Cospirazioni in cerca di una teoria

Mai come oggi il cospirazionismo è sulla bocca di tutti. Dai giornali a Internet, dai talk show politici alle chat dei canali Telegram, il vocabolario della dietrologia, la lotta alle fake news e i dubbi sulla disinformazione sono penetrati capillarmente nell’immaginario collettivo, nel dibattito pubblico e nel linguaggio dei media mainstream.

La rinnovata popolarità delle teorie del complotto ha una data d’inizio: 11 settembre 2001. Con il crollo delle Torri Gemelle per l’attentato terroristico al World Trade Center di New York a crollare è stata pure l’infrastruttura simbolica su cui fino a quel momento si reggevano le certezze di parte della società occidentale, risvegliando così le (mai sopite) paure per un male che, sempre più, è percepito come globale.

Non che le teorie della cospirazione siano un’invenzione recente. Ogni periodo storico ne ha viste fiorire sempre di nuove. Le prime di cui si abbia notizia risalgono già all’epoca antica. Tucidide riferisce di come gli ateniesi, durante la guerra del Peloponneso nel 430 a.C., attribuissero la diffusione della pestilenza nella loro città agli invasori, incolpandoli di aver inquinato con veleni le cisterne del Pireo. Il grande incendio che colpì nel 64 d.C. il Circo Massimo non gettò fuoco solo su Roma, ma anche sul sentimento d’odio verso i cristiani a cui l’imperatore Nerone imputò la responsabilità della devastazione dell’Urbe.

Sono queste alcune attestazioni di una visione cospirativa che attraverserà i secoli, passando in età moderna dalle reciproche accuse di complotto scagliate tra giacobini e monarchici all’indomani della Rivoluzione francese fino a quelle del secolo scorso suscitate dall’assassinio di Kennedy, lo sbarco sulla Luna e la morte di Lady Diana, per arrivare a quelle riguardanti le scie chimiche e i cambiamenti climatici, l’insabbiamento sugli UFO, i vaccini e le antenne 5G. Nihil sub sole novum.

Se ora le chiamiamo “teorie della cospirazione” lo dobbiamo alla stampa inglese della fine del XIX secolo. È in quel periodo, infatti, che i giornali iniziano ad adottare un lessico che prende a prestito dal campo scientifico nozioni come “prova”, “confutazione”, “fatti” e, appunto, “teorie” per l’indagine su vicende di cronaca (J.E. Uscinski, Conspiracy Theories and the People Who Believe Them, Oxford University Press, New York 2018).

Dal punto di vista della scienza, quelle del cospirazionismo costituiscono però un tipo di teoria sui generis. In accordo al metodo sperimentale, una teoria è tale a patto di essere suscettibile di un controllo empirico in grado di stabilirne la provvisoria validità, cioè fino a prova contraria. Le teorie del complotto, per contro, seguono un principio diverso per il quale l’assenza di prove non è necessariamente prova di un’assenza: la mancanza di prove può essere, invece, l’indizio dell’abilità dei cospiratori nel dissimulare le tracce del proprio operato.

Un simile ragionamento, così logicamente rischioso, solleva l’inaggirabile impasse di ogni teoria della segretezza: finché un segreto è ben custodito non c’è prova che sia custodito. Ecco l’eterodossia: voler dire qualcosa su ciò che, per propria natura, si sottrae intenzionalmente alla parola. E questo è, in fondo, il motivo che rende le teorie della cospirazione un tema di discussione controverso: perché problematizzano le condizioni comunicative e conoscitive su cui si regge l’atto stesso della discussione, mettendone in gioco i suoi elementi costitutivi, la verità, la fiducia, la credibilità, la menzogna.

In questo senso le teorie della cospirazione sono epistemologie del sospetto, concezioni del mondo che presuppongono il dubbio su cosa sia la realtà e che aprono a un altrimenti possibile rispetto all’ordine culturalmente condiviso e accettato. Per la visione complottista “ogni faccia è una maschera”: dietro l’apparenza ingannevole degli eventi, un’élite occulta di potere agisce come un daemon ex machina che guida i destini della storia (C.F. Graumann, S. Moscovici, Changing Conceptions of Conspiracy, Springer, Berlin 1987).

