzelli, sempre in 5 volumi, in cofanetto, nel 2019: per la redazione di questo articolo si è fatto riferimento a Weber, M., Economia e società, 5 voll., Comunità, Torino, 1980). I manuali di sociologia e filosofia, nonché tanta saggistica di scienze politiche e storiografia, ci ricordano continuamente i tanti concetti emblematici sottesi a questo testo weberiano: potremmo segnalare in proposito ilruolo dell’elemento religioso, del diritto, oppure quello dell’economia di mercato e dello Stato razionale. E, ancora, l’attenzione che esso pone alle dinamiche del potere e alla burocrazia, come forma di organizzazione razionale del lavoro, tipica delle società moderne ampie e complesse. In effetti, attraverso Economia e società, come è stato rilevato dai critici, pare lecito osservare che il pensiero di Weber delinea, da una parte, il compito della sociologia comprendente, determinando la funzione corrispettiva della ricerca storica e dell’elaborazione concettuale della sociologia e, dall’altra, inquadra il capitalismo moderno nell’ambito di uno studio sistematico dei rapporti tra le forme di organizzazione economica e i tipi di comunità e di associazione (si veda Rossi, P., Introduzione, in Weber, M., Economia e società: vol. I Teoria delle categorie sociologiche, Comunità, Torino, 1980, specialmente p. XXI): secondo Weber la sociologia elabora “concetti di tipi e cerca regole generali del divenire, in antitesi alla storia, la quale mira all’analisi causale e all’imputazione di azioni, di formazioni, di personalità individuali che rivestono un’importanza culturale”. (Weber, M., Economia e società: vol. I Teoria delle categorie sociologiche, cit., p. 17).

Questi punti che abbiamo voluto brevemente evocare, sono solo alcuni dei concetti e delle prospettive basilari divenuti più iconici, che si rintracciano in Economia e società, che ovviamente costituiscono materiali specifici di studio e approfondimento, la cui analisi è sempre meritevole di occasione, tanto più che trattandosi di un testo postumo, ovviamente le possibili riflessioni risentono più che mai anche di questioni filologiche; tuttavia, se volessimo proporre, in questa sede, una indicativa chiave di lettura dell’ultimo testo weberiano, che possa restituirne nel modo più immediato la sua rilevanza, esattamente dopo un secolo, rispetto al mondo attuale, nonché il suo aspetto più incisivo, forse il nodo su cui insistere potrebbe essere rintracciato nell’idea del disincanto del mondo che la sociologia weberiana sottende in quelle pagine che articolano una serie di precise riflessioni su fenomeni sociali, politici, economici e culturali e sul loro senso. Questo tema ha un peso intellettuale enorme perché porta a considerare l’ambivalenza di fondo dello stesso canone moderno. Weber, come è noto, già prima di Economia e società, aveva scritto, in un passo divenuto celebre che “la crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa dunque una crescente conoscenza delle condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non sono in gioco, in linea di principio, forze misteriose e incomprensibili, bensì che si può – in linea di principio – dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo” (Weber, M., La scienza come professione–La politica come professione, Mondadori, Milano 2006, pp. 20-21).
(Mimesis Edizioni, 702 pag., €32,30, 2020)
Da questa sua nota considerazione discendeva la sua chiara percezione della scissione tra razionalità e valori, tra cultura e natura, tipica del mondo occidentale e del rischio, tragicamente correlato, della gabbia d’acciaio della modernità: razionalizzazione e disincanto sono due facce della stessa medaglia. Ora, in Economia e società questa prospettiva fondamentale si ritrova attraverso analisi più specifiche, più istituzionali, più articolate, quando vengono considerati sistematicamente i rapporti tra economia e tipi di ordinamento sociale dell’Occidente, caratterizzati, di volta in volta, dalla dissoluzione dei legami domestici e parentali, dall’organizzazione politica su base nazionale, dalla creazione del diritto razionale-formale, dal sorgere dello Stato moderno con la propria struttura burocratica del potere, dalla funzione della città come insediamento di mercato: tutti punti che possono essere valutati oltre la teoria sociologica in sé, poiché tratteggiano appunto l’acquisizione della consapevolezza del ruolo del capitalismo e del suo sforzo di razionalizzazione dell’esistenza sociale, che diventa elemento integrante della civiltà moderna determinandone il suo carattere più distaccato e asettico. Da questo punto di vista, a ben guardare, ci rendiamo così conto che è sempre profondamente in gioco, nel pensiero weberiano, la “diagnosi critica del disincanto tragico della modernità” ed è in essa che sempre si manifesta la sua vivida grandezza (per una ampia e recente lettura critica complessiva sulle teorie di Weber si può utilmente rimandare a De Simone, A., L’ultimo classico–Max Weber. Filosofo, politico, sociologo, Mimesis, Milano, 2020): al di là della complessità della trattazione che l’opera ultima di Weber presenta, è innegabile tuttavia che i vari fenomeni che essa considera restano necessariamente alla base di contesti sociali con cui tutti, in qualche modo, ci rapportiamo quotidianamente, anche perché un tratto essenziale del sociologo tedesco appare in definitiva quello di aver dato identità sociologica a quello che oggi potremmo chiamare “lo stile occidentale” (si veda Savarese, R. Introduzione, in Di Costanzo G., Pecchinenda G., Savarese R., Max Weber. Un nuovo sguardo, Franco Angeli, Milano, 2007, specialmente p. 10).
Le tematiche e i possibili sentieri teorici che si ritrovano in Economia e società strutturano dunque, evidentemente, trattazioni assai specialistiche, che in ambito accademico sono abbondantemente recepite e considerate, ma, e questo è il caveat da non trascurare, i nessi e la visione d’insieme che essi suscitano toccano tanto gli studiosi, quanto, più prosaicamente, anche gli uomini comuni, che abitano e attraversano questo primo scorcio del nuovo millennio, più o meno ingenuamente coinvolti tra social media e smart economy, poiché in fondo, pure loro devono guardarsi ancora dall’ineffabile e ambivalente intreccio del destino moderno, fulcro dell’inquietudine weberiana che anche il suo lavoro postumo, nella sua densa architettura, trasmette indubbiamente. Nei dilemmi del disincanto moderno stanno davvero tutti quei problemi di senso che poi, dalla teoria critica francofortese, per tutto il XX secolo, e sino ai giorni nostri, agiteranno il dibattito politico e culturale più accreditato.