Hannah Arendt è considerata una delle figure intellettuali maggiormente influenti nei contesti del pensiero novecentesco. Molta della riflessione etica e politica contemporanea non cessa di far riferimento alle sue opere e per certi versi al suo stile eclettico. Recentemente, una drammaturga pugliese, Valeria Simone, già Ph. D. in Filosofia contemporanea presso l’Università di Bari, ha ideato, scritto e diretto uno spettacolo teatrale dal titolo evocativo La pescatrice di perle. Breve conversazione con H. A., dedicato proprio alla biografia e all’insegnamento di questa filosofa. Lo spettacolo ha ricevuto un importante riconoscimento (“Il premio Stampa”) all’edizione 2021 del Fringe Festival di Roma.
Francesco Giacomantonio ha intervistato la regista dello spettacolo per Scenari.
Francesco Giacomantonio: Valeria, tu hai conseguito il dottorato proprio con una tesi su Arendt (intitolata “Forme della temporalità nel pensiero di Hannah Arendt” e discussa nel 2005), ma nella tua attività drammaturgica precedente a La pescatrice di perle avevi già scritto altre opere teatrali. Quando e per quali particolari motivi e circostanze hai cominciato a pensare a un’opera teatrale su questa filosofa?
Valeria Simone: Nei testi che scrivo per il teatro cerco di porre domande al pubblico; di innescare una riflessione su se stessi e sul mondo in cui viviamo. Negli spettacoli precedenti sono partita dall’osservazione dello spazio che attraversavo come essere umano e come donna; intendevo cogliere gli aspetti stranianti e in mutamento dello spazio urbano ed extraurbano. Così, ho deciso di raccontare le storie delle donne vittime tratta, delle prostitute che abitano le strade e dei loro clienti; dei lavoratori dei campi che vivono nei ghetti e delle badanti che sostano nelle piazze delle nostre città nei loro incontri durante i giorni in cui non lavorano. Osservando loro e raccontandone le storie era come osservare tutti noi, in una dinamica di specchi incrociati. Mi sono resa conto, nel tempo, raccontando quelle storie, che alcuni dei segnali che leggevo mostravano un rischio di cedimento dell’etica e ritenevo che molte delle riflessioni di Hannah Arendt fossero attuali, nella misura in cui parlavano di una difficoltà a “pensare con la propria testa”. Ho riscontrato anche un “vizio” nel linguaggio diffuso, ossia una forte presenza di luoghi comuni e clichès, sintomo di un’adesione indiscussa a una morale convenzionale, apparente e codificata che non sottintende una riflessione chiara e consapevole di quello che accade e della singolarità degli eventi.
Allo stesso modo ritengo che ciò che era mostruosamente evidente nei regimi totalitari, e che Hannah Arendt denunciava nei suoi testi, lo sia, in forma diversa, anche adesso: il ripiegarsi nell’interesse privato, la preoccupazione privilegiata per le faccende del proprio nucleo familiare o individuale, ristretto, allontanandosi dal bene collettivo, della comunità. Penso davvero che questo rappresenti il rischio del cedimento dell’etica. Volevo parlarne e provare a mostrare questo rischio, a tutti noi, che spesso non riusciamo a vederlo, sovrastati da una forma di comunicazione dominante che non permette l’approfondimento ed una visione imparziale degli eventi.
FG: L’opera si presenta come un monologo di una singola attrice. Questa scelta narrativa è legata a tue scelte contenutistiche rispetto al pensiero di Arendt o anche a preferenze strettamente scenografiche? Ti ha comportato eventuali problemi organizzativi?
VS: Sebbene mettere in scena un monologo potrebbe sembrare più agile da un punto di vista organizzativo e di produzione, in realtà, in questo caso, la scelta risponde principalmente a esigenze di tipo drammaturgico. Ho scelto di scrivere un testo teatrale in forma di monologo perché ho voluto costruire il personaggio di Hannah Arendt immaginando che lei potesse per un breve tempo raggiungerci nel presente e dialogare con noi. Mi sono chiesta: cosa ci direbbe? Come leggerebbe gli eventi che viviamo adesso? Quale sarebbe il suo sguardo su quello che siamo diventati? Quindi è nato questo personaggio che parla al pubblico, arrivando da un altro tempo e lì tornando dopo il monologo.
Un dialogo avrebbe comportato la scelta di un altro o più personaggi e mi sembrava che sarebbe stata una scelta che avrebbe ridotto lo sguardo e dato confini più netti al discorso, mentre io volevo attraversare l’intero percorso di vita e di pensiero della Arendt.
