Quali sono le tappe fondamentali che hanno portato alla costituzione della nazione ucraina? Prima del 2014 e dei tragici eventi occorsi nelle ultime settimane, possono essere individuate ulteriori cause storiche alla base dello scontro con la Russia? Su Scenari pubblichiamo due articoli di Massimo Vassallo che sintetizzano il vasto lavoro di ricerca dell’autore confluito in due volumi recentemente pubblicati da Mimesis Edizioni: Storia dell’Ucraina. Dai tempi più antichi ad oggi (2020) e Breve storia dell’Ucraina. Dal 1914 all’invasione di Putin (2022).
La grande rivolta cosacca di Bohdan Khmel’nyc’kyj (in polacco Chmielnicki) iniziata nel 1648, e che si inserisce in un ribellismo pan-europeo coevo conseguenza degli sconvolgimenti bellici della Guerra dei Trenta Anni (1618-1648) e di rapide trasformazioni economiche e sociali, diede per la prima volta (o seconda, se già contiamo come ucraino lo Stato di Galizia-Volinia del XIII-XIV secolo che preferirei per i motivi cronologici sopra esposti ritenere al più proto-ucraino se non pre-ucraino) uno Stato al popolo ucraino da poco venuto compiutamente, e irrevocabilmente, alla luce.
Questo Stato ucraino, l’Het’manato(XVII-XVIII secolo) non raggiunse mai la piena e completa indipendenza secondo lo ius gentium (del resto all’epoca ancora in fieri e non pienamente sistematizzato).
Nel 1654 venne siglato fra i cosacchi di Khmel’nyc’kyj e l’inviato moscovita Buturlin il celeberrimo (e per alcuni famigerato) “trattato di Perejaslav” che poneva l’Het’manato in relazione con lo Zar di Moscovia Aleksij Mikhailovič, il secondo dei Romanov (1613-1917).
Un cattivo presagio si ebbe sin da quando Buturlin rifiutò insistentemente di giurare per conto del suo Signore e Sovrano il trattato appena siglato, allegando che non si era mai visto un Sovrano che giurasse di fronte ai suoi sudditi: alle rimostranze dei capi cosacchi che gli facevano a ragione notare che i Re di Polonia sempre giuravano (il che non vuol dire che sempre rispettavano) i trattati e i patti conclusi con i propri sudditi, il boiaro Buturlin con tono didascalico spiegò ai capi cosacchi che avevano fatto un esempio non pertinente in quanto “quelli [scilicet i Re di Polonia] sono eretici e non sono autocrati”.
Fin da allora, forse, constatando de visu la diversa e antitetica cultura politica moscovita (bizantino-tatara e autocratica) radicalmente distinta da quella “contrattuale” e pienamente “europea” della Rzeczpospolita, l’élite cosacca (la cosiddetta staršyna) cominciò a pentirsi della scelta fatta; un pope di Černihiv già scrisse nel suo diario nel 1654 che l’unione con i Moscoviti sarebbe stata esiziale per i “ruteni” (ucraini).
Era ormai troppo tardi anche se Khmel’nyc’kyj, con la sua abilità politica e militare avrebbe magari trovato una soluzione di uscita e già per dire si appoggiò alla Svezia, ma morì ancora giovane nell’agosto 1657 (a mio parere la soluzione alternativa meno irrealistica era forse quella del successore Ivan Vyhovs’kyj disposto a tornare nella Rzeczpospolita ma come “ducato di Rus’, terza componente a pari dignità accanto a Polonia e Lituania; l’Unione di Hadjač del 16/9/1658 n.s, che stabiliva ciò non fu però implementata anche perchè certi cosacchi ascoltarono le sirene moscovite; en passant, ennesimo caso della complessità e della non linearità della storia dell’area, Vyhovs’kyj odiatissimo tuttora dalla storiografia di Mosca chiese e ottenne a Hadjač la soppressione dell’Unione di Brest in quanto come tutti i cosacchi era ortodosso al 100 %; chi ha sostenuto che la richiesta di autonomia e indipendenza da Mosca è tipica dei soli greco-cattolici forse si troverebbe spiazzato).
