Arte, Socialismo e Socialità: la pratica artistica del Collettivo Pittori Autonomo di Porta Ticinese e i suoi esiti contemporanei.

L’11 settembre del 1973, tramite un colpo di stato che portò alla presa del Palacio de La Moneda, il caudillo Augusto Pinochet depose, nonché costrinse al suicidio, il legittimo presidente cileno Salvador Allende. Il fatto suscitò grande scompiglio nell’opinione pubblica occidentale, e soprattutto in Italia – dove il partito comunista e i gruppi della sinistra extraparlamentare manifestavano con più vemenza la loro presenza sulla scena politica nazionale – la morte del presidente socialista venne recepita come una rivincita del fascismo sullo scacchiere mondiale, e non, come in realtà fu, l’ultimo colpo di coda di un fascismo ormai stantio e morituro, come si stava riscontrando in Spagna e Portogallo, dove i nazionalismi annaspavano tra crisi interne e tentativi di colpo di stato.
La politica interna italiana si trovava, di conseguenza, ad affrontare una strada impervia: il PCI, che fin dai primi anni del dopoguerra si era mostrato accondiscendente verso le politiche democristiane, colse la notizia del colpo di stato cileno per rinsaldare ancora di più, se possibile, l’alleanza con la DC. Le voci “politiche” della sinistra extraparlamentare, invece, si mossero in direzione avversa a quella del comunismo “istituzionale”, così che i vari gruppi di questa galassia “antagonista” intrapresero una campagna di denigrazione delle scelte politiche del PCI.

In questo clima politico e culturale, numerose furono le manifestazioni che si mossero in favore delle resistenze popolari mondiali – tra le quali il golpe cileno fu sicuramente il più sentito, così che l’Italia divenne uno dei maggiori centri di raccolta di intellettuali esuli dalla dittature nazionalsocialiste e di artisti che difficilmente avrebbero potuto operare all’interno dei confini dei loro paesi d’origine: gli Inti-Illimani, che proprio durante i giorni del golpe si trovavano in Italia per una tournée, decisero di richiedere ospitalità al governo italiano. I loro concerti furono, per tutti gli anni Settanta, uno dei “richiami” dei giovani del “movimento”. Un altro cantautore e teatrante cileno dovette smuovere gli animi democratici occidentali: Victor Jara, torturato e assassinato appena cinque giorni dopo la presa del potere da parte di Pinochet, divenne uno dei “miti” culturali dei giovani italiani: il Canzoniere delle Lame, fondato nel 1967 a Bologna da Janna Carioli e Gianfranco Ginestri, dedicò al musicista, alla musica cilena, e a tutto il Fronte di unità popolare, un vinile 7 pollici, dove nel lato A venne inciso Venceremos, una della canzoni di “battaglia” della gioventù cilena, e nel lato B una suonata solo strumentale per flauto e chitarra intitolata Suonata Cilena. Anche lo scrittore Pablo Neruda – che era stato anche senatore e ministro nel governo cileno – divenne uno dei simboli delle lotte popolari, tanto più che la sua morte – ancora oggi poco chiara – dovette rinvigorire gli animi democratici nostrani; il suo Canto General, che venne per la prima volta tradotto in italiano nel 1955, venne ristampato nel 1967  dalla casa editrice Sansoni[1], divenendo uno dei classici della cultura socialista e democratica sudamericana, arrivando a essere venduto, oltre che nelle librerie commerciali, soprattutto in quelle del “movimento”. La morte del Poeta, provocò in Cile la nascita della Brigata Pablo Neruda, un gruppo di pittori muralisti soliti affrescare i muri delle case della cultura dello stato andino, sia delle città più importanti, sia dei luoghi più sperduti sulle cordigliere cilene. Sull’ondata di questa prima brigata muralista, si formarono una miriade di sottobrigate di pittori muralisti, tra le quali una delle più famose, forse, fu la Brigata Ramona Parra, nata in ricordo di una giovane operaia tessile e militante del Partito Comunista Cileno, assassinata nella strage di Plaza Bulnes di Santiago il 28 gennaio 1946. La Brigada produsse un vero e proprio radicale cambiamento nel modo di intendere l’arte politica cilena, riuscendo a portare definitivamente il muralismo nelle strade, a cielo aperto, per comunicare direttamente con l’osservatore, e per informarlo, mediante la denuncia sociale, di quello che stava cambiando nella loro patria. Nel 1971 l’artista andino Roberto Matta, insieme alla Brigata Ramona Parra, dipinse un murale nella vecchia piscina comunale del comune di La Granja intitolato La prima meta del popolo cileno, una pittura che, negli anni della dittatura, venne più volte deturpata, quale simbolo del passato comunista.

