Eddie Vedder, songwriter e filosofo. Un dialogo con Luca Villa di Pearl Jam Online

L’11 febbraio di quest’anno è stato pubblicato Earthling, il terzo album solista di Eddie Vedder. Com’è noto, Vedder è un cantautore statunitense, principalmente famoso come cantante e chitarrista dei Pearl Jam (una delle rock band più famose degli ultimi decenni, con una carriera importante che spazia dall’ormai leggendario album di debutto del 1991, Ten, al loro ultimo disco del 2020, Gigaton), ma anche noto per le sue prove soliste, Ukulele Songs (2011) e soprattutto Into the Wild (2007), la pluri-celebrata colonna sonora dell’omonimo film di Sean Penn sull’avventurosa vita e la tragica morte di Christopher McCandless (anche noto col soprannome Alexander “Supertramp”). Nel 2021, in occasione del 30° anniversario della pubblicazione del primo album dei Pearl Jam, insieme al collega Andrea Schembari (nonché compagno di concerti di Pearl Jam e di Eddie Vedder, data la comune passione per la musica che ci unisce fin dall’adolescenza), ho curato la raccolta di saggi Pearl Jam and Philosophy, edita dalla casa editrice Bloomsbury di Londra-New York e comprendente, oltre al mio saggio “Contingency, (In)significance, and the All-Encompassing Trip: Pearl Jam and the Question of the Meaning of Life”, i contributi di Sam Morris, Radu Uszkai e Mihail-Valentin Cernea, Laura M. Bernhardt, Enrico Terrone, Alberto L. Siani, Paolo Stellino, Stephanie Kramer, Jacqueline Moulton, Cristina Parapar, Alessandro Alfieri e lo stesso Andrea Schembari. In occasione della pubblicazione di Earthling – album che, fra l’altro, ha anche spiazzato diversi/e fan di Vedder, per via delle sue sonorità piuttosto diverse da quelle dei Pearl Jam o dei suoi precedenti album solisti quasi interamente acustici, nonché per via dei duetti di Vedder con figure come Stevie Wonder ed Elton John – ho pensato di parlare dell’ultima prova solista di Vedder con Luca Villa. Villa, infatti, è uno fra i massimi esperti della carriera dei Pearl Jam dalle origini fino a oggi, è il principale responsabile del sito web Pearl Jam Online ed è l’autore, insieme a Daria Moretti, del fondamentale libro Pearl Jam Evolution (2016).

Stefano Marino: Caro Luca, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi di Earthling, quali fossero le tue aspettative prima dell’uscita del disco e se tali aspettative siano state soddisfatte, deluse o spiazzate.

Luca Villa: Le mie aspettative su Earthling erano molto alte, perché ho amato parecchio Into the Wild: o meglio, Into the Wild probabilmente è uno dei miei tre dischi preferiti degli ultimi vent’anni (lo preferisco addirittura ad alcuni dischi dei Pearl Jam!) e ho amato molto anche Ukulele Songs. Cosa penso di Earthling? Mi ha spiazzato totalmente, perché non avrei mai pensato che Vedder sarebbe arrivato a incidere un disco rock con un’altra band, al di fuori dei Pearl Jam, e – se devo dirti la verità – il disco non mi è piaciuto tantissimo, soprattutto per una scelta di produzione. Il producer è Andrew Watt, che produrrà tra l’altro anche il prossimo disco dei Pearl Jam; le sue scelte produttive non mi hanno convinto, il suono è troppo compresso e penso che questo sound abbia fatto sì che l’intero disco non suoni un granché bene. Mia moglie ha ascoltato Earthling negli ultimi giorni nella versione in vinile e mi ha riferito che suona molto meglio rispetto alla versione “ultra-compressa” in formato digitale e in CD. Mi riservo di riascoltarlo in vinile, perché ciò porterà sicuramente un’esperienza d’ascolto diversa da quella che ho fatto finora; ma al momento non mi è piaciuto granché come disco. Ci sono, sì, alcune canzoni che mi convincono (te ne cito alcune: “Invincible”, “The Dark”, o anche canzoni un po’ più rock come “Rose of Jericho” o “Good and Evil”, che avrei visto bene incise dai Pearl Jam, soprattutto quest’ultima), però ci sono troppi “filler”, troppe collaborazioni con artisti di grande fama, ma che secondo me non c’entrano molto con questo album. È un disco sfilacciato e che, soprattutto, si distanzia troppo dal percorso musicale folk che Vedder aveva intrapreso nel 2007 e aveva poi continuato nel 2011, salvo poi interrompere questa sua produzione solista per undici anni e tornare con un disco basilarmente rock che, comunque, purtroppo non mi ha convinto.

