Tre piani: il numero perfetto

Il 12 luglio sarà proiettato nel corso del 74esimo Festival di Cannes Tre piani, l’attesissimo adattamento cinematografico di Nanni Moretti dell’omonimo romanzo di Eshkol Nevo. Cosa dobbiamo attenderci?
In attesa delle prime recensioni da parte della critica, pubblichiamo su Scenari un estratto dal nuovo saggio di Roberto Lasagna
Nanni Moretti. Il cinema come cura (Mimesis Edizioni, 2021).

Tre piani di un condominio. Tre storie apparentemente slegate. Famiglie distanti, che non comunicano ma vivono una prossimità ineludibile. Ogni storia reca un segreto, di cui si possono conoscere solo alcuni aspetti. Fuori, il mondo della comunicazione veloce, che tutto mette in mostra e divora, condizionando e neutralizzando nel segno nell’indistinto. I segreti divengono, nell’era della comunicazione social fulminante, qualcosa che divampa sotto l’osservazione di tutti. Ma con Tre piani (2021), nella palazzina borghese che Nanni Moretti preleva dalla narrativa di Eshkol Nevo trasportandola dai pressi di Tel Aviv al quartiere Prati di Roma, lo spettatore ha la possibilità di entrare in quelle case, che in Caro diario venivano unicamente osservate dal di fuori, in una composizione visiva assecondata dalle ondivaghe mosse in Vespa dello splendido quarantenne in un pomeriggio assolato d’agosto.
Qui, In tre piani, in un palazzo dove la calma regna apparentemente sovrana, la vita dei condomini è invece a dir poco inquieta, con le vicende delle famiglie che finiscono per intrecciarsi come nella seconda topica freudiana dove Es, Io e Super-Io comandano il nostro vivere psichico.

Moretti scrive la sceneggiatura del suo film assieme a Federica Pontremoli e Valia Santella, operando cambiamenti sostanziali e soprattutto creando collegamenti tra le tre storie più di quanto non avvenga nelle pagine del libro. Tre piani adatta quello che sulla carta è cadenzato da tre racconti: la vicenda, al primo piano, di una coppia di giovani genitori, talmente presi dalle loro faccende da affidare sovente la figlia alle cure dei vicini in pensione, con il padre convinto sino all’ossessione che sua figlia sia stata vittima di un abuso da parte dell’anziano vicino affetto da demenza, e lui stesso depositario di un segreto; la vicenda al secondo piano del personaggio della madre lasciata sola dal marito sempre lontano per il lavoro e con il figlio da accudire, in eterna mediazione tra istinto e autocensura, tra i tormenti della solitudine e lo spettro della follia; infine, al terzo piano, la vicenda di un giudice severo riportato in vita attraverso un’antica segreteria telefonica dal ricordo di una moglie giudice vedova, con il bisogno della donna di raccontare il suo mondo interiore e ciò che è stato, e tutta la grave storia del figlio condotto dai genitori-guardiani a errori e gesti estremi. Dopo la scoperta, in Caos calmo, che alcuni fatti sono irreversibili mentre altri possono diventare reversibili al seguito di un percorso di auto-consapevolezza, Tre piani sembra essere il luogo di temi che allargano l’intelaiatura drammatica dell’universo morettiano, di cui emerge l’attenzione per i segreti che paiono fratture persistenti più che motivi di facile condivisione. Il dolore, come ne La stanza del figlio, può portare alla divisione, alla lontananza, ma anche, come nel nuovo film, alla distorsione dei legami, anche a seguito di scelte cui non si è stati capaci di sottrarsi, mentre i segreti e i drammi non elaborati rimangono fonti di squilibrio. In Tre piani il bisogno di comunicazione viaggia in parallelo con il discorso sulla possibilità o meno di maturare una consapevolezza circa la propria condizione. Il genitore del primo piano del racconto di Nevo, così dominato da Es e dalle pulsioni, ha anch’egli un segreto che potrebbe mettere in crisi il suo ménage familiare, e questo segreto nasce strada facendo, per un tradimento frutto di leggerezza a cui non riesce a sottrarsi.

Roberto Lasagna, Nanni Moretti. Il cinema come cura (Mimesis Edizioni, 2021)

Per Nanni Moretti, Tre piani è anche l’occasione per maturare quella composizione narrativa che scaturisce dall’incontro con il testo di un autore che gli piace molto e in cui, evidentemente, riesce a identificarsi, sentendo grande rispetto per uno scrittore che manifesta sin da giovanissimo uno slancio molto sentito verso il sociale.
Un autore, Nevo, che inizia a scrivere molto presto perché prova dentro qualcosa che non riusciva a esprimere diversamente. Timidezza superata riempiendo pagine di notazioni come il solo modo per dare voce ai propri sentimenti, in una società, quella ebraica, che non possiede il rito della confessione. In Tre piani il rapporto tra genitori e figli diviene una sorta di indagine dove le domande sono più dense delle risposte e si avverte la grande tensione vissuta tra l’essere genitori e l’essere parte di una coppia. Per Moretti, che ha tra le sue predilezioni letterarie Natalia Ginzburg e Italo Calvino, un libro che parla di errori e segreti, dove ogni famiglia conserva un legame profondo e cela altrettanto profondamente un segreto. Il dolore che separa qui tiene uniti pur nella distanza, anche per via del segreto che continua a sancire il bisogno di raccontare, di parlare. Nuclei familiari che vivono la solitudine proprio dell’essere famiglia, quando la nascita del figlio crea distanze, incomprensioni, turba e fa commettere errori in dimensioni in cui pulsioni, ragione e autoaccusa si alimentano a vicenda.

Nell’ispirarsi al libro di uno scrittore ebreo, Moretti ritrova quella dimensione autoriflessiva in cui, anche attraverso un film, sia possibile specchiarsi, attraverso il bisogno di raccontare quel segreto intimo che siamo sempre più sollecitati ad affidare a un interlocutore astratto, come può esserlo un volto sorridente di Facebook; magari sollecitati da una segreteria telefonica, mentre qualcuno, come Don Giulio o un attore nella parte di Sigmund Freud, aspetta ancora che gli si parli, che ci si rivolga a lui con franchezza. Se Michel Piccoli in Habemus Papam risvegliava parti vitali e dimenticate di sé incrociando per le strade di Roma una compagnia teatrale grazie a cui riscopriva la sua natura di attore presto abbandonata, Moretti ci suggerisce nel suo cinema maturo di guardare oltre i confini di casa, per cercare nella socialità della vita vissuta quella partecipazione reale che offre un senso a domande altrimenti sospese come sentenze e mannaie. E lo fa con un film, Tre piani, che ritrova voci e volti del cinema italiano contemporaneo, dove le piante che adornano elegantemente la palazzina del quartiere Prati lasciano scorgere i volti di Riccardo Scamarcio, Margherita Buy, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Denise Tantucci, Alessandro Sperduti, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Tommaso Ragno, Stefano Dionisi, Francesco Brandi che, assieme allo stesso Nanni Moretti, danno testimonianza dei loro problemi di relazione in uno scenario di contrasti dietro pareti imperturbabili.



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