Allo stesso tempo, le teorie della cospirazione sono anche epistemologie sospettate. Fin dai primi studi accademici, inaugurati dall’ormai classico libro di Richard Hofstadter The Paranoid Style in American Politics del 1964, la comunità scientifica ha stigmatizzato queste teorie, ravvisando in esse il prodotto di una mentalità irrazionale, se non patologica, e relegandole scetticamente a forme di sapere popolare. Tuttavia un marcato interesse per lo studio del complottismo ha ormai fatto breccia nelle scienze umane, procedendo di pari passo con la diffusione sociale del fenomeno.

Gli ultimi anni, in effetti, hanno segnato un momento decisivo nella cronistoria del cospirazionismo contemporaneo. Nel tempo della pandemia del Covid-19 il clima di sfiducia verso le istituzioni scientifiche e politiche ha esacerbato il dissenso e favorito una proliferazione e circolazione di teorie del complotto che non ha precedenti.

Il filo rosso che lega l’esperienza dell’11 settembre a quella dell’attuale emergenza sanitaria è il senso di insicurezza che insorge soprattutto nei momenti di crisi e trasformazione. Di fronte alle incertezze provocate dal male globale, le teorie della cospirazione svolgono una funzione esplicativa poiché inscrivono gli accadimenti entro una cornice di significato. Karl Popper rimproverava però a esse di fornire una interpretazione eccessivamente semplificata della realtà: nel ricondurre deterministicamente i fenomeni sociali all’intervento pianificato di uno o più individui, le teorie cospirative disconoscono, per il filosofo, la molteplicità dei fattori, spesso imprevedibili e imponderabili, che concorrono allo svolgersi della storia.

Le spiegazioni del complottismo ambiscono a competere con quelle tradizionalmente offerte dalla scienza e dalla religione. All’universalismo delle leggi di natura e al provvidenzialismo della volontà divina, le teorie del complotto sostituiscono l’onnipotenza dell’intenzionalità umana. Il risultato è un mondo dove nulla è come sembra, nulla accade per caso e tutto è interconnesso in una fittissima rete di corrispondenze e indizi da decifrare (M. Barkun, A Culture of Conspiracy. Apocalyptic Visions in Contemporary America, University of California Press, Berkeley 2003).

Si tratta di un sistematico esercizio di double entendre, la lettura di ogni cosa come un segno che reca, dietro il suo significato convenzionale, un significato arcano che tradisce l’esistenza di un piano invisibile. È una spiegazione onnicomprensiva del cosmo, insieme rassicurante e inquietante, che sospinge dentro quel dedalo ermeneutico su cui Umberto Eco ha scritto pagine affascinanti in opere come Il pendolo di Foucault.

Le teorie cospirative sono narrazioni che descrivono un’oscura geografia del male abitata da un nemico capace di occupare, di volta in volta, regioni differenti (Jesse Walker, The United States of Paranoia: A Conspiracy Theory, Harper, New York 2013). In questa geografia, il nemico è a volte là fuori, all’esterno dei confini di un determinato gruppo sociale. È il caso dell’élite finanziaria ebraica che aspirerebbe a un predominio globale secondo l’accusa formulata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un documento che circolava nel primo dopoguerra fomentando la propaganda antisemita; oppure è il caso dei rettiliani, la razza aliena giunta sulla Terra da Alpha Draconis che per David Icke, autore di bestseller come Children of the Matrix, controllerebbe da millenni l’umanità.

