Mappando la resistenza: “Bacurau” e il cinema brasiliano che (non) verrà

Negli ultimi vent’anni il cinema brasiliano si è distinto come una tra le più interessanti realtà del sempre più intricato panorama cinematografico mondiale fatto di festival, tradizionali uscite in sala e di video on demand.
I film del suo regista principe, Klaber Mendonca Filho, sono ormai presenza fissa sulle copertine delle principali riviste di cinema internazionali. La sua ultima opera Bacurau, girata col sodale Juliano Dornelles e preceduta dal grande successo di qualche anno fa di Aquarius, è un film di generi più che un film di genere.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata a “Mapping Bacurau”, la retrospettiva preparata dai due registi per il Film Lincoln Centre di New York, all’interno della quale è possibile trovare pamphlet politici vestiti a western, horror australiani, cult dall’ideologia confusa e capolavori del cinema novo, la più bella stagione del cinema brasiliano recentemente raccontata da Eryk Rocha nel documentario Cinema Novo (2016).

Bacurau, selezionato a Cannes nel 2019 (come Aquarius nel 2016) non è stato l’unico film brasiliano a riscuotere l’attenzione dei festival internazionali più importanti. Basta pensare allo splendido La vita invisibile di Eurídice Gusmão di Karim Aïnouz, premio Un certain regard a Cannes e apprezzato in sala qualche mese fa, o all’ horror As Boas Maneiras di Marco Dutra e Juliana Rojas, premiato al festival di Locarno nel 2017.

Kleber Mendonca Filho, Aquarius (2016)

La portata politica di questi film, siano essi drammi sociali, film d’autore o di genere, ha assunto maggiore rilevanza dopo l’ascesa al potere di Temer, seguita nel 2019 da quella di Bolsonaro. Il semplice fatto di trattare temi come la resistenza all’ideologia economica neoliberista, l’attivismo LGBT e le lotte dei senza terra oppone il cinema a un regime che in un paese martoriato dall’epidemia  continua a negare le verità dettate dalla storia e dalla scienza, col paradosso che a raccontare le diversità di una società in costante movimento sono proprio i film di finzione.

Negli anni della presidenza Lula, l’industria cinematografica brasiliana si era decentrata dalla tradizionale San Paolo e si era allargata ad altre regioni nelle quali erano state aperte scuole e laboratori. Anche se San Paolo offre ancora opere di gran valore come il luminoso ritratto della gioventù LGBT Corpo Electrico (Marcello Caetano, 2018) e il già citato As Boas Maneiras, il baricentro della produzione si e spostato a Nord Est.
Nello stato del Pernambuco, per esempio, Tiago Melo (fra i produttori di Aquarius e Bacurau) ha diretto l’opera prima Azougue Nazaré (2019) dove raccontava dei riti del carnevale maracatu rural contrapposti all’evangelismo sempre più imperante in tutti gli strati della società brasiliana. Mentre Kleber Mendonça Filho vi ha girato Aquarius e il suo primo lungometraggio, O Som Ao Redor (2012) nella capitale Recife.

Marcelo Caetano, Corpo Electrico (2017)

Stesso discorso vale per Fortaleza, dove sono emersi giovani autori come Guto Parente e Fernando Mouramateus. