Galimberti (1999) in ambito psicologico definisce la speranza la fiducia nel futuro che permane anche dopo insuccessi o vane aspettative e che dal punto di vista psicologico funziona come difesa dalle conseguenze patologiche delle frustrazioni.
In una prospettiva di psicologia comportamentistica French, in The Integration of Behaviour del 1952, ne distingue due tipologie, una speranza basata su opportunità di soddisfazioni e una basata su ricordi di precedenti soddisfazioni. Nello specifico, la prima stimolerebbe i meccanismi necessari ai fini di una desiderata realizzazione, mentre la seconda si risolverebbe nella semplice rappresentazione della soddisfazione anticipata, quindi della fantasticheria e del sogno a occhi aperti.
In una prospettiva di psicologia fenomenologica la speranza si configura come attesa, desiderio e attività insieme, una delle modalità con cui il soggetto si rivolge al futuro. In proposito Minkowski (1933) scrive: “nella speranza, io vivo il divenire nella stessa direzione dell’attesa, cioè nella direzione di avvenire-presente e non nella direzione presente-avvenire. Quando spero, attendo la realizzazione di quanto spero, vedo l’avvenire venire verso di me. La speranza va più lontano nell’avvenire dell’attesa. Io non spero nulla né per l’istante presente né per quello che immediatamente gli succede, ma per l’avvenire che si dispiega dietro. Liberato dalla morsa dell’avvenire immediato, vivo, nella speranza, un avvenire più lontano, più ampio, pieno di promesse. E la ricchezza dell’avvenire si apre adesso davanti a me”.
Boch (1959) considera la speranza come una delle possibili chiavi di lettura della filosofia della storia in quanto va oltre l’immediato futuro. Moltmann (1964) interpreta la speranza come il substrato di ogni atteggiamento religioso perché essa, citando le sue parole: “si fonda sulla differenza ontica tra ciò che è e ciò che non è ancora”.
Non a caso, per esempio nel Cristianesimo, la speranza è considerata una virtù teologale che, secondo il Cattolicesimo, il credente aspira a raggiungere sia con la visione beatifica di Dio cioè con l’attesa della sicura beatitudine eterna sia con l’aiuto della grazia divina per poterla conseguire.
Di solito la speranza è iconograficamente rappresentata con il colore verde probabilmente perché è il colore della natura acerba che è in procinto di germogliare e nel quale vengono riposte le aspettative future.
Come fanno notare Cotrufo ed Ureña Bares (2018), la maggior parte degli autori considera la speranza un’emozione secondaria o complessa o mista o comportamentale o sociale, risultante da una combinazione di varie emozioni primarie o di base che si sviluppano con la crescita dell’individuo e che spesso sono anche frutto di influenze sociali o della comunità in cui la persona vive.
Le emozioni primarie o di base, in generale, sono considerate dalla maggior parte degli studiosi innate e sono definite come processi neurofisiologici specifici e pre-codificati che si sono evoluti in risposta ad adattamenti specifici ed a stimoli ambientali importanti. La quasi totalità dei ricercatori considera emozioni primarie la sorpresa, la paura, la gioia, la tristezza, il disgusto e la rabbia. In particolare Damasio (1995) definisce le emozioni come l’innesco di un perturbamento di un certo stato a causa di uno stimolo esterno, come programmi di azione complessi ed in larga misura automatici messi a punto durante l’evoluzione e che implicano azioni eseguite dal corpo, come per esempio le espressioni facciali – conseguenza dello stimolo sensoriale.
Le emozioni, elaborate soprattutto dall’amigdala che produce una risposta inconscia, ci guidano nel mondo esterno, spesso anche senza un’apparente spiegazione mentre i sentimenti sono successivi alle emozioni e sono coscienti (nella maggior parte dei casi). In tale prospettiva la speranza, pur nascendo da un’emozione secondaria si configurerebbe come un sentimento, infatti essa è cosciente e può durare a lungo (mentre l’emozione di solito è breve). La componente mentale dei sentimenti è incentrata sulla rielaborazione di immagini, esperienze, fatti e pensieri che li alimentano. Alcuni autori invece ritengono che la speranza non possa essere definita come emozione o come sentimento perché troppo complessa ed in tal senso risulterebbe inclassificabile.
Come fanno presente Szcześniak e Nderi (2010), la speranza per secoli è stata considerata negativamente o trascurata. Ne è un caso esemplificativo il mito greco di Pandora narrato da Esiodo in cui la speranza insieme ad altri mali venne spedita sulla terra come un ingannevole dono degli dei per punire l’umanità. La cultura giudaico-cristiana invece la considerava per lo più in modo positivo ma con un valore teologico trascendente, un dono divino in quanto intesa come la fiducia degli uomini verso il Creatore. Per il resto la speranza è stata trascurata dagli studiosi. Soltanto nella seconda metà del XX secolo la si cominciò a prendere realmente in considerazione come riconducibile all’esperienza quotidiana e ad analizzarla in tal senso. Molte sono state le teorie proposte al riguardo.