Ma anche quando proviene da lontano, da altri pianeti per esempio, questo nemico può mimetizzarsi, risultare indistinguibile dai nostri vicini di casa, conferendo alle cose più familiari un’aria non-familiare, unheimlich. È il nemico “interno”, che si insinua nel cuore delle stesse istituzioni sociali. A questa fattispecie appartiene il deep state additato da QAnon, la teoria cospirativa nata sui forum di 4Chan e Reddit nel 2017, secondo cui una presunta organizzazione connessa all’amministrazione Trump sarebbe intenta a svelare l’influenza esercitata sul governo americano da un sistema di “poteri forti” dediti alla pedofilia e a rituali satanici. In questo sistema sarebbero implicati esponenti del Partito Democratico quali Barack Obama, la finanza mondiale e star hollywoodiane.

Il nemico si colloca ai vertici della società da cui ne regge le sorti: l’élite economico-finanziaria dei banchieri Rothschild, magnati come George Soros e Bill Gates, il Club Bilderberg o la setta degli Illuminati, mossi dal progetto di edificazione di un tecnocratico e totalitario Nuovo Ordine Mondiale il cui exemplum letterario di riferimento, nel discorso complottista, è il romanzo di Orwell 1984. Il progetto distopico prende ora il nome di Grande Reset, l’agenda internazionale stabilita al World Economic Forum di Davos nel maggio 2020 e promossa da Klaus Schwab per avviare un profondo riassetto sociale, politico ed economico del futuro post-pandemico.

Trame nascoste. Teorie della cospirazione e miti sul lato in ombra della società, a cura di
Nicola Pannofino e Davide Pellegrino (Mimesis Edizioni, 2021)

Come vi piace – atto II, scena VII: “tutto il mondo è un palcoscenico”.
In questa celebre metafora di Shakespeare è racchiuso lo schema di ogni narrazione complottista, che ripartisce drammaturgicamente la realtà in due mondi, un mondo ordinario nel quale, come a teatro, si svolge la rappresentazione pubblica degli eventi storici e un secondo mondo che si trova dietro le quinte, dove l’élite di potere agisce nell’ombra e dove la verità è tenuta segreta. Che la verità delle cose sia celata agli occhi oltre l’apparenza ingannevole è un’idea che il cospirazionismo ha oggi contribuito a divulgare, ma che è molto antica. Se ripercorriamo a ritroso la storia di questo “pathos del nascosto”, giungiamo a ricostruire la genealogia di uno specifico sguardo che attraversa per intero la cultura occidentale. Da Eraclito, che è stato forse il primo, passando per il pensiero magico ed esoterico, fino alla scuola dei “maestri del sospetto”, Marx, Nietzsche e Freud, per i quali la nostra conoscenza è assediata da forze – sotterranee, incontrollabili – che si muovono al di sotto o al di là dell’io cosciente.

I cospirazionismi odierni, eredi di questa lunga tradizione, formulano un discorso anti-establishment che destituisce la plausibilità delle rappresentazioni socialmente accreditate, come una voce critica che denuncia due opposte forme di silenzio.

La prima forma è la doxa, il sapere che tutti condividiamo e che passa sotto silenzio perché considerato talmente ovvio da essere fuori discussione. Per esempio, un’affermazione come “la Terra è rotonda” rientra a pieno titolo in questo catalogo delle conoscenze date per scontate, eppure è precisamente quanto rifiutano i fautori del terrapiattismo, una delle più provocatorie teorie della cospirazione.

La seconda forma, riprendendo la metafora shakespeariana, è il backstage, il retroscena dove si cela il sapere condiviso solo da una ristretta cerchia occulta, che passa sotto silenzio perché segreto. Nel contraddire il primo tipo di conoscenza tacita, le teorie del complotto sono, etimologicamente, paradossali, poiché si schierano contro l’opinione di senso comune; nell’indicare l’esistenza del secondo tipo di conoscenza tacita, aspirano a essere rivelazioni e smascheramenti, proponendosi al contempo come gnosi salvifica ed emancipatoria.

Per questo situarsi nel mezzo fra due silenzi, le teorie della cospirazione sono storie controverse difficili da raccontare, sebbene abbiano subito un processo di parziale normalizzazione, anche grazie al web che ne ha facilitato e accelerato la diffusione tanto nelle comunità onlin quanto nelle piazze.


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