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L’epifania estatica dell’Eros secondo Pasolini: “Orgia”, “Teorema” e “Petrolio”

Nella seconda metà del 1960 si registra un improvviso stravolgimento della civiltà. Pasolini pervaso dall’irrefrenabile cambiamento antropologico professa una personale resistenza culturale e decide che il ruolo di perturbatore della quiete debba avere la forza della concretezza del proprio corpo, oltre che della propria parola.
Già l’infelicità insita nel corpo stesso della parola aveva turbato il poeta che soffriva della convenzione sociale e storica della parola non adatta a descrivere l’irrappresentabile, ovvero la realtà, e molte figure che invadono l’universo pasoliniano risentono di questa crisi usando una non-lingua fatta di frequenti silenzi, di grida e di afasia.
Nella nuova storia, o Dopostoria, tutti posseggono lo stesso linguaggio, le stesse conoscenze e soprattutto gli stessi desideri. Questa omologazione produce i suoi effetti anche all’interno di un altro linguaggio, che Pasolini definisce somatico, e che è costituito dal comportamento, dalla gestualità, dall’aspetto fisico: in una sola parola, dal corpo che Pasolini sceglie di gettare nella lotta, secondo il personale slogan del 1966.
Quello che Pasolini intuisce è che nella nuova società che si sta formando sotto ai suoi occhi la cultura umanistica non è più un oggetto di desiderio sociale. All’opera di dissacrazione messa in atto dal nuovo Potere, Pasolini oppone la realtà del corpo e l’energia che questo sprigiona sulla scena con la sua materialità, il suo farsi e disfarsi. Alla drammatica scomparsa del senso del sacro soppiantato da un immaginario omologato, plastificato e televisivo Pasolini reagisce elaborando un nuovo concetto di realtà basato sull’erotismo che viene identificato nei termini di un’estasi potenzialmente traumatica. La ricerca dell’ebbrezza del piacere è degradante. La pratica dell’erotismo sconfina nell’estasi sia come narrazione, struttura e immaginario, sia come dispositivo performativo. Il sesso offre allo scrittore il pretesto per manipolare la realtà.

Orgia: Dal culto religioso al culto feticista

Orgia è un’opera teatrale, l’unica allestita da Pasolini stesso. Si tratta di una tragedia in versi costituita da un prologo e sei episodi, composta nel 1966. Nel giorno di Pasqua, un uomo e una donna, marito e moglie, chiusi nella loro camera borghese, si torturano a vicenda come in un sacrificio rituale, corporale e sessuale. Il sadomasochismo è la pratica attraverso la quale il marito si procura piacere infliggendo alla moglie delle sofferenze fisiche, delle torture e delle umiliazioni. Ma l’aspetto propriamente estatico è il feticismo e ovviamente, quello del feticismo sessuale. Gli abbigliamenti sono miseri, labili, illusori e proteggono la “dignità” di chi l’indossa, dimostrandosi come simboli di morte originati dal nuovo fascismo consumistico che vuole accomunare milioni di individui in una fraterna e complice passione e necessità.
L’oggetto di consumo è il luogo di aspettative che vanno ben al di là della sua pura esistenza materiale, con il quale il consumatore instaura una relazione oggettuale simile all’innamoramento. Dice il protagonista di Orgia: Dov’è la più verità? In ciò che dicono questi segni di sangue/o in ciò che dice questo segno di seta?/ I primi dicono ciò che noi desideriamo,i secondi ciò che noi accettiamo. (Pier Paolo Pasolini, Calderón, in Teatro, a cura di W. Siti e S. De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, cronologia a cura di N. Naldini, Milano, Mondadori, 2001, p. 281.)

Rappresentazione di Orgia (Teatro Stabile di Torino, 1968-69, foto di Vitaliano Davetti)

Teorema: Dall’estasi alle vie del degrado

In Teorema l’estasi trova la sua immagine riflessa nell’Ospite misterioso e si manifesta attraverso la trasgressione fisica dell’atto sessuale. Un seducente ospite inatteso, essenza dell’altro da se, arriva a turbare la placida monotona di una famiglia borghese milanese, e dopo aver avuto rapporti sessuali con tutti i suoi componenti, riparte come è arrivato, lasciando ognuno di loro, ormai consapevole del proprio vuoto esistenziale e della totale perdita di identità.
Teorema rappresenta l’esperienza di un contatto diretto con il divino, sebbene questa sia soltanto una fugace apparizione che quindi si manifesta successivamente come inesorabile perdita al momento della partenza dell’Ospite. Nell’esistenza di questi borghesi, l’intrusione dell’ospite non è altro che un momento di estasi.

Scomparso l’ospite, ogni componente della famiglia, si ritrova dall’estasi sublime alle vie del degrado: La madre (Silvana Mangano), dopo l’incontro con l’Ospite abborda e raccoglie ragazzi per strada e si fa possedere in squallide stanze all’aperto e nei fossi. La figlia viene colpita da una catalessi irreversibile e finisce in una casa di cura; Paolo (Massimo Girotti), il padre, dice all’ospite: «Sei venuto a distruggere l’idea che io ho sempre avuto di me. Non vedo niente che possa reintegrarmi alla mia identità».
Ritengo sia importante ricordare che soprattutto in Teorema con Emilia, che è una serva e quindi non appartiene alla classe borghese, Pasolini associa la donna ad una dimensione ancestrale. Si tratta dell’unica figura che riesca a usufruire del contatto divino con l’ospite in Teorema. Il sottoproletariato è l’unico che possa avere ancora una coscienza religiosa. Alla fine, sacrifica sé stessa e si fa seppellire viva. È a questo proposito emblematico il montaggio finale del film, che vede Emilia impegnata in un rituale di ascesi mistica e di rinascita precluso ai borghesi, mentre Paolo vaga nudo per il deserto e urla disperato.

Pier Paolo Pasolini, Teorema (1968)

Petrolio: Grazia santificante fra unione e rapimento.

Il protagonista di Petrolio è Carlo, un ingegnere della borghesia torinese, di area cattolico-progressista, che è riuscito a fare carriera all’interno dell’Eni. La particolarità del personaggio è il suo sdoppiamento. Esiste infatti il Carlo Polis e il Carlo di Tetis. Per i miei scopi qui limitati, mi interessa sottolineare sopratutto il famoso Appunto 55 del Pratone della Casilina, dove viene posseduto da 13 ragazzi del sottoproletariato, ognuno perfettamente individualizzato dalle caratteristiche del proprio organo sessuale.
Le descrizioni minuziose dei membri e degli amplessi sembrano avvicinare al rito l’incontro di Carlo con i ragazzi: un rito euristico che pone il borghese in una posizione di vittima, in rapporto con i sottoproletari. Ed è attraverso gli organi sessuali dei giovani che Carlo riconosce le classi dei sottoproletari, ne indovina i mestieri. Il mistero viene di fatto a risiedere nel corpo dei ragazzi, o meglio del loro membro.
Presso la Casilina accade qualcosa di mistico, l’eros è presentato carico di un enorme valore estatico per il soggetto: «Tutto il cosmo era lì, in quel pratone, in quel cielo, in quegli orizzonti urbani appena visibili e in quell’inebbriante odore di erba estiva» (P.P. Pasolini, Romanzi e racconti, vol. II, 1962-1975, Milano, Mondadori, 1998, p. 1400). In questo contesto si inserisce l’atto di possedere e quello di essere posseduto attraverso il rapimento estatico.
Nell’appunto 65 leggiamo: «D’altra parte è fuori discussione che il Possesso è un Male, anzi, per definizione, è il Male: quindi l’essere posseduti è ciò che è più lontano dal Male, o meglio, è l’unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico» (P.P. Pasolini, Romanzi e racconti, vol. II, 1962-1975, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1551-1553)
Chi è mosso dalla bramosia di possedere è spinto dal Male mentre il godimento di chi è posseduto, sia pure dentro umiliazioni, è il Bene. Come osserva Raffaele Donnarumma: « siamo di fronte a una metafisica del sesso, in cui l’essere posseduti diventa un rito purificatore di umiliazione e gloria, annullamento ed estasi del Tutto, abiettazione e gioia trasumanante. Il Bene elargito per grazia come sofferenza e male permette di raggiungere il punto più lontano dal Male: ma in questo modo, usciamo dalla storia[…]Per fuggire dal Male (e non è già, questo, fuggire dalla storia?) bisogna soggiacere al male, offrirsi come complici ai carnefici e al godimento che solo loro sanno infliggere, donare» (R. Donnarumma, Metamorfosi e nascondimenti. Pasolini e l’omosessualità in «Petrolio»», in Inquietudini queer. Desiderio, performance, scrittura, Il Poligrafo, Padova 2012, p. 320).

Come è possibile intuire, da questi tre testi dominati dall’eccesso estatico, per Pasolini l’eros è un‘esperienza di esodo, di uscita da se stessi. La certezza indubitabile della propria esistenza che Cartesio trovava nell’esercizio metodico del dubbio e del pensiero (cogito, ergo sum), assume in Pasolini i caratteri di una folgorazione epifanica: soffro, dunque sono. Ma la sofferenza che egli si infligge in mille forme non tanto ha come meta il piacere del dolore, quanto, più radicalmente, una specie di estasi estrema del proprio essere che vorrebbe abbandonare le sue vesti umane (e troppo umane) per raggiungere la compattezza minerale di un oggetto che non manca più di nulla. Il corpo amoroso, sofferente, ferito e sottoposto a violenza punta a ricondurre la scrittura pasoliniana alla dimensione sacrale della malattia-estasi, a un’apocalisse senza eschaton.


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