Tradurre Carpenter, un Thoreau dimenticato

Sostenitore del suffragio femminile, socialista utopista, vegetariano, apertamente omosessuale e pioniere della difesa dei diritti LGBT in Inghilterra, Edward Carpenter fu uno dei principali riformatori della Gran Bretagna tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La fama conquistata in vita con fortune alterne, è sfumata progressivamente nell’oblio.
Adesso arriva in Italia
Per una vita più semplice (a cura di Mauro Maraschi, 208 pag., 16 €, Piano B Edizioni, 2022), raccolta di nove saggi sulle orme del Thoreau di Walden. Su Scenari pubblichiamo un ritratto dello scrittore firmato da Mauro Maraschi, curatore dell’opera, che ci racconta anche il lavoro di traduzione e di approccio a questo libro.

Ormai dimenticato in patria e nel resto del mondo, il pensatore britannico Edward Carpenter godette in vita di una discreta notorietà ascrivibile a due fasi: una prima, nella quale la comunità intellettuale riconobbe la sua attività di brillante saggista e conferenziere fortemente ispirato dal pensiero di Thoreau e Marx, una seconda, più controversa, in cui la sua figura fu ridotta nell’immaginario collettivo a quella di un guru dai principi poco chiari. Nel tempo Carpenter è stato spesso bersaglio di detrattori armati delle stesse opinabili argomentazioni: da un lato lo si accusava di aver sfruttato le proprie cause per secondi fini, dall’altro di non aver lottato abbastanza per queste, sulla falsa riga delle critiche mosse al suo nume tutelare Thoreau, reo di aver trascorso soltanto due anni nei boschi.

Edward Carpenter nacque nel 1844 a Brighton in un contesto ricco e privilegiato: suo padre era un ufficiale navale, suo nonno era stato ammiraglio, e alla famiglia non mancavano «i giusti agganci nell’aristocrazia»[1]. Intorno ai dieci anni dimostrò una discreta propensione per la musica e buone capacità pianistiche. Già ai tempi dell’università, a Cambridge, divenne consapevole della propria omosessualità a seguito della dolorosa interruzione dell’amicizia con Edward Anthony Beck. Terminati gli studi nel 1868, a soli 24 anni, Carpenter prese i voti “più per convenzione che per convinzione”[2], e nei tre anni successivi, dopo aver rifiutato il ruolo di tutore del futuro re Giorgio V, provò una crescente insofferenza nei confronti della propria vita e dell’ipocrisia della società vittoriana. Fu così che nel 1874, appesa la tunica al chiodo (e rinunciando così ai privilegi che ne derivavano), Carpenter si trasferì a Leeds e qui si mantenne tenendo conferenze e insegnando scienza e musica all’università. Mollò di nuovo tutto dopo qualche anno, infastidito dall’idea di istruire figli di benestanti (tra l’altro poco interessati alle sue discipline) piuttosto che giovani bisognosi di emanciparsi. Si trasferì a Sheffield, imparò a coltivare e prese a vendere i prodotti della terra nel mercato locale, provando per la prima volta un sincero appagamento per la propria condotta.

La sua vita cambiò nel 1882, quando, alla morte del padre, Carpenter ereditò una somma cospicua che gli consentì di spostarsi a Millthorpe, prendere in gestione una fattoria, vivere secondo ideali per lui più giusti e dedicarsi con continuità alla scrittura. Qui, per la prima volta in trent’otto anni, poté vivere la propria omosessualità in modo aperto, prima in una relazione con un fabbro, poi con un riformista che affiancò nella sua scuola progressista. Divenne di idee più radicali e prese parte alla neonata Socialist League. Finalmente libero di gestire il proprio tempo, affrontò un viaggio in India che si rivelò determinante da molti punti di vista: quasi avesse intrapreso la strada maestra, fu proprio al ritorno da questo viaggio, nel 1891, che Carpenter conobbe su un treno quello che sarebbe stato il compagno di una vita per quasi quarant’anni: George Merrill.