SM: Mi piacerebbe adesso approfondire un po’ alcuni argomenti specifici, addentrandoci soprattutto nei testi delle canzoni raccolte nel disco di Vedder e soffermandoci sui contenuti dei brani a un livello letterario, poetico e soprattutto filosofico. Come sai, infatti, l’anno scorso ho curato (insieme al collega e amico Andrea Schembari) la pubblicazione del libro Pearl Jam and Philosophy, con saggi di vari autori e varie autrici volti a sviluppare un tentativo di interpretazione filosofica dell’opera complessiva dei Pearl Jam, ragion per cui è diventato ormai abbastanza naturale per me interrogarmi sulla “filosofia” di Eddie Vedder e dei Pearl Jam! Una delle tematiche che a noi sembrata più ricorrente nei brani dei Pearl Jam è quella relativa alla fragilità e la vulnerabilità umana che, tuttavia, non vanno vissute con rassegnazione o persino depressione, bensì rese oggetto di una presa di coscienza critica e, a quel punto, capovolte nel loro opposto, cioè trasformate in strumenti e opportunità per coniugare la propria mitezza e dolcezza con una forza interiore che sappia guidarci nelle relazioni con le altre persone e nell’azione ai fini del cambiamento, ai fini di una trasformazione (in meglio, si spera) della realtà. Penso, a tal proposito, a un brano fondamentale per la “filosofia dei Pearl Jam” come “Love Boat Captain”, in cui l’insormontabilità delle domande che affollano la mente umana muta di segno e lascia spazio alla superabilità di qualsiasi ostacolo, là dove si sia supportati dalla forza dell’amore. Altri riferimenti di segno complessivamente analogo, a mio avviso, possono essere trovati anche in brani parimenti decisivi per la “filosofia dei Pearl Jam” come “Indifference”, “Not for You”, “I Am Mine”, la bellissima “outtake” “Down” o la recente “Seven O’ Clock”. Ecco, volevo chiederti in primo luogo se, da grande esperto dei Pearl Jam, tu concordi con una tale ipotesi interpretativa oppure no, e in secondo luogo se tu ritenga che tematiche di questo tipo siano presenti anche nell’ultimo disco solista di Vedder, Earthling, il quale si apre immediatamente con una canzone che dichiara enfaticamente: “Siamo affermativi? / Non negativi / […] Invincibili… quando amiamo”, e contiene poi, in altri brani del disco, versi eloquenti quali: “Abbiamo la densità dei nostri esseri / Il peso insopportabile, alziamolo un po’”; “Dai ascolto al potere / Uguale potere / Condividi il potere / Senti il potere / Combatti il potere / Sii il potere / Nutri il potere / Sii il potere della luce”; “Abbiamo tutti bisogno di un po’ di redenzione / Tutti falliamo / Falliamo al cospetto della perfezione”; “Abbiamo bisogno di ciò che è al di sopra / Siamo sempre alla ricerca di qualcosa al di sopra / Ma noi abbiamo abbastanza”; “Ti sei convinta, ti sei convinta / Stai vivendo una bugia / […] Cambia i tuoi modi e cambia il tuo scopo / Non vivere nel rifiuto”; “Non c’è un sopra, non c’è un sotto / Non c’è vergogna / […] Se lasciamo che l’oscurità / Di questi tempi ci distrugga / Oh-oh-oh, quello sarebbe veramente / Il crimine”; “Si moltiplicavano le domande nella sua mente […] / Si sentiva annegata nelle sue percezioni / Cercando in ogni direzione / Senza via d’uscita / […] Nelle profondità delle tenebre, ha trovato la luce / […] Oh non devi lasciar perdere / Osa sopportarlo con le tue forze […] / Abbiamo tutti bisogno di condividere e liberarci del dolore”.

