L’Europa e le sue scelte

La guerra di aggressione condotta dalla Russia nei confronti dell’Ucraina ha dimostrato che l’Unione Europea deve sviluppare le proprie capacità di difesa e dotarsi di una capacità di deterrenza in grado di essere mobilitata per reagire alle minacce di aggressione che la toccano sia direttamente sia indirettamente. La guerra, infatti, anche se ritenuta improbabile fino al 23 febbraio da quasi tutti gli osservatori internazionali, si inserisce in un quadro più ampio, e cioè l’aperta violazione dei principi e delle regole che avevano governato il sistema internazionale a partire dal secondo dopoguerra. Se si fa eccezione per quanto accaduto nella ex Jugoslavia, non si era mai data in precedenza la circostanza di uno Stato così determinato a riaffermare la propria egemonia e di ridefinire i propri confini nei confronti di una nazione indipendente e sovrana con l’uso della forza militare. Tentativi analoghi erano stati compiuti dalla Serbia di Milošević e dall’Iraq di Saddam Hussein – tentativi non a caso pesantemente sanzionati dalla comunità internazionale.

Perché, oggi, la situazione è diversa e molto più grave? Perché ciò che sta accadendo in Ucraina è l’esito di un mutamento significativo e pericoloso per la tenuta dell’ordine internazionale e delle regole che lo hanno governato per oltre settant’anni. La dichiarazione congiunta siglata a Pechino il 4 febbraio tra Cina e Russia, nella quale si afferma che l’intesa tra Pechino e Mosca “non ha limiti” e “non conosce aree proibite”, è indicativa dell’ampliamento delle ambizioni e dell’azione strategica delle due potenze. Al netto di eventuali divergenze di interessi, il documento testimonia della comune volontà di ridefinire un nuovo assetto del mondo. E infatti, l’aggressione a un paese dell’Occidente è avvenuta non appena la Russia si è sentita le spalle coperte a Oriente.

Gli obiettivi strategici di Putin sono chiari, anche perché ripetutamente esplicitati: indebolire i legami tra gli Stati Uniti e l’Europa e fra i singoli paesi europei, minare la solidarietà della Nato e rafforzare il ruolo e il peso strategico della Russia nei confronti dei paesi posti ai suoi confini. Più in generale: sovvertire il sistema di alleanze e istituzioni multilaterali guidato dagli Stati Uniti e che rappresenta il cuore dell’ordine mondiale attuale. Obiettivi che per essere realizzati prevedono, come stiamo purtroppo osservando tutti i giorni, anche l’uso della forza militare e che i paesi europei hanno compreso perfettamente. Tanto è vero che l’Ue ha deciso di trasferire armi letali al governo ucraino del presidente Volodymyr Zelensky, che il governo tedesco ha scelto di investire più del 2% del Pil nazionale, che Macron e Draghi hanno proposto di accelerare il progetto dell’Unione della difesa. Il problema, però, non è solo spendere, ma spendere bene e, soprattutto, evitare che a una maggiore spesa nazionale si accompagni una minore difesa europea. Si tratta, cioè, di allestire una capacità militare distinta ma non alternativa a quelle nazionali e governata da autorità democratiche sovranazionali.

Come? Per esempio, attraverso la creazione di grandi eserciti di riservisti, paralleli all’esercito professionale, profondamente radicati nelle società multietniche e socialmente liberali che stanno difendendo e dotati della corrispondente legittimità sociale. Gli eserciti di riservisti non sono mai popolari tra i soldati professionisti, ma in Ucraina si stanno rivelando decisivi. In secondo luogo, favorendo l’interoperabilità e gli appalti transnazionali in modo da promuovere l’innovazione tecnologica anche nel settore militare. Mentre all’epoca della Seconda guerra mondiale le tecnologie militari avanzavano più velocemente di quelle civili, nell’era digitale i ruoli si sono invertiti. Il settore privato innova secondo cicli biennali; l’industria della difesa, nella migliore delle ipotesi, secondo cicli da 7 a 15 anni. È evidente che questo divario dovrebbe essere colmato, creando un divario tecnologico decisivo tra l’Occidente e la Russia nel campo della difesa.

L’Europa è il nostro futuro e la crisi attualmente in corso dimostra che la storia non è finita, come si profetizzava alla fine del secolo scorso.
Anzi: “È il momento di fare i conti con la storia, non con quella passata ma con quella di oggi e di domani”, come ha detto Mario Draghi intervenendo alle Camere a giustificazione della decisione di inviare armi e mezzi a un Paese coinvolto in un conflitto militare.
Ed è il momento delle scelte, rispetto alle quali alcune forze politiche italiane appaiono tuttora ambigue ed esitanti. Perché senza la volontà, e la capacità, di diventare un attore politico a pieno titolo, in grado di pensare e agire strategicamente a livello regionale e globale, l’Europa non potrà che restare subalterna agli Stati Uniti per la propria sicurezza e finire per scendere a patti con tutti coloro, a cominciare da Putin, che rifiutano di considerare la democrazia come il criterio universale, e non solo occidentale, per la valutazione di ogni scelta politica.


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