FG: La tua opera mostra contenuti filosofici riconducibili all’esplicitazione degli aspetti etici e politici della personalità e del pensiero di Arendt: è stato difficile o più impegnativo riuscire a preparare un’opera teatrale in tal senso, magari anche rispetto all’idea di impatto che essa può avere con il pubblico, che non necessariamente possiede una conoscenza specialistica di certi concetti?
VS: Quando, tre anni fa, ho deciso di scrivere un testo dedicato ad Hannah Arendt e al suo pensiero, mi sono chiesta come avrei potuto trasporre tutta la sua riflessione filosofica in un’opera per il teatro senza che questa risultasse noiosa o troppo concettuale per il pubblico, soprattutto per quello meno vicino alla conoscenza filosofica. Ho pensato che l’unico modo per parlare di lei, anzi, per “farla parlare”, sarebbe stato quello di far emergere il suo pensiero attraversando alcuni momenti della sua biografia. Anche perché, in Hannah Arendt, c’è una forte circolarità tra pensiero e vita, tra riflessione filosofica ed esperienza concreta. Sono stati infatti, proprio gli eventi vissuti a far scaturire le sue riflessioni più cruciali.
Partendo dal dato di fatto di essere ebrea, attraversando situazioni come le perdite degli amici più cari, la migrazione, lo status di rifugiata, l’assistere al processo al funzionario delle SS Adolf Eichmann, Hannah Arendt ha elaborato la sua visione di quegli anni, da un punto di vista filosofico e della teoria politica. Per cui ho costruito un testo drammaturgico che ripercorre le sue esperienze di vita fondamentali e di conseguenza il suo pensiero.
FG: Come detto la tua conoscenza di Arendt discende innanzitutto da tua preparazione istituzionale di dottorato, ma quali ragioni specifiche, nel tuo globale percorso accademico, ti hanno condotto a confrontarti con la filosofa di Vita activa? C’è un testo di Arendt che ha influenzato maggiormente la configurazione de La pescatrice di perle?
VS: Per scrivere La pescatrice di perle ho fatto riferimento a tutta l’opera di Hannah Arendt, e, per quanto possibile, anche a tutto quello che è stato scritto su di lei e ai carteggi. Tuttavia, il testo che ha maggiormente fatto nascere il desiderio di trasporre in teatro il suo pensiero è stato La vita della mente, perché in quella sua opera (incompiuta) si trova il nucleo della riflessione di una vita, a mio avviso. È principalmente nell’attività del pensiero che gli esseri umani maturano la capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e tendono a recuperare, se non attivare, un atteggiamento etico verso la vita e il mondo. Senza quel dialogo silenzioso con se stessi, che ci permette di porci domande e nutrire la coscienza, tutto crolla e si creano quelle condizioni che portano alla violenza, non solo nelle dittature o nei regimi totalitari, ma anche all’interno degli stati democratici. Quando il linguaggio si svuota e si regge solo sui luoghi comuni, smettiamo di pensare e il male diventa ordinario. In Vita activa, d’altra parte, personalmente, ho sempre trovato un’apertura verso la vita, la capacità umana, attraverso l’azione, di iniziare qualcosa di nuovo e cambiare il corso degli eventi. Ho incontrato il pensiero di Hannah Arendt durante gli studi universitari, in un corso di filosofia teoretica sulla crisi della ragione, e i suoi testi mi hanno davvero insegnato a “pensare”, a comprendere e a cercare di analizzare le cause storiche e teoriche che si trovano dietro gli eventi.
FG: In ogni attività artistica di solito si afferma che è possibile ritrovare un senso filosofico: che rapporto è lecito individuare secondo te in generale tra teatro e filosofia? Tu in pratica hai proprio trasposto una filosofia in una rappresentazione teatrale: esistono altre operazioni simili magari di altri registi su altri filosofi nel teatro italiano degli ultimi anni?
VS: Penso di poter affermare che nel teatro contemporaneo la filosofia non va di moda. Naturalmente, ci sono spettacoli in cui è possibile ritrovare un senso filosofico, o in cui si pongono riflessioni più generali sul senso dell’esistenza, ma non si tratta quasi mai di processi espliciti. Ci sono pochissimi spettacoli in cui sono protagonisti filosofi, almeno in Italia. Personalmente, forse anche per la mia formazione personale, penso che il teatro, per la sua stessa natura, sia il luogo più appropriato per porre domande; perché crea inevitabilmente un diretto “effetto specchio” negli spettatori, come Shakespeare ci ha insegnato nell’Amleto. Nei personaggi noi ci riconosciamo, le loro domande sono le nostre. Sono nostre le loro paure e le loro esaltazioni, le miserie e le passioni. E se ci lasciamo condurre, troveremo una parte di noi, odiosa o amabile che sia. È probabilmente per questo che pensato di poter scrivere un testo su Hannah Arendt, perché, come scrivo nel testo, “la sua storia è anche la nostra”.
