Nel suo ultimo intervento appena pubblicato in Italia su le parole le cose, Jean-Luc Nancy analizza il significato del verbo soffiare (souffler[1]), lasciando intravedere un punto di contatto con la parola essere, definendo un’ultima volta la sua ontologia per una filosofia del corpo e dell’esposizione.
Siamo un corpo nella società, nel mondo – mondializzato – tanto che la stessa pelle è utilizzata da Nancy come esposizione del corpo al mondo; ed è un’esposizione fragile sebbene necessaria. Fragile in quanto in tutto e per tutto organica, necessaria perché, dice Nancy, è proprio la nostra esposizione al mondo che restituisce senso al mondo; che permette la discussione, lo scambio, la possibilità di riconoscere. Infatti, il significato stesso di mondo è sempre quello di dare un senso, di permettere una circolazione. Quando intendiamo il mondo dei musicisti definiamo un corpo entro cui muoverci, entro cui orientarci[2]. Il Corpo, anzi, il corpus – tema centrale nella riflessione del filosofo francese – nasce come fenomeno rituale (hoc est enim corpus meum[3]) e diviene dunque, assai presto, simbolico. Il corpo è la ripetition par excellance[4] e deve allora essere inteso nel significato di agire, come processo contiguo al desiderio, come ripetizione di sé stesso. Del resto la pelle è un’estensione del cervello, una sua funzione.
Blake in The Marriage of Heaven and Hell[5] scrive: colui che desidera ma non agisce nutre pestilenza. È l’esercizio del corpo fino all’estrema condivisione di una sofferenza, ovvero la necessità di agire o, se vogliamo, di desiderare. Vi è dunque la presa d’atto leale quanto estrema della pericolosità della prudenza[6]; tanto che è egli stesso ad aggiungere poco dopo: Il verme tagliato perdona l’aratro. Quella stessa prudenza che in Spinoza prima e in Nietzsche poi diviene l’umiltà terrena che uccide il corpo.
In Blake è ricordata la necessità di agire, la sola necessità in grado di esprimere il desiderio; ma il desiderio si esprime attraverso il corpo che, se pure tagliato a metà, giustifica l’azione stessa. Ed è proprio l’azione sociale di un corpo che desidera a permettere l’avvicinamento dell’altro; perché vi deve essere stato prima un riconoscimento. La pelle ha fatto il suo lavoro avvolgendo – e nascondendo – gli organi fino a renderli piacevoli alla vista.
Il corpo ha dunque una funzione sociale preminente, una funzione sociale per il mondo che si esprime nell’azione faustiana principio di ogni cosa. Del resto non è un caso che Menninger, scrivendo attorno alla malattia, si esprima dicendo: la malattia è in parte ciò che il mondo ha fatto a chi ne è vittima, evidenziando come l’azione (quale funzione sociale) produca un effetto nella condivisione, sia pure negativa, di un proprio desiderio. Il corpo è il principio: nasciamo corpi; ma anche la fine: moriamo cadaveri. Ed ecco come il principio o se volete, il corpo, ritorna nella filosofia di Nancy. Il corpo pensa e pesa, partecipa al mondo, lo indossa. Ma indossare il proprio corpo, essere corpo, farsi carne, implica in ogni caso un’esposizione. Un’esposizione anche – e certamente – politica. L’esposizione di chi sceglie di agire, l’esposizione che Blake intendeva e che la filosofia della prassi ben comprese. Non è un caso che Marx, nel primo capitolo della seconda parte della sua tesi di dottorato, utilizzi la metafora del corpo per parlare del libero arbitrio, scrivendo: in der brust (nel petto) di ciascun animo vi è libero arbitrio. La società è dunque paragonata al corpo e Nancy, nella sua definizione di corpo, esprime certamente una dimensione sociale, ben conoscendo l’uso ricorrente di attribuire alla società i nomi propri del corpo, arrivando a identificare la società come un corpo sano e malato: questa è una società malata! Ma il mondo non è l’effetto di una causalità trascendente, non persegue una finalità immanente, il mondo siamo noi stessi. È ciò che l’umanità fa o disfa di esso, al tempo stesso in cui fa o disfa sé stessa.[7]
Viviamo come corpo il nostro presente subendone gli influssi e gli umori; e in questo senso la filosofia di Nancy è antica quanto Galeno e ancora più… quanto Aristotele, quando, nella definizione intorno alla metafora (Poetica 1457 b), scrive: la metafora è il trasferimento su un oggetto di un nome proprio di altro. Dove la chiave di tutto è proprio nel trasferimento, centrale nella metafora, e nella nozione di corpo per Nancy, dove invece il trasferimento media il desiderio del corpo, del toccare, attraverso il soffio, meglio, attraverso l’essere soffiato. Il soffiare ha quindi a che fare con il desiderio.