Dal 1659 l’Het’manato fu in una relazione con Mosca abbastanza ambigua che nondimeno è difficile ritenere essere stata altro che un vassallaggio (così lo intese, a ragione, Hruševs’kyj) ad onta dei sofismi di vari studiosi nazionalisti; in più, mai l’Het’manato comprese la totalità dell’Ucraina di oggi e nella forma in cui si cristallizzò dopo il 1667 (tregua di Andrusovo) fu nei fatti limitato all’Ucraina centrale e centro-orientale odierna (i 10 reggimenti, che erano l’unità amministrativo-militare dell’Het’manato avevano sede a: Starodub, oggi in Russia; Černihiv, Nižyn, Pryluky, Poltava, Myrhorod, Hadjač, Lubny, Perejaslav e Kyïv); dopo il 1709 (battaglia di Poltava e fine di Mazepa) e soprattutto a partire dal 1722 (prima sostanziale abolizione dell’Het’manato) per giunta il controllo russo (ora sì, possiamo usare questa parola!) divenne sempre più soffocante.
Ciò però non sminuisce in alcun modo l’importanza storica dell’Het’manato cosacco ucraino, anzi, in un certo senso la aumenta.
Fu l’Het’manato a rappresentare per tutto l’Ottocento l’ideale cui pensarono con nostalgia i primi nazionalisti ucraini, fu nell’Het’manato che nacque e si sviluppò una tradizione storiografica specificatamente ucraina (ad esempio Samijlo Velyčko, 1670-1728) e fu lì che molte tradizioni oggi ritenute essenzialmente ucraine, anche nel folclore, si consolidarono e presero forma; last but not least fu in un ambito nobiliare già post-het’manale ma indelebilmente segnato dalla cultura lato sensu intesa dell’Het’manato che venne alla luce la lingua ucraina moderna (Eneïda di Kotljarevs’kyj, 1798).
Senza l’Het’manato non esisterebbe l’Ucraina odierna o sarebbe qualcosa di molto diverso, infinitamente più debole dal punto di vista nazionale, come il caso della Bielorussia, che non ha avuto l’Het’manato, dimostra.
Le tre spartizioni della Rzeczpospolita a fine Settecento (1772, 1793 e 1795) costituirono un altro punto di svolta: lo Stato polacco-lituano venne suddiviso fra Prussia (buona parte della Polonia attuale e un pezzettino di Bielorussia presso Sapockin), Austria (Polonia odierna del sud-est, oltre alla Galizia) e Russia (Latgale ovvero Lettonia sud-orientale, praticamente tutta la Bielorussia e buona parte dell’Ucraina per quanto non ancora sotto il dominio russo).
La Galizia, come accennato, toccò all’Austria, cui rimase dal 1772 al 1918.
L’esperienza austriaca (e dunque mitteleuropea, per usare una parola un tempo in voga) contraddistingue la Galizia in maniera radicale dal resto delle terre ucraine più a oriente tanto quelle rimaste polacche sino al 1793/1795 quanto le aree del vecchio Het’manato e a fortiori quelle situate più a est e più a sud, che tutte si trovarono inglobate nell’Impero russo donde il nome usato comunemente di “Ucraina russa” (comprendente quattro quinti delle aree etnolinguistiche ucraine prima del 1914).
La dominazione austriaca in Galizia è stata fondamentale e ha avuto effetti dirompenti che permangono tuttora.
Innanzitutto in Galizia, al riparo del tollerante governo asburgico, poté mantenersi l’Unione religiosa di Brest (1596) che ha impregnato di sé l’ἔθος galiziano a tal punto da rendere di fatto ormai inscindibile l’identità galiziana e l’appartenenza alla fede greco-cattolica.
Poi in Galizia, con l’incoraggiamento o almeno la tolleranza delle autorità costituite, poté svilupparsi nella seconda metà dell’Ottocento in tutta libertà un movimento nazionale ucraino che si temprò nella dura battaglia intrapresa nella stessa Galizia contro il polonismo e, ancor più, nell’epocale e asperrima lotta culturale contro le altre correnti ideologiche allora presenti nella popolazione slava orientale del luogo (la russofilia e il rutenismo), riuscendo alfine vincitore assoluto entro il 1914: la Galizia svolse quindi un ruolo di “Piemonte” ucraino, per usare l’espressione di un libro di Paul Robert Magocsi e contribuì in modo essenziale alla Vidrodžennja o Rinascita ucraina.
Fu la sola presenza della Galizia, situata al di fuori del potere repressivo della burocrazia imperiale russa, che rese possibile all’incipiente movimento nazionale ucraino nell’Impero russo di sopravvivere, per esempio fornendo asilo agli esuli dall’Ucraina russa.
Fu solo l’esistenza di una Galizia, non soggetta agli ukazy dello Zar, che permise la sopravvivenza della lingua ucraina come moderna lingua scritta di cultura, nei lunghi e oscuri anni, durati un quarantennio sino al 1905, in cui il mero utilizzo dell’ucraino fu bandito nell’Impero russo (circolare Valuev del 1863, decreti di Bad Ems del 1876).