La distanza anagrafica era significativa: Carpenter aveva 47 anni, Merrill 25. Figlio di un macchinista, Merrill era cresciuto nei quartieri poveri e non aveva interessi culturali. Questo divario alimentò una serie di speculazioni: secondo molti Merrill era succube del carisma di Carpenter, più un valletto o uno schiavo che un compagno. A Carpenter inoltre non fu perdonato di riuscire a vivere una relazione omosessuale con relativa tranquillità proprio negli anni in cui Oscar Wilde finiva in carcere. In generale, gli argomenti dei suoi detrattori sono sempre stati più legati allo stile di vita e alle pose dandy che ai contenuti dei suoi scritti. George Orwell, in particolare, intraprese una vera e propria campagna diffamatoria, riducendo Carpenter, sia nelle corrispondenze che nelle proprie opere, all’archetipo del borghese travestito da santone. Ma qui va chiarito che Carpenter aveva più estimatori che nemici. Fu amico di Rabindranath Tagore e di Walt Whitman, di Henry S. Salt (autore di una fondamentale biografia di Thoreau) e dello scrittore E. M. Forster, che si ispirò alla sua longeva relazione per quello che può essere considerato il primo romanzo moderno a tema omosessuale, Maurice (1914, pubblicato postumo nel 1971). Carpenter ebbe inoltre scambi epistolari con Gandhi, Jack London e John Ruskin, fu definito da Tolstoj “un degno erede di Carlyle” e ricevette la stima di Aldous Huxley. Finché fu in vita fu considerato, per decenni, un pensatore coraggioso, influente e persuasivo.

Ma allora perché la damnatio memoriae del personaggio è riuscita a impantanare uno studio rigoroso della sua opera? Sembra quasi che a Carpenter non sia mai stato perdonato di aver vissuto, nella seconda metà della sua esistenza, come un uomo libero e isolato dalla società (per quanto oggetto di pellegrinaggi da parte di giovani in cerca di un mentore), e di aver prestato un’attenzione indiscriminata a qualsiasi causa progressista (il vegetarianismo, il suffragio universale, persino una precoce campagna contro l’inquinamento!). Ma soprattutto, almeno da noi, è possibile sostenere che fino a oggi Carpenter non sia stato proposto al grande pubblico nel modo migliore. Era già apparso nel 1912 con Verso la democrazia (traduzione di Teresina G. Campani Bagnoli per Carabba, 1912) e nel 1929 con L’amore diventa maggiorenne (traduzione di Guido Ferrando[3] per i Fratelli Bocca); ma se nel primo caso ci troviamo di fronte alla sua prima pubblicazione, apparsa nel 1883 e ancora troppo debitrice a Whitman, nel secondo abbiamo un’opera pubblicata nel 1896, quando Carpenter si era già focalizzato sulla causa omosessuale (e in secondo luogo sul misticismo), lasciando meno spazio a quelle teorie filosofiche e politiche per le quali era stato apprezzato.

Certo, un autore è tutto ciò che ha scritto, ma ci sono i presupposti per sostenere che a Carpenter gioverebbe essere presentato in primis quale pensatore del socialismo utopistico e soltanto in un secondo momento come pioniere della lotta per i diritti LGBT+. Opere come Per una vita più semplice resistono alla prova del tempo poiché abbracciano ideali universali e ascrivono il proprio autore a un filone già consolidato, quello di Thoreau, Emerson, Muir e, più recentemente, Wendell Berry; mentre la produzione successiva, oltre a essere più avanguardistica, per quanto sia un eccellente archetipo nel contesto degli studi di genere, per forza di cose si attaglia meno al grande pubblico indifferenziato, né si può collocare in modo davvero utile in un dibattito spesso incentrato sulla creazione di un lessico nuovo e precipuo. Lo stesso dicasi per il precedente Verso la democrazia, opera in versi i cui contenuti politici possono arrivare al lettore italiano soltanto in modo frammentario e ostico. Non è riduttivo sostenere che il modo migliore per presentare Carpenter, quantomeno in Italia[4], sia quello di ripartire dalle opere di teoria politica risalenti al periodo 1883-1891 e di cui Per una vita più semplice è ideale rappresentazione.