Orticanoodles, Inside, Studio Museo Francesco Messina, Ph. Lorenzo Passoni.

L’influenza del muralismo cileno penetrò profondamente nella cultura democratica italiana, tanto che pochi mesi dopo il golpe militare del settembre 1973, le due brigate giunsero in Italia dove trovarono ad accoglierle un vasto pubblico di militanti, sinceri patrocinatori della democrazia socialista: la Brigata Romana Parra e la Brigata Pablo Neruda in Italia poterono così manifestare la propria valenza artistica di denuncia sociale, influenzando molti giovani artisti italiani. Solo a titolo d’esempio, in questa vasta galassia culturale, pare interessante vedere come il palazzetto dello sport di Cinisello Balsamo, venne intitolato a Salvador Allende un mese dopo la sua morte, durante un concerto dell’orchestra della Scala, diretta da Abbado e con Pollini al piano. Sull’esempio della lezione muralista cilena, sorsero a Milano numerosi collettivi artistici militanti che facevano dell’arte muralista un caposaldo per una commistione della politica nei campo culturale: nella primavera del 1975 sorse presso l’Università degli Studi di Milano una delle prime brigate direttamente ispirate all’esempio sudamericano: la Brigata di muralisti Poder Popular nacque con  la “volontà di superamento delle scritte, inflazionate, spesso illeggibili, e, elemento non secondario, brutte”[2].

La lezione dei muralisti cileni, dovette colpire in modo significativo un allora giovane artista napoletano, Giovanni Rubino, che già da alcuni anni prima – dalla metà degli anni Sessanta – svolgeva attività artistica nella “rossa” Reggio Emilia, dove viveva e lavorava. In questa città conobbe Corrado Costa, poeta poliedrico e sperimentale, appartenente al Gruppo 63, che nel 1964 aveva composto un album di poesie intitolato Pseudobaudelaire[3], nonché Rosanna Chiessi, artista sperimentale e organizzatrice del movimento Fluxus in Italia, e Giulio Bizzarri (Reggio Emilia 1947-2020) artista e direttore creativo, allora impegnato nella progettazione e realizzazione di campagne ed eventi culturali, in ambito pubblico e privato. 
L’impegno sociale e artistico di Rubino dovette manifestarsi una prima volta nel 1973 quando, insieme a Costa, mise in atto davanti al Petrolchimico di Marghera la performance MORTEDISON: dinanzi alle mura perimetrali dello stabilimento installarono, con l’aiuto degli operai dell’azienda, un manichino crocifisso su di una croce il quale portava una maschera anti gas. Esplicita, in questo senso, era la denuncia della nocività dell’aria dovuta agli scarti di lavorazione prodotti dal petrolchimico veneto. Da questa prima dichiarata manifestazione di denuncia sociale attraverso la pratica artistica, e sopraggiunti i fatti del golpe cileno, Rubino decise di declinare la sua attività spostando la sua attenzione dalla pratica performativa a quella pittorica: per questo si impegnò nella costruzione di striscioni e di manifesti da portare in manifestazione. Solitamente a richiedere questo tipo di materiale era il gruppo di Lotta Continua, sicuramente uno dei movimenti della sinistra extraparlamentare più attenti a sviluppare un discorso politico che potesse saldarsi con le esigenze del “personale”.

Catalogo della iniziativa Mortedison, 1975.

A Milano era presente una galleria, sita nel quartiere di Porta Ticinese, che voleva emanciparsi dal mercato dell’arte commerciale – soprattutto legato al mondo delle stampe – per innovare il linguaggio culturale traghettandolo verso tematiche più sensibili al contesto sociale di quegli anni. Giliola Rovasino, titolare della Galleria di Porta Ticinese, insieme a Mario Borgese e a Rubino, decisero di ospitare all’interno della galleria quella che sarà ricordata come una delle più lunghe mostra artistiche della storia: nell’ottobre del 1973 venne inaugurata la Mostra incessante per il Cile[4], che trovò conclusione solo quattro anni dopo, nel 1977, quando presso la Rotonda di via Besana si tenne l’ultimo atto di questa poliedrica iniziativa, articolata in una serie di esposizioni di differenti “operatori culturali”, con l’unico leitmotiv di dover creare opere d’arte che potessero vantare una matrice esplicitamente politica.
Sulla scorta di questa prima esperienza, pochi giorni dopo l’inaugurazione della mostra presso la galleria di Giliola Rovasino, Rubino pensò che si potesse ampliare il discorso politico sulla crisi della democrazia socialista, decidendo di fondare, insieme a Gabriele Amadori, Mario Borgese, Nino Crociani, Cosimo Ricatto Narciso Bonomi e Corrado Costa – oltre ai più defilati Roberto Lenassini, Roberto Sommariva e Gabriele Albanesi – il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese. Come ricordato da Fernanda Fedi in Collettivi a gruppi artistici a Milano, un articolato volume pubblicato come supplemento a Panorama nel 1985, il Collettivo ribadiva l’autogestione della propria operatività, e si poneva, al tempo stesso, come “servizio di interventi attraverso l’immagine visiva dietro richieste e istanze da parte degli organismo della sinistra da quelli istituzionali, a quelli di organismi di base, a quelli dei movimenti”[5]. Per di più, il Collettivo si dichiarava contro la delega al critico di professione, alla stampa e alla galleria, in quanto – sulla scorta di tanti altri “operatori culturali” del periodo – vedevano in questa tipologia di “promozione” una mediazione pericolosa tra il proletariato urbano e l’artista stesso, che avrebbe condotto a una scissione tra queste due culture. Corrado Costa, che nel Collettivo svolgeva la funzione “intellettuale”, rese bene l’idea sottesa alla creazione di questo gruppo artistico e alla funzione politica del murale. In una lunga e articolata lettera da lui indirizzata a Rubino, scritta nel settembre 1976 in relazione a un intervento del Collettivo tenuto presso il Centro Internazionale di Brera nel contesto delle giornate di studio intitolate Arte e Società, Costa ricordava come, anche se i murales avevano “perduto il loro aggancio con il momento di lotta, separati cioè dal momento di provocazione” sarebbero restati “una celebrazione” e, a causa di ciò, la contemplazione estetica li avrebbe resi “sempre più ambigui”. Allora, si chiedeva Costa, restavano poche scelte da poter portare avanti: “o puntare su un discorso enfatico, assurdamente esasperato e dilatato o addirittura assurdo o tornare a fare i conti con la «maniera». Oggi – ricordava ancora Costa – ritorna di moda esplicitamente la maniera, il neo-conformismo, l‘allegoria, il recupero popolare, il compromesso, il cazzo-socialismo, l’allusione psicanalitica nel contesto etnografico, il punto di vista autobiografico e il tracciato storico fraudolento, la pantomima danzata e la morte simbolica del padrone, la masturbazione nel contesto del processo storico, collettivo… Noi dobbiamo dunque a nostra volta assumere il ruolo al quale la istituzione ci ha destinato: ripetere gesti che esprimono solo la ripetizione del gesto. Fine. La realtà così modificata ci impone di prendere dialetticamente le distanze.”.