Insomma, fu solo la possibilità che il movimento nazionale ucraino ebbe di utilizzare la Galizia per i propri fini a impedire che l’ucrainesimo avesse in prospettiva la stessa, oggettivamente triste, sorte del nazionalismo bielorusso, debolissimo se non del tutto inesistente sino al 1905 e ancora nella sua infanzia all’inizio del 1917, che ancora oggi sconta le debolezze dei suoi fragili e ritardati inizi, dovuti in massima parte al fatto che le terre bielorusse si trovavano tutte, senza alcuna eccezione, sotto lo scettro degli Zar, mancando quindi al bielorussismo un santuario da cui operare liberamente, come invece toccò in sorte all’ucrainesimo grazie alla Galizia non-russa; questa e non altra è la ragione che spiega inoltre perché l’Unione religiosa alla fine verrà sradicata in toto dalla Bielorussia (ove ai suoi primordi ebbe grande e prolungato successo) mentre si manterrà e in seguito fiorirà in parte dell’Ucraina, dove pure stentò molto ad affermarsi all’inizio (e la controprova si ha che perfino in Volinia occidentale, aree profondamente conscia di sé dal punto di vista nazionale praticamente al livello della stessa Galizia, l’Unione fu quasi del tutto eliminata solo perché inclusa nell’Impero russo e non in Austria).
In un certo senso credo che si possa affermare, seppur in forma dubitativa in quanto mai si può certi di ciò che non accadde, che solo l’esistenza della Galizia (non russa) rese impossibile che il nascente movimento nazionale ucraino nell’Impero russo fosse spento sul nascere (e la burocrazia imperiale russa invero ci provò, seppur all’epoca non si avevano gli strumenti repressivi e propagandistici dei nostri giorni).
In questo senso Caterina II, che naturalmente agiva in un’altra epoca (pre-nazionale e soprattutto pre-nazionalista dunque l’Imperatrice non si sarebbe posta il problema), commise dal punto di vista russo un “errore” lasciando all’Austria la Galizia, come fece notare George Vernadsky, figlio di un accademico che si identificava come “ucraino” ma lui stesso scelse di identificarsi come “russo” (e non erano rari casi simili:il fratello del grande Metropolita ucraino unito di L’viv Andrij Šeptyc’kij, in carica dal 1900 al 1944, si sentiva polacco e si faceva chiamare Stanisław Szeptycki; il primo presidente polacco Gabriel Narutowicz, assassinato poco dopo l’entrata in carica nel dicembre 1922, aveva un fratello nel Seimas lituano di Kaunas – allora ai ferri corti con Varsavia per via di Vilnius, dal coup di Żeligowski del 9/10/1920 la polacca Wilno e agognata anche dai bielorussi che tuttavia per la loro intrinseca debolezza nazionale mai poterono farne la bielorussa Viĺnia – che si faceva chiamare Narutavičius e un altro fratello che adottò un’identità nazionale bielorussa e si faceva chiamare Narutavič).
La Galizia ebbe un altro ruolo importantissimo e spesso trascurato, che si manifestò allorché nella durissima battaglia culturale del XIX secolo adottò risolutamente l’ucrainesimo e rigettò tanto il russofilismo (sino al 1860 forte, paradossalmente era una sezione del clero unito, immemore della triste sorte che avrebbe avuto l’Unione in Russia, a essere “moscofila” come si diceva) quanto il rutenismo, cioè l’idea che i galiziani sarebbero un popolo a sé, diverso dai russi, ma anche diverso dal resto degli ucraini (una forma eccentrica di rutenismo tuttora esistente – ma non in Galizia – è il già citato rusinismo che sostiene che le popolazioni slave orientali di Slovacchia orientale, della Transcarpazia ucraina e i Lemko della Polonia non sarebbero ucraini – come pensavano in molti e alcuni pensano tuttora – bensì un popolo separato, il “popolo rusino” o più popoli, per quelli che contano separatamente i Lemko).
La vittoria dell’ucrainesimo in Galizia, anche grazie a Ivan Franko (1856-1916) era ormai assicurata verso il 1890, allorché la stessa Chiesa unita – all’inizio fredda verso l’ucrainesimo che era in quei giorni proprio di milieux “di sinistra”, radicali, anticlericali e socialistoidi – lo fece proprio.