LV: Concordo assolutamente con te sulla parte filosofica dei testi dei Pearl Jam, presente in brani come “Love Boat Captain”, ma mi piace ricordare anche un pezzo come “Unthought Known”, secondo me molto filosofico – e tu mi citi anche le bellissime “Indifference”, “Not for You”, “I Am Mine”, “Down e Seven O’ Clock” (quest’ultima ha dei momenti altissimi, di puro lirismo). Purtroppo, anche qui devo dire che i testi di Earthling, secondo me, sono fra i testi più deboli mai composti da Vedder – forse anche per il fatto di essere stati scritti davvero in pochissimo tempo, perché il disco stesso è stato registrato in brevissimo tempo e anche i testi, così come la musica, non hanno impiegato molto a venire fuori dalla penna di Vedder. Forse è proprio per questo, proprio per il carattere del disco, che probabilmente non si riesce a trovare neanche un discorso più prettamente filosofico in queste canzoni. Magari lo si potesse trovare, perché sappiamo che Vedder è uno dei migliori songwriter della sua generazione (se non addirittura il migliore), però, va bene, ci può stare… in questo caso, secondo me, ha “toppato”… Pensando alla sua produzione solista, sia i testi di Into the Wild, sia anche quelli molto introspettivi di Ukulele Songs stabiliscono un connubio molto forte tra filosofia e musica (così come nei Pearl Jam), un connubio che invece non vedo assolutamente nelle canzoni di Earthling.

SM: Avendo citato nella precedente domanda alcuni versi tratti da Earthling e tradotti in italiano, mi sembra corretto e opportuno far presente che quei versi sono tratti dal sito web Pearl Jam Online, sempre aggiornatissimo e completo, che all’indomani della pubblicazione di Earthling aveva pubblicato subito in una delle sue sezioni i nuovi testi di Vedder in inglese, affiancati anche da una traduzione in italiano. Tornando ai contenuti e agli aspetti filosofici che sono presenti in molti testi dei Pearl Jam, vorrei dire che, nel mio saggio incluso nel libro Pearl Jam and Philosophy, mi sono focalizzato, fra le altre cose, sulla tematica della temporalità. Si tratta di una tematica che, com’è noto, ha giocato un ruolo decisivo nell’intera tradizione del pensiero occidentale (da Aristotele ad Agostino, da Spinoza a Kant, da Hegel a Nietzsche, da Bergson a Heidegger, fino ai giorni nostri), e che a mio modesto avviso è molto presente nella “filosofia dei Pearl Jam”, e invero in un modo significativo e originale, ovvero sotto forma di primato della dimensione del presente (come dimensione sulla quale concentrarsi al fine di dare un senso alla propria vita, alle proprie riflessioni e alle proprie azioni) rispetto alle dimensioni temporali del passato e del futuro, alle quali però una buona parte della tradizione filosofica occidentale (soprattutto nella modernità) aveva conferito il primato. La mia analisi, su questo argomento specifico, si basa perlopiù su quella che considero, in assoluto, la canzone più filosofica dei Pearl Jam (nonché semplicemente una delle loro canzoni più belle), ovvero evidentemente “Present Tense”, e si spinge (in modo interpretativamente un po’ azzardato, me ne rendo conto!) a sostenere che i Pearl Jam, su un piano filosofico, non si trovino troppo distanti da certe idee che sono state offerte da filosofi riconducibili al cosiddetto “pensiero post-metafisico” (in fondo, sono stati proprio i Pearl Jam, in “Mind Your Manners”, a dichiarare: “Auto-realizzati e metafisicamente redenti / Potremmo non vivere un’altra vita / Potremmo non riuscire a risolvere il nostro mistero”). Ora, ascoltando e riascoltando i brani di Earthling, e leggendone con attenzione i testi anche grazie alle preziose traduzioni italiane offerte dal sito web Pearl Jam Online, sono rimasto colpito dalla presenza di una serie di versi che sembrano coerenti con l’aspetto della “filosofia dei Pearl Jam” che ho appena citato e che, nel complesso, mi sembrano andare nella stessa direzione: cioè, nella direzione di una redenzione, a livello esistenziale, dal peso del passato, a favore di un’apertura all’avvenire che, però, si basa essenzialmente sulla concentrazione sul proprio presente, su ciò che è possibile fare qui e ora, per così dire. Mi riferisco, ad esempio, a versi di Earthling quali: “C’è un futuro che ha bisogno di una cornice / […] Mi sento onesto come una promessa / I tempi difficili sono arrivati / Al centro del cosmo / Siamo molto più che particelle / Tu sei un sussurro e un urlo / Tu sei… noi siamo… / Tutti parte di questo tutto”; “L’umanità, la calamità / Il sangue versato, la gravità / Abbiamo i cieli, abbiamo la terra / E nel mezzo abbiamo il grande surf / Chi potrebbe chiedere di più? / L’unica regola è mantenere la calma”; “Fanculo al passato o ti fotterai il futuro / Non guardare indietro / Per paura che la verità faccia male”; “La voce del rimpianto nel suo orecchio / Non può sfuggire alla linea del tempo […] / Ha vissuto ogni istante / Sperando che il passato scomparisse”. Ecco, scusandomi per la domanda molto lunga, anche in questo caso mi piacerebbe sentire la tua opinione, come grande conoscitore dell’opera di Vedder e dei Pearl Jam, per sapere cosa ne pensi sulla presenza di queste dimensioni così profonde nelle canzoni della nostra band preferita, e per sapere se ti sembra che ci sia una continuità e una coerenza tra il percorso dei Pearl Jam e quello di Vedder come solista, oppure no.  