FG: Come hai impostato il rapporto con Marianna De Pinto, l’attrice chiamata a interpretare Arendt? Vi erano aspetti significativi di Arendt che per te era davvero importante che l’interprete riuscisse a trasmettere?
VS: Marianna De Pinto è un’attrice di grande talento. Quando ho iniziato a lavorare allo spettacolo non avevo dubbi sul fatto che volevo fosse lei ad interpretare Hannah Arendt. È riuscita fin da subito a cogliere quegli aspetti del personaggio che io ritenevo fondamentali e lei stessa ne ha aggiunti altri importantissimi, lavorando anche sulla gestualità e fisicità del personaggio. Entrambe volevamo che emergessero caratteristiche come la forza e la decisione, come la fermezza e la fierezza, ma anche la grande sensibilità di Hannah Arendt e una certa tristezza, soprattutto riferita ad alcuni momenti della sua vita. Volevamo che affiorasse tanto il suo coraggio quanto l’amore per il mondo.
FG: Puoi parlarci di tuoi eventuali progetti futuri in ambito teatrale? In passato mi sembra tu abbia avuto una certa attenzione in generale alle questioni della condizione femminile, pensi quindi di continuare su questa scia tematica o hai in mente altri percorsi?
VS: Sto iniziando a lavorare a uno spettacolo per ragazzi, “Il giardino”, che è ispirato a una storia vera e che sarà prodotto dalla mia compagnia, Acasa. E poi lavorerò a un nuovo testo sull’Universo, in cui le domande fondamentali della fisica possano incrociare i sogni degli esseri umani, le loro paure, le loro visioni e la loro ricerca di senso. Sto condividendo questo percorso di creazione con l’attore Otto Marco Mercante e il titolo è “Soli. Sulle soglie del silenzio”; partiremo da alcune domande fondamentali: siamo soli nell’universo? Cosa c’è dietro questo silenzio del cosmo? Come è nato l’universo? Perché esiste l’universo e non il nulla? E ancora: Cosa c’era prima e cosa ci sarà e dove finisce chi non c’è più?
Al momento siamo davvero all’inizio, potrebbe essere pronto tra un paio di anni e siamo alla ricerca di una produzione.
FG: Concludiamo questa conversazione toccando un contesto più ampio. Nel mondo attuale, molti studiosi ritengono che sembra sempre più affermata una cultura molto pragmatica, diffidente verso le grandi impostazioni teoriche e invece più sensibile a logiche di comunicazione e mediatiche, in cui peraltro non mancano aspetti meramente individualisti, narcisisti e anche emozionali o poco ponderati. Sulla base della tua doppia competenza maturata come studiosa e drammaturga, come pensi possa muoversi il teatro su questo sfondo? Vedi comunque una valenza da difendere nel proporre, come hai fatto tu con Arendt, contenuti articolati e più riflessivi rispetto ad alcune derive delle logiche dei processi culturali contemporanei? Forse in tutto ciò c’è anche una questione politica e sociale di fondo, al di là delle superflue retoriche d’occasione, nel senso che, come insegnavano i greci, nel teatro c’è un processo di conoscenza e autoconoscenza di una società legata al logos e al dibattito: cosa ne pensi?
VS: Il teatro contemporaneo è davvero multiforme ai miei occhi. Ci sono generi diversi: quelli più leggeri, dove probabilmente prevalgono aspetti meno ponderati, ma anche spettacoli in cui attraverso il sarcasmo e l’ironia, si esplicitano questioni più complesse. Forse è proprio questa la ricchezza del presente, che non è irrigidito in un’unica forma, ma ha molteplici aspetti.
L’opera teatrale La pescatrice di perle. Breve conversazione con H. A. è attualmente programmata secondo i seguenti appuntamenti:
9 gennaio 2022 @ Teatro Comunale di Ruvo di Puglia
27 gennaio @ Teatro Kismet di Bari
12 febbraio @ Teatro Kitchen di Vicenza
6 marzo @ Cittadella degli artisti di Molfetta