All’interno del denso immaginario occidentale, le riflessioni di Gottfried Wilhelm Friedrich Hegel continuano ancora a echeggiare significativamente: basti considerare, solo per proporre un esempio assai recente ed emblematico, che un intellettuale contemporaneo, tra i più presenti nei dibattiti attuali, come Slavoj Žižek ha fatto di Hegel uno dei riferimenti cardine (assieme a quelli per Karl Marx e Jacques Lacan) nel suo vasto edificio teorico volto a studiare politica, società e cultura del mondo turbo capitalista e neo liberale (si veda indicativamente Žižek, S., Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina, Milano, 2003).
Non si può certo dubitare della persistenza di Hegel e del suo posto di assoluta preminenza filosofica, anche malgrado letture fortemente critiche e polemiche rimaste iconiche, come quelle di Karl Popper, che inquadrano Hegel come nemico della “società aperta” (si veda naturalmente Popper, K. R., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 2003, 2 voll.).
Posto tutto ciò, se, a ormai 190 anni dalla sua scomparsa (il filosofo tedesco morì il 14 novembre 1831), si volesse proporre in questa sede di ricercare una ragione in più per cui il suo lascito appare sempre meritevole di riflessione particolare, si potrebbe indicare un punto in cui tutti i suoi concetti filosofici sembrano in un certo senso convergere. Si può infatti notare che, a ben guardare, Hegel è stato il primo filosofo a cogliere la modernità come problema, soprattutto nel suo rapporto con la dimensione della razionalità: la filosofia hegeliana evidenzia come la vicenda del moderno, con la sua enfasi e presa di coscienza della libertà, comporta alla lunga una cultura che si caratterizza per un modello individualistico che si afferma nella società civile; la dialettica che Hegel aveva colto tra aumento della ricchezza e disuguaglianza nella modernità è alla base delle trasformazioni delle logiche e delle pratiche del dominio e della politica (per una recente lettura su questi aspetti si può suggerireDe Simone, A., Bildung, Europa e Occidente. Cultura, filosofia e politica tra Hegel e Habermas, Morlacchi, Perugia, 2020).
Una valutazione attenta mostra che nel pensiero politico di Hegel molti elementi permettono proprio di tracciare le caratteristiche di una modernità ormai piena, permettono cioè di prendere coscienza della modernità: si pensi alla dimensione della dialettica, che consente al filosofo tedesco di affrontare la realtà di un’epoca che andava rapidamente perdendo il senso di ciclicità e prevedibilità, proprie dei secoli precedenti del medioevo e della primissima modernità; o si pensi alla sua visione dello Stato e del diritto, strumenti essenziali per gestire la condizione di lotta intrinseca nel destino moderno; o, ancora, alle sue interpretazioni del senso della storia, dello spirito, della coscienza e dell’autocoscienza.
Tutti questi contesti non fanno che articolare la conoscenza della modernità, la portano fuori da un canone di linearità e progresso assoluto, facendone invece emergere una certa ambivalenza. Il mondo moderno trova la sua connotazione più originale allora nel valore del Sé, dell’interiorità della soggettività, che deve essere il luogo ultimo del riconoscimento di ogni realtà e verità: il valore di questo Sé, che Hegel considera il patrimonio imperituro di tutta la cultura soggettivistica moderna, non può essere in alcun modo rifiutato (si veda Finelli, R., Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel 1770-1801, Editori Riuniti, Roma, 1996, specialmente p. 202).
La Fenomenologia dello Spirito, l’opera hegeliana forse più nota e concettualmente complessa, assegna al riconoscimento la funzione di contribuire al formarsi dell’autocoscienza moderna. All’origine della loro relazione, gli uomini, secondo la fenomenologia dello Spirito, si trovano in una condizione di immediatezza per cui «gli individui sono l’un per l’altro a guisa di oggetti qualunque; sono formazioni indipendenti […]; ossia son coscienze le quali non si sono ancora presentate come puro esser per sé, vale a dire come autocoscienze» (Hegel, G.W.F., Fenomenologia dello Spirito, La nuova Italia, Firenze, 1996, p. 118). Il riconoscere si verifica solo quando un soggetto compie la pura astrazione dell’esser per sé, mediante l’operare proprio e, di nuovo, mediante l’operare dell’altro. Se, quindi, per l’autocomprensione e l’autocoscienza abbiamo bisogno del riconoscimento degli altri come persone, l’impostazione hegeliana appare una delle tappe fondamentali di un discorso filosofico della modernità, come ravvisa Jürgen Habermas nel momento in cui egli sottolinea che Hegel intuisce che, nel mondo moderno, l’emancipazione deve necessariamente mutarsi in illibertà, perché la forza liberatrice della riflessione realizza l’unificazione soltanto tramite la violenza di una soggettività soggiogante.
Il mondo moderno soffre di false identità perché pone, di volta in volta, come assoluto un condizionato (si veda Habermas, J., Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Roma-Bari, 2003, specialmente p. 34): nella filosofia di Hegel si intravede in definitiva il nesso tra la dimensione della modernità e il problema del riconoscimento dei soggetti. La sua teoria non è la prima a occuparsi della modernità, ma è la prima, come detto, a porre la modernità come questione; ed è la prima teoria che porta a rendersi conto di come la modernità sia la prima fase storica in cui il riconoscimento può fallire.
Ecco, dunque, che per quanto si tenda a associare, anche a ragion veduta, Hegel a un pensiero fortemente astratto, articolato, intriso di concetti di difficile lettura, paradossalmente un suo nucleo essenziale, come abbiamo voluto mettere in luce, assume una rilevanza particolarmente concreta e vivida nel momento in cui anticipa il problema strettamente sociologico del riconoscimento nelle moderne società complesse e parallelamente spinge il pensiero politico a fare i conti con la società, l’alienazione e la libertà dell’uomo. Non è poco: e del resto una delle grandi figure della sociologia novecentesca, Herbert Marcuse, proprio in Hegel vide il sorgere della “teoria sociale” (si consideri Marcuse H.,Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della “teoria sociale”, Il Mulino, Bologna,1997).
Su tali sentieri aperti da Hegel diventa opportuno un passaggio non ossequioso ma consapevole, che contribuisce a evitare di ridurre questa fase del XXI secolo a tematiche meramente polemiche, mediatiche e comunicative.