LV: Hai citato la mia canzone preferita dei Pearl Jam, quella che tu indichi come la più filosofica all’interno del loro repertorio! Sicuramente diversi pezzi presenti in “No Code” (mi viene in mente anche “Sometimes”, per dire, oppure “Off He Goes”) sono molto, molto filosofici, e sono d’accordo sul fatto che “Present Tense” rappresenti forse l’apice della “filosofia dei Pearl Jam”. Il percorso di Vedder come solista e nei Pearl Jam, al livello della scrittura dei testi, lo trovo molto differente, nel senso che il modo in cui Vedder scrive con i Pearl Jam non corrisponde al modo in cui scrive nei suoi dischi solisti, anche perché Into the Wild racchiude una serie di canzoni nate su richiesta di Sean Penn, regista dell’omonimo film, che aveva chiesto per l’appunto a Vedder di scrivere alcune canzoni basandosi sulla visione del film, ancora privo di colonna sonora. Si tratta di un’avventura che i Pearl Jam, invece, non hanno mai tentato e credo che questo condizioni lo stile di scrittura di Vedder, che è molto diverso nel caso di Into the Wild rispetto allo stile adottato in tutti i dischi dei Pearl Jam. In Ukulele Songs ci sono già alcune canzoni che potrebbero rientrare in uno stile di scrittura più simile a quello utilizzato da Vedder con i Pearl Jam, ma anche lì c’è un’introspezione che è difficile trovare nei dischi con la band. In Earthling, invece, i testi sono molto più semplici e, se vuoi un paragone, li comparerei ad esempio ai testi scritti da Vedder per le canzoni di Backspacer, i quali, a eccezione di “Unthought Known”, “The End” e poco altro, sono testi molto diretti e poco filosofici.

SM: Per concludere, una domanda sul futuro dei Pearl Jam. Dopo due anni di attesa e di posticipi – a causa della pandemia e di tutti gli sconvolgimenti drammatici che essa ha causato a tutti e tutte noi – noi fan dei Pearl Jam abbiamo finalmente potuto riascoltare la band nella sua dimensione principale e più efficace, cioè la dimensione della performance live, nel concerto che si è svolto a Imola il 25 giugno (e magari anche in altre date, per i fortunati e le fortunate che abbiano potuto assistere a più di un concerto in questo tour europeo!). Insomma, i Pearl Jam sono tornati a tutti gli effetti e hanno anche pubblicato un nuovo live album, cioè Gigaton (Tour Edition). Secondo te, cosa ci riserva ancora il futuro della band, che ha ormai superato il trentennio di attività dall’esordio del 1991 con Ten? Cosa vedi nel futuro di Vedder e dei Pearl Jam?

LV: Pur non essendo ovviamente Nostradamus, mi viene da dire che, all’orizzonte, una cosa sicura è un disco che arriverà fra non troppo tempo (forse un anno o due; non credo che verrà pubblicato nel giro di qualche mese): il 2024 potrebbe essere la data dell’uscita del nuovo disco dei Pearl Jam. Sono già trapelate indiscrezioni, nel senso che il disco, ad esempio, sarà prodotto da Andrew Watt, che è un producer di fama mondiale, ha vinto parecchi premi e ha prodotto pop star quali Justin Bieber, Camilla Cabello e roba simile, ma anche roba più pregevole come l’ultimo disco di Ozzy Osbourne o Post Malone. Così come, purtroppo, i suoni di Earthling non mi hanno convinto, allo stesso modo spero che Watt non utilizzi con i Pearl Jam la stessa idea di produzione che è alla base di Earthling; se così fosse, potrebbe venire fuori un disco semplice e diretto alla Backspacer che, nel caso di una band i cui componenti hanno ormai un’età media che viaggia sui sessant’anni, forse non suonerebbe benissimo. Quello che vorrei io, come fan, sarebbe comunque un’evoluzione: un’evoluzione che, secondo me, in Gigaton, il loro ultimo disco registrato in studio, c’è stata al livello del loro sound. Non vorrei che tornassero a suonare cose troppo semplici e in Gigaton, in effetti, ci sono diverse canzoni (anche se non tutte, ovviamente) quasi sperimentali, o comunque molto differenti dal sound al quale ci avevano abituato i Pearl Jam in tutti questi anni. Mi viene ovviamente in mente, a tal proposito, il primo singolo estratto dall’album, la bellissima “Dance of the Clairvoyants”, ma anche “Seven O’ Clock” con le sue sonorità a metà tra Pink Floyd e Bruce Springsteen: si tratta di lidi ai quali finora i Pearl Jam non erano arrivati e che mostrano come essi siano una band che, se vuole, può ancora evolversi. In un certo senso potrebbe anche piacermi un disco semplice, diretto e punk-rock di trenta minuti, magari registrato anche “maluccio”, cioè un po’ “lo-fi”, perché no. Tuttavia, ho un po’ paura che Watt, anche qualora i Pearl Jam scrivessero canzoni punk, molto dirette, che arrivano subito all’orecchio dell’ascoltatore, con la sua produzione artefatta possa enfatizzare troppo un sound che stoni con l’identità della band. Spero invece, per l’appunto, in un disco più sperimentale. A me non sono mai piaciute le band che si ripetono di disco in disco… Nel caso dei Pearl Jam (come accade un po’ con tutte le band) i primi dischi sono stati quelli in cui il gruppo si è evoluto maggiormente (con un’evoluzione molto importante da Ten a Binaural e Riot Act), mentre si sono adagiati un po’ a partire da Pearl Jam (cioè il disco che tutti conosciamo come Avocado); però, già dopo Backspacer, con diversi pezzi di Lightning Bolt (penso ad esempio a “Pendulum”, uno dei loro migliori pezzi negli ultimi dieci anni o giù di lì) e poi con Gigaton, i Pearl Jam hanno offerto sperimentazioni non da poco. Spero che i Pearl Jam, al di là del produttore che hanno scelto, continuino a sperimentare e ciò che vedo all’orizzonte è un nuovo disco, che non penso tarderà ad arrivare (massimo 2024 o 2025), e ovviamente un nuovo tour mondiale. Il tour di Gigaton è stato sfortunato (per via della pandemia che lo ha posticipato di due anni e anche per via di qualche data annullata nel tour europeo di quest’anno), ma la band è ancora in super-forma: adesso partiranno con un nuovo tour che toccherà Canada e Stati Uniti, dall’1 settembre, e poi si dice che andranno a suonare in Sud America e forse addirittura si esibiranno nella prima edizione indiana del Lollapalooza. Il futuro ovviamente non è scritto, ma si dice che anche la prossima estate i Pearl Jam possano andare in tour in America, soprattutto suonando in luoghi non toccati nella tranche americana di questo Gigaton tour del 2022, quali i baseball park come il mitico Wrigley Field. Per quanto riguarda Vedder, ha formato questa nuova band, gli Earthlings, in cui suonano molti musicisti che compaiono anche nel disco (come Chad Smith e Josh Klinghoffer dei Red Hot Chili Peppers), e chissà, impegni con i Pearl Jam permettendo, l’anno prossimo potrebbe venirgli voglia di arrivare in Europa con un breve tour di questa nuova band, per presentare Earthling dal vivo anche al pubblico europeo. Poi vedo anche una possibile pubblicazione della seconda parte di Lost Dogs, il disco di B-sides e rarità che fu originariamente pubblicato nel 2003: è un disco che i fan e le fan amano tanto e di cui vorrebbero quindi ascoltare il volume 2, con altri pezzi inediti e “outtakes” degli ultimi dischi, canzoni recenti rimaste nel cassetto. Potrebbero pubblicarlo già il prossimo anno e lo spero, perché sarebbe interessante, dato che ciò che i Pearl Jam scartano dai dischi a volte offre persino delle tracce migliori rispetto a quelle che la band finisce per includere nei dischi (poco fa citavi “Down”, lato B del singolo di “I Am Mine”, che è uno dei loro pezzi migliori degli ultimi vent’anni): la storia e la discografia dei Pearl Jam è molto chiara in tal senso.



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