Per una vita più semplice è una raccolta di nove saggi collazionata dallo stesso Carpenter con l’intento di creare una sorta di prosecuzione di quel capolavoro che è il Walden di Henry David Thoreau. Carpenter era un grande estimatore del trascendentalista americano, come si evince da diversi passaggi: “Per nostra fortuna, però, una quarantina di anni fa un uomo stufo di assistere alle paludi della società moderna ha avuto il fegato di attraccare nell’arida isola dello stretto necessario”.
Non a caso nel saggio eponimo viene riproposta la medesima modalità dimostrativa usata da Thoreau in Walden, alternando conteggi e ragionamenti per dimostrare, dati alla mano, i tanti modi in cui si può semplificare la vita di ogni giorno. La raccolta si apre però con un respiro più ampio, quello del saggio Gli ideali di una nazione, nel quale Carpenter mette sul tavolo tutte le carte del suo socialismo: “Ma i valori della Signorilità, corrotti e al momento spacciati, risultano ormai […] in costante contraddizione con il concetto stesso di fratellanza. Poiché il disgraziato benestante, essendo del tutto assorbito dai propri affari, si trova costretto a rinunciare alla cosa più preziosa di tutte: un rapporto umano con il resto della massa”.
Qui Carpenter si scaglia contro le disuguaglianze sociali e contro la pigrizia (e la nascita stessa) di un’enorme classe (composta da borghesi, ricchi e capitalisti) che vive alle spalle della fatica altrui (ovvero della classe lavoratrice), ma non risparmia sferzate alla filantropia, secondo lui utile soltanto a deresponsabilizzare i benestanti: “Senza dubbio, tra le tante falsità della nostra società ce n’è una che merita di essere smascherata più di qualsiasi altra: è inutile che i benestanti parlino di Carità se continuano a estorcere somme immani alle classi lavoratrici, così com’è inutile illudersi di poter alleviare con la panacea della filantropia quella povertà terrificante creata dagli stessi benestanti con il loro stile di vita“.

Nel saggio successivo, Il prestito di denaro e l’origine del profitto, Carpenter entra nel merito della questione, cercando di scavare il più a fondo possibile nel terreno ormai marcio di quella che considera tra le piaghe principali della contemporaneità: “È mai possibile che […] interessarsi al denaro e interessarsi alla vita debbano essere attività in antitesi? […] E che non sia salutare, né possa esserlo, continuare a vivere appropriandosi di ciò che è stato prodotto da altri con il sudore della fronte?”; soltanto quando sarà stata abbattuta quest’antica malattia, secondo Carpenter, potrà affermarsi un socialismo sano, per certuni spaventoso, ma di certo più giusto della situazione attuale. Quest’argomentazione sfocia in Progresso sociale e impegno individuale, in cui Carpenter, per ricordarci che “non cambiare è morire”, elabora una lunga e affascinante similitudine tra la ciclicità della vita vegetale e la periodica impellenza di una rivoluzione, sostenendo infine che “chiunque senta dentro di sé che può esistere uno standard di vita migliore di quello dominato dalla frenesia del mercato […] egli coltiva, dentro di sé, i semi di un nuovo ordine sociale”.
Con l’esilarante Ville da sogno ha inizio quindi un attacco alla proprietà privata che sarà ripreso e concluso da Proprietà privata: “Quando costruisce la propria prigione un ricco si erige intorno delle mura per chiudere il resto del mondo fuori e per seppellirsi dentro”.
Quindi, dopo il saggio eponimo già citato, assistiamo a una riflessione sugli ideali che muovono le nostre imprese e che ci spingono a relazionarci con gli altri con una condotta più o meno morale; e così in Ne vale la pena? Carpenter si scaglia contro tutti coloro che, di una qualsiasi attività, vedono soltanto il tornaconto economico: “E così, piuttosto disorientato, […] cominciai a chiedermi se la cosa più sensata da fare non fosse tentare di mantenere nell’innocenza almeno un piccolo fazzoletto di terra come il mio; cercare di produrre cibi sani e non adulterati, incoraggiare il lavoro onesto, coltivare condizioni dignitose per i lavoratori e prodotti utili per i compratori, nonché mantenere quest’equilibrio il più a lungo possibile, tenendo per me il minimo in termini pecuniari. Non è molto ma è qualcosa, un barlume nell’oscurità, e se anche altri facessero così poco alla volta la luce aumenterebbe, e magari dopo un po’ saremmo tutti in grado di vedere meglio la strada”.