Con il Metropolita Šeptyc’kyj (1900-1944), l’adesione della Chiesa unita all’identità nazionale ucraina fu completa, e in meno di un quindicennio (1900-1914) scomparve l’etnonimo storico “ruteni”, sostituito da quello nuovo, cioè “ucraini”.
Se in Galizia invece avesse vinto il rutenismo (per non dire del russofilismo) e i galiziani avessero cessato di sentirsi fratelli degli altri ucraini oltre lo Zbruč (frontiera fra Austria e Russia), l’eventualità che i malorossy dell’allora Ucraina russa avrebbero bon gré mal gré accettato un’identità secondaria malorussa all’interno del popolo pan-russo era possibile, ancorché oggi – comprensibilmente – ciò suoni anatema al patriottismo ucraino. In questo senso, e solo in questo senso naturalmente, ciò che scrisse il presidente russo lo scorso luglio non è del tutto errato.
Egli però non volle considerare un fatto importantissimo, cioè che è probabilmente vero che il popolo ucraino – come entità distinta e separata – avrebbe potuto non nascere (almeno nell’Ucraina russa) ma per varie ragioni è nato, dunque oggi esiste, e come ogni popolo meriterebbe pieno rispetto per la sua dignità, per la sua indipendenza e per i suoi sacrosanti diritti tanto che più si tratta, in generale, di un popolo eminentemente pacifico.
Questi non sono meri dibattiti storiografici (più o meno eruditi), ma possono avere effetti non piacevoli anche sulla situazione dei nostri giorni.
Infatti, sebbene ormai si possano avere dubbi abbastanza legittimi sui reali sentimenti di Putin nei confronti dell’identità nazionale ucraina anche nel periodo precedente al 2014 (si pensi alle sue dichiarazioni al vertice di Bucarest dell’aprile 2008 e ad altro), ciò divenne evidente con il discorso sulla Novorossija del 17/4/2014.
Questa fu la prima volta in cui pubblicamente il presidente russo iniziò a porre in dubbio (seppur ancora in maniera parziale) la legittimità stessa dell’Ucraina (vista come una creazione di Lenin, come ribadirà in modo più esplicito nel luglio 2021 e nel febbraio 2022) e financo l’esistenza di un separato popolo ucraino, ciò che farà poi in modo esplicito e radicale nel suo famoso articolo storico – invero non inabile, ma anacronistico – del luglio 2021, in cui apertamente tornò di fatto alla concezione russo-imperiale dell’unico popolo (pan)russo (obščerusskij narod) costituito da velikorussy, malorossy (anche se li chiamò “ucraini”, bontà sua, più ipocrita tuttavia dei burocrati imperiali!) e belorussy e alla non-esistenza, a livello di Nazione separata, dell’Ucraina che sarebbe parte del mondo russo e della storia russa, fatta iniziare da Rjurik (862 d.C) fino a se stesso, attraverso una continuità sostanziale nei secoli che sarebbe stata ancora più lineare, se i “malvagi” nemici esterni (soprattutto polacchi) non avessero “pervertito” una parte di questo (presunto) “popolo russo comune”, cioè gli ucraini (e anche i bielorussi di cui parlò poco, se non implicitamente, avendo già completamente in mano la Bielorussia attraverso Lukašenka, quantomeno dal 2020).
Chiaramente queste tesi sono gravissime e, soprattutto, in potentia molto pericolose, oltre che inaccettabili per qualunque ucraino, dell’Est o dell’Ovest, di sinistra o nazionalista, ortodosso o greco-cattolico.
Secondo me è questa la vera e principale causa del profondo e insanabile dissidio (ora purtroppo conflitto sanguinoso) fra la Russia putiniana e l’Ucraina: non la Crimea, non il Donbass, neppure l’adesione alla NATO, questione pure importantissima, e neanche il timore di Putin di avere un possibile “focolaio di contagio” occidentalista e democratico (pur con qualche pecca residua, va detto) alle sue frontiere.
Tutte le cose che ho elencato possono spiegare perché Putin tollerasse bon gré mal gré Kučma e Janukovyč e, tutto sommato pure Juščenko (che sin dal 2006 fu costretto a ridare molto potere alle vecchie forze, come si è visto) mentre decise di non tollerare la nuova Ucraina post-2014, fino a giungere all’aggressione (24/2/2022) dopo accuse farneticanti al suo governo; però la ragione prima ritengo stia nella radicale non-accettazione da parte di Putin di uno Stato ucraino realmente indipendente e sovrano e separato in modo chiaro e distinto dal popolo russo.