Nella Nascita di Venere Zefiro[8] soffia sulle vesti che l’Ora della Primavera sta porgendo per allontanare dalla Bellezza ogni forma di pudore, per guardare (toccare) l’amore, per scoprirne i seni, per continuare a desiderare – voit là la naissance du sein? Zefiro soffia perché vuole continuare a desiderare prima ancora di indossare (toccare) quel corpo. Soffio – principio filosofico – che diviene desiderio di contatto, la mano dell’uomo che sceglie di poter sfiorare la mano di Dio. Il soffio che si nutre del desiderio in accordo all’amore nella poetica di Poliziano.
Ed è proprio con la testa a Venere che ritornando a quell’ultimo scritto di Nancy, possiamo comprendere il significato dell’affermazione per cui Nancy scrive: nous manquons l’air, ci manca l’aria.
Spazzati via e sbalorditi[9] avvertiamo la mancanza di uno spazio (ancora Democrito!) entro cui muoverci ogni giorno, la mancanza della possibilità di affermare il vero[10]. Quella mancanza di aria che a un lettore di Hegel appare risuonare come la mancanza di spirito, uno spirito che non vive nel passato dualismo anima-corpo ma condivide lo stesso spazio, perché un corpo senza anima, un corpo senza idee[11], un corpo che non agisce, è un corpo morto. Così, se il corpo è il processo contiguo al desiderio e la nostra società, inibita al principio, vi ha da tempo rinunciato in favore di altri mille desideri; se le migliaia, come ha scritto Borges, assomigliano molto più agli zeri che a qualsiasi altro segno di grandezza; sembra chiaro che la nostra società non soltanto ha smarrito la dimensione del corpo,[12] tanto da aver perduto già da tempo quella propria dimensione rituale (e simbolica!) necessaria, ma ha ancora più colpevolmente finito col non esporsi, scelto di non agire (processo contiguo al desiderio), rinunciato a toccarsi.
Spesso le poesie trovano le parole per spiegare degli eventi che neppure il mondo ha ancora compreso, o forse, soltanto, soffiano su di noi quelle parole per le quali crediamo di ritrovare il senso di una vita, nondimeno, in Mappa del Mondo Nuovo,[13] vi è una delle poesie più belle del ‘900: endings; in cui si afferma che le cose non esplodono ma sbiadiscono, vengono meno as sunlight fades from the flesh: come la luce del sole sbiadisce dalla carne.
Il corpo, la carne, il pensiero, la pelle non sono altro che gli attributi politici dell’uomo che è uomo in quanto corpo e non corpo perché uomo. Come è importante quel sole che sbiadisce dalla carne, in un mondo di uomini privo di qualsiasi altro mondo. L’uomo, certo, può fallire, ammalarsi, scomparire, ma per farlo, prima di tutto, deve vivere (e sbiadire), deve agire, trovare la sua aria, deve, in una parola, desiderare. Infine, toccare come un cieco[14] il mondo che lo circonda, come un bambino tocca le candele per spegnerle quando non ha più fiato, sia pure a costo di scottarsi. Il mondo è gonfio di false verità, le bolle speculano sui piccoli risparmiatori, a noi il compito di soffiarle via, di desiderare, di agire, beninteso, in quest’ordine. Nancy ci ricorda quello che in altri tempi Schopenhauer aveva compreso: la volontà si manifesta in un corpo organizzato. Un corpo protetto da una pelle straordinaria in grado di sviluppare la presenza nel mondo che gli organi mantengono. Perché il soffio porta con sé il desiderio allo stesso modo in cui il corpo significa se agisce. E noi non siamo che fumo: although smoke forgets the earth from which it ascends.[15]
[1] Tanto da parlare di etre soufflé come condizione attuale della nostra società. Là dove soufflé (participio passato del verbo souffler) nella sua polisemia – o meglio nei suoi differenti utilizzi – spazia tra i significati di ammirazione e quelli di distruzione.
[2] Nancy Jean-Luc. (2020), La peau fragile du monde, Galilée, Paris.
[3] Nancy Jean-Luc. (2000), Corpus, Éditions Métailié, Paris.
[4] Ibidem.
[5] Johnson Mary Lynn e Grant John E. (1979) Il matrimonio del paradiso e dell’inferno. in Poesia e disegni di Blake, Norton, New York.
[6] La prudenza è una ricca e ripugnante vecchia zitella corteggiata dall’Incapacità. Blake, W,. (1790) The Marriage of Heaven and Hell.
[7]Nancy Jean-Luc. (2020), La peau fragile du monde, Galilée, Paris.
[8] Quellostesso Zefiro che soffia su Clori ne la Primavera, toccandola.
[9] soufflés
[10] «Il passato quanto il futuro sono esposti a delle revisioni così profonde che sfidano le nostre capacità di correzione». Nancy, Jean-Luc in Être soufflé (2021).
[11] Non a caso Platone parla di anima anche nel X capitolo delle leggi.
[12] Processo contiguo al desiderio
[13] Walcott. D,. (1992), Mappa del Mondo Nuovo, Adelphi, Milano.
[14]Nasciamo ciechi
[15] «Sebbene il fumo dimentichi la terra da cui ascende». da Walcott, D,. (2003), Omeros, Adelphi, Milano.