Edward Carpenter, Per una vita più semplice (a cura di Mauro Maraschi, Piano B Edizioni, 2022)

Altro intermezzo brioso è Commercio, nel quale Carpenter evoca il cambio di prospettiva nell’istante esperito in cui cominciò a vendere i prodotti della terra al mercato di Sheffield: “Adesso avevo l’impressione che fosse il pubblico a sbagliare, e che fosse possibile scorgerne a occhio nudo l’indole prevenuta. […] E che invece di desiderare che ogni cosa venisse fatta nel modo giusto, desiderasse che ogni cosa venisse fatta come voleva lui, al di là di qualsiasi sentimento di onestà e umanità”.
Giunge quindi il momento di mettere in discussione quelle proprietà private che sono più spesso frutto di discendenze o illegalità che di un percorso onesto e individuale: “A questo punto bisogna chiedersi: chi è il vero proprietario della terra? L’uomo che le dedica pensiero, affetto e fatica, che se ne augura il rigoglio e la fa sorridere di gioiosi frutti? Oppure l’uomo che, conoscendo a malapena i confini di ciò che possiede e non provando alcun sincero desiderio di migliorarlo, pensa soltanto ai vantaggi che può trarne e agli affitti maggiori che la legge gli consentirà di rastrellare dalla sua superficie?”.
Chiude l’opera Il boschetto incantato, un epilogo riassuntivo che mira a scuotere masse e privilegiati da quella torpida accettazione dello stato sociale che troppo a lungo li ha resi, loro malgrado, dei nemici.