Giovanni Rubino, Corrado Costa, Mortedison, Performance collettiva presso il petrolchimico di Marghera, 1975.

In questo contesto, dunque, si svolgeva la pratica artistica del Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese. Tra il 1973 – come ricordato anno di fondazione del gruppo – e il 1976, anno di scioglimento, numerose furono le iniziative che li vedranno partecipi: nel 1974, in piazza Duomo, Rubino e compagni costruirono un gigantesco “murale” (su teloni stesi per terra), per ricordare i fatti cileni, mentre l’anno seguente, in occasione delle elezioni comunali del 1975 che videro trionfare il PCI, il Collettivo dipinse in piazza Vetra un murale intitolato M.S.I. Fuorilegge. Nel marzo dell’anno successivo, invece, il Collettivo si impegnò nell’organizzazione delle giornate culturali presso il Palalido, per aiutare gli operai della Innocenti in sciopero da mesi contro i licenziamenti. In questa occasione parteciparono molti dei protagonisti della cultura meneghina, dalla Compagnia del Buratto di Velia Mantegazza a Nanni Svampa fino agli Area, nonché i protagonisti del teatro di “strada” – già da tempo assurti a fama internazionale – del Living Theatre, che portarono in scena La torre del denaro, spettacolo che smosse gli animi democratici e anticapitalisti del pubblico presente. Il Collettivo di Rubino partecipò agli eventi del Palalido producendo, durante gli intervalli tra uno spettacolo e l’altro, dei giganteschi striscioni sui quali venne dipinta la I della Innocenti, alla quale, tuttavia, venne modificata il puntino sommitale della vocale: al suo posto venne dipinto un pugno chiuso “comunista”.

Negli ultimi anni, la pratica sociale del muralismo sta riprendendo quota nelle tematiche culturali meneghine, e gli “incipit” lanciati da Costa negli anni Settanta formano ancora un “basso continuo” sul quale diversi collettivi artistici continuano a impratichirsi. Orticanoodles – pseudonimo sotto il quale si celano due street artisti italiani, Wally e Alita – si inserisce all’interno di questa pratica iniziata dal Collettivo Pittori di Porta Ticinese; la mostra INSIDE, tenuta presso lo Studio Museo Francesco Messina, ne è una precisa testimonianza, sia per quanto riguarda l’espetto estetico e esecutivo, che per quanto riguarda la valenza sociale. Ogni pannello esposto nello spazio museale milanese è stato realizzato con le tecniche del muralismo classico, quali stencil e spolvero – applicate in questo specifico caso su legno – mentre le figure dipinte raccontano una storia sociale e personale dalle multiformi valenze. Le numerose figure maschili presenti narrano, sotto forma di scheletri, una intensa fragilità, o, al contrario, corazzate dietro possenti armature, raccontano la violenza patriarcale della società odierna, come a riallacciarsi ideologicamente alla minaccia all’ordine democratico portata da Rubino e il suo collettivo, quale cassa di risonanza del golpe cileno.

[In copertina: Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, Il manzo aumenta, mangeremo agnelli, Murales nel quartiere
Sant’Ambrogio, 1974].


 


[1] Pablo Neruda, Canto General, Firenze, Sansoni, 1967.

[2] Gruppo ARCA, Abbasso il grigio, comunicazione e linguaggio di base nella pittura murale a Milano, Milano, Edizioni il Formichiere, 1977, p. 93.

[3] Corrado Costa, Pseudobaudelaire, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1964.

[4] Mostra incessante per il Cile, (Rotonda di via Besano, Milano, 1 – 15 maggio 1977), Milano, Ripartizione Cultura e Spettacolo, 1977.

[5] Fernanda Fedi, Collettivi a gruppi artistici a Milano, Milano, Edizioni Endas, 1985, p.  69.



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