La più indicativa forse è la cosiddetta “teoria della speranza”, elaborata da Snyder intorno alla metà degli anni Novanta del Novecento, che afferma: “la speranza è uno stato motivazionale positivo che si basa sull’interazione tra il senso di successo nel produrre i percorsi cognitivi o le strategie cognitive da utilizzare nel conseguire un determinato fine desiderato e il senso di successo nel produrre l’energia mentale nell’utilizzare tali percorsi o strategie per realizzare la finalità desiderata”.
Essa è caratterizzata da tre componenti: la percezione della propria capacità di prefigurare le mete da perseguire (goals), i percorsi cognitivi da utilizzare nel conseguirle (pathways) e la capacità di produrre l’energia mentale interiore che attiva, orienta e mantiene il soggetto verso tali finalità desiderate (agency). Ogni persona è orientata intrinsecamente alle finalità per il proprio il futuro, esse ce le rappresentiamo mentalmente, possono avere una diversa durata e sono percepite da ogni individuo in maniera differente. Le strategie mentali sono frutto della capacità mentale di pianificare una o più strategie plausibili per realizzare mete desiderate e prefigurate, il che equivale all’autopercezione di se stessi nel saper progettare percorsi efficaci avendo sempre in mente delle vie alternative per essere pronti a cambiare strada quando necessario. L’energia mentale è la capacità di far fronte agli impedimenti che possono sopraggiungere nel perseguimento delle finalità e che si forgia con l’esperienza. Snyder ha dimostrato che chi ha un alto indice di fiducia in sé supera in maniera migliore gli ostacoli rispetto a chi ha una bassa autostima e riesce ad elaborare con maggiore facilità strategie alternative per raggiungere le proprie mete. Inoltre sostiene che la speranza non è innata ma che deve essere elaborata e coltivata in ogni individuo per ottenere così anche un miglioramento della propria autostima e suggerisce l’inserimento di questo procedimento in ambito educativo. Ulteriori ricerche hanno confermato quanto affermato da questa teoria.
La speranza viene definita dal vocabolario italiano come l’attesa fiduciosa di qualcosa in cui si pensa che consista il proprio bene o di qualcosa che ci si augura avvenga secondo i propri desideri. In particolare, come fanno notare Quartu e Rossi (2012), può talvolta manifestarsi con un atteggiamento baldanzoso, d’ottimismo e di faciloneria nei confronti della vita, tipico della gioventù. Esiste il modo di dire “giovanotto di belle speranze” che si riferisce a persone effettivamente dotate dalle quali ci si aspettano risultati di successo ma che tuttavia devono ancora essere messe alla prova.
Nella teoria dei giochi la locuzione “speranza matematica” designa il prodotto del valore associato al verificarsi di un determinato evento casuale per la probabilità che accada l’evento stesso, ovvero il prodotto del guadagno possibile di un giocatore per la probabilità che egli ha di realizzarlo.
In statistica viene utilizzata l’espressione “speranza di vita” per indicare il numero di anni che, secondo l’esperienza demografica di una nazione, restano da vivere in media ad una popolazione di una data età. Un indicatore demografico di particolare rilievo è quello della speranza di vita alla nascita (o durata media della vita) che nel mondo sviluppato, grazie soprattutto ai miglioramenti nelle tecnologie mediche ed ad altri fattori di progresso, è andata gradualmente aumentando facendo purtroppo emergere le differenze e le disparità con i Paesi in via di sviluppo che andrebbero colmate.
In marina esiste l’espressione “ancora di speranza” per definire l’ancora di riserva di un’imbarcazione che si tiene sistemata in coperta oppure in appositi pozzi e che è pronta ad essere adoperata in caso di cattivo tempo o di eccezionale necessità.
Molti sono i proverbi, i detti e le locuzioni che hanno come oggetto la speranza (taluni sono anche negativi) ma non è possibile elencarli tutti.
In questo periodo così difficile per l’umanità a causa della pandemia da Covid-19 è quanto mai indispensabile sperare, non abbattersi, pensare che tutto migliorerà e risorgerà al più presto o per lo meno augurarsi che questo possa accadere quanto prima. Credere con ottimismo che il mondo riuscirà a risollevarsi, come si suole dire, “oltre ogni speranza” ricordando le quanto mai appropriate parole di Sciascia nel suo ultimo libro Una storia semplice del 1989: “[…] non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”.