Per quanto riguarda la traduzione del testo, bisogna insistere sulla peculiarità linguistica di Per una vita più semplice (England’s Ideal: And Other Essays on Social Subject, 1887), o di Civilisation: Its Cause and Cure (1889), rispetto al precedente poema Verso la democrazia (1883) e a opere successive come Homogenic Love and Its Place in a Free Society (1894), Sex-Love and Its Place in a Free Society (1894), Marriage in Free Society (1894) o L’amore diventa maggiorenne (1896), per molti versi più complesse, autoriferite, dal sapore fourieriano.
Premesso che Carpenter si dedicò alla scrittura per quasi cinquant’anni, producendo opere molto diverse tra loro (dal resoconto del viaggio in India a quello dell’incontro con Walt Whitman fino a una corposa biografia intimista), diventa chiaro quanto sia delicato lasciarsi andare ad affermazioni generalizzate per inquadrarne l’opera omnia. Per certo, però, fintanto che i temi sono stati quelli sociali – l’emancipazione dalla schiavitù del lavoro, una più equa distribuzione dei beni materiali, la promozione di ideali più nobili di quelli del commercio e del capitalismo, e così via – Carpenter ha sempre adottato uno stile piano, divulgativo, ispirato all’incedere thoreauviano ma mai oracolare o apodittico come può esserlo Thoreau, arricchito da un umorismo e da similitudini naturalistiche che Thoreau avrebbe apprezzato, ma comunque accessibile, divulgativo e soprattutto (apparentemente) umile.
In tal senso c’è un altro elemento di congiunzione che non può essere ignorato: sia Carpenter che Thoreau hanno scritto parte dei propri saggi sottoforma di canovacci per conferenze, predisponendo il testo all’oralità e optando, di caso in caso, per un lessico che si prestasse il più possibile alla verbalizzazione; sia nei testi politici di Carpenter che in Camminare o in Disubbidienza civile di Thoreau (più che in Walden), sono rilevabili indicazioni di lettura, variazioni del ritmo e impennate dei toni, tutte caratteristiche proprie di un testo pensato per essere letto ad alta voce (come in verità dovrebbero esserlo tutti, ma questo è un altro discorso).
Ne risulta che la prosa di Carpenter, almeno nelle opere ascrivibili al socialismo utopistico, è musicale e sgravata dagli orpelli esornativi, e si colorisce soltanto in occasione di qualche citazione biblica (elemento inevitabile ai tempi, soprattutto per un ex ecclesiastico) o quando Carpenter ricalca formule enfatiche care allo stesso Thoreau: “Usura! Idolo truffaldino, detestato eppure venerato da mezzo mondo, il cui nome stesso è un abominio e i cui riti segreti vengono, nonostante ciò, praticati da migliaia e migliaia di persone: con quale incantesimo di infamia e biliosa miseria hai stregato i tuoi adoratori!”; oppure: “La Giustizia e l’Onestà si sono liquefatte dando vita a una filantropia lamentosa e annacquata; il ruolo dell’onore nei rapporti tra datore di lavoro e impiegato, debitore e creditore, compratore e venditore, è diventato quello di generare infamia, omissioni, ipocrisia e usurpazioni; e il nostro Paese giace colpito a morte dai figli che avrebbero dovuto amarlo”.
È innegabile: a tratti sembra di leggere un inedito di Thoreau, motivo per cui non si può criticare il desiderio diffuso di promuovere Carpenter come “il Thoreau britannico“.
Al contempo in Carpenter il culto della Natura è secondario se si pensa a quanto sia fondante nel pensiero di Thoreau, e anche l’interesse per le culture orientali si declina in un modo diverso, più antropologico che finalizzato all’elevazione personale. Non ci troviamo quindi di fronte a un imitatore, bensì a un autore eterogeneo che nell’arco di un secolo, per diversi motivi, non ha mai più ricevuto l’attenzione conquistata in vita, un autore che – almeno in una parte della sua produzione – risulta brillante, sagace, attuale e motivante, un nuovo prezioso amico e consigliere per tutti coloro che vivono immersi negli automatismi della vita moderna (ovvero dell’ultimo secolo) e sentono il bisogno, almeno per un po’, di riaprire gli occhi sulla vera essenza della vita.


[1] T.H. Bell, Edward Carpenter: the English Tolstoj, The Libertarian Group, 1932.

[2] Philip Taylor, Biography of Carpenter, Wayback Machine, 27 September 2017.

[3] Guido Ferrando (1883-1969) fu un fondamentale conoscitore e promotore dei filosofi trascendentalisti americani, tra i primi a proporre in Italia un’analisi esaustiva del pensiero di Henry David Thoreau. Vedi Guido Ferrando, Thoreau e il trascendentalismo americano (Passamonti, 2020).

[4] Nel corso del tempo, laddove l’opera di Carpenter risulta più immediatamente consultabile per questioni anche meramente linguistiche, sono apparse non poche opere di studio, analisi e comprensione del personaggio e del suo pensiero: si vedano in particolare Edward Carpenter: the English Tolstoj (The Libertarian Group, 1932) di T.H. Bell o, molto più recentemente, l’esaustivo Edward Carpenter: a life of liberty and love (Verso, 2008) di SheilaRowbotham.


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