Nuria Schönberg Nono, cruciale testimone delle avanguardie in musica, nasce nel 1932 a Barcellona, dalla madre Gertrude, librettista d’opera e dal padre Arnold Schönberg, celebre compositore viennese, ideatore della tecnica dodecafonica.
La sua vita si divide culturalmente e umanamente tra America ed Europa, nonché tra due grandi figure musicali del Novecento: Arnold Schönberg e il futuro marito Luigi Nono.
In seguito alla costretta migrazione del padre ebreo, Nuria cresce in America, a Los Angeles, dove frequenta l’università mentre Arnold tiene le proprie lezioni di composizione musicale.
Nel 1951 però Schönberg muore e la storia di Nuria torna a incrociarsi con l’Europa lasciata dal padre. Pochi anni dopo, infatti, Nuria si recherà ad Amburgo in occasione di una prima schoenberghiana, in cui incontrerà l’altra importante figura del Novecento musicale: il veneziano Luigi Nono, compositore emblema delle neoavanguardie del secondo dopoguerra.
Ecco che, allora, Nuria diviene figura cardinale tra due grandi compositori del passato, testimone di una cospicua parte della storia musicale del Novecento.
Una testimone però profondamente attiva e determinata: dopo la morte di Nono, Nuria decide di rimboccarsi le maniche e, tenendo fede all’esperienza maturata nel lavoro di archivio per il padre, decide di fondare l’Archivio Luigi Nono a Venezia nel 1993.
La tenacia e caparbietà che la contraddistinguono ben si vedono nell’opera di conservazione, valorizzazione e divulgazione di un lascito non solo musicale, ma anche intellettuale e morale.
A Venezia, l’Archivio Luigi Nono ONLUS promuove oggi, oltre alla tutela e alla digitalizzazione dei materiali, eventi culturalmente rilevanti come mostre, seminari e conferenze.
Non manca, inoltre, il dialogo con i giovani studenti, date le possibilità di tirocini e di collaborazioni anche internazionali.
Uno spazio fervente, che accoglie compositori, musicologi, intellettuali, nonché i semplicemente curiosi.
Ed è così che è nata l’occasione per me di intervistare Nuria in quanto viva e preziosa testimone di un passato musicale che mi accingevo ad analizzare, anche filosoficamente, in merito alla tesi di laurea: “Theodor W. Adorno: filosofia e analisi critica delle avanguardie musicali”.
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Sofia Pironi: Mi piacerebbe partire dalla figura di suo padre, Arnold Schönberg, ideatore della tecnica dodecafonica, un metodo rivoluzionario.
Nuria Schönberg Nono: Mio padre era sicuramente uno studioso assiduo, ma anche una persona normale.
Inventò il metodo compositivo di dodici suoni più che altro per sé stesso, per organizzare rigorosamente le sue composizioni, ma rimaneva pur sempre un metodo.
Inoltre, è importante dire che non lo utilizzò in tutte le composizioni a venire e che i suoi richiami alla tradizione sono evidenti. Penso abbia portato avanti più una evoluzione che una rivoluzione, è partito da ciò che c’era prima.
I giovani compositori appartenenti alle neoavanguardie hanno ripreso il metodo inventato da Schönberg, tra loro anche Luigi Nono.
Nella seconda metà del Novecento si formò una corrente seriale, che si occupava di serializzare tutti i parametri musicali. Era quindi qualcosa di diverso rispetto al metodo di mio padre.
Gigi (Luigi Nono), per esempio, studiò la tecnica dodecafonica, ma poi giunse al suo proprio modo di comporre, che non era soltanto quello della serialità integrale di cui Boulez era il principale rappresentante.
Molti compositori se ne servivano in modo meccanico, matematico, credendo addirittura che potesse essere facile scrivere musica una volta scelta la formula. Ma mio padre, così come Gigi, non avrebbero mai condiviso questo tipo di pensiero.
Restando a Luigi Nono, vi siete conosciuti nel 1954 e da lì mai più lasciati. In quale occasione vi siete incontrati?
Ci siamo conosciuti ad Amburgo, in occasione della prima esecuzione di Moses und Aron di mio padre. Gigi era lì e a cena mi sommerse di domande.
Poi, per almeno un anno, abbiamo corrisposto tramite lettere e ci siamo sposati nel 1955. Mi innamorai del suo modo di vedere il mondo, di voler esprimere e trasmettere un messaggio impegnato, soprattutto in musica.
Nello stesso anno siete andati a Darmstadt. Cosa può raccontarmi della vostra personale esperienza ai Ferienkurse?
Gigi mi invitò e io non esitai, ci insegnava anche mio zio, il violinista Rudolf Kolisch. Darmstadt era una realtà bellissima, molto viva: ogni giorno, almeno tre volte al giorno c’erano eventi come conferenze, concerti, seminari…
L’anno precedente Gigi scrisse un pezzo per me, Liebeslieds, che piacque molto al pubblico di Darmstadt. Poi la cosa bella era che proprio quelli che erano studenti divennero presto docenti, come accadde a Gigi.
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Che tipo di rapporto si era instaurato tra i compositori a Darmstadt?
Durante i primi anni a Darmstadt furono invitati i grandi maestri del passato, famosi prima della guerra.
Si sentiva forte il desiderio di ricostituire un panorama musicale per lungo tempo oscurato durante il nazismo. Presto divenne il centro dove si incontravano e riunivano studenti, musicisti e compositori provenienti da tutto il mondo, anche dall’America, come Cage. Era una realtà molto varia e multiforme, fatta di tante correnti diverse.
Nonostante ciò, compositori come Stockhausen, Boulez, Nono si parlavano, discutevano e condividevano idee, seppur diverse.
Venivano da luoghi diversi, e proponevano concezioni sul modo di comporre, e soprattutto a chi comporre anche molto distanti, ma il dialogo fra di loro non mancava mai. Come si può vedere dalle foto, erano entusiasti, si sedevano su un prato e discutevano civilmente.
Questa è una cosa che forse oggi manca, sembra che ognuno pensi solo a sé stesso. Manca il dibattito, la discussione tra persone che la pensano diversamente, o perlomeno io non sono a conoscenza di realtà di questo tipo. Ho cercato io stessa di proporla, quando vengono i visitatori, infatti, cerchiamo sempre di creare dialoghi, dibattiti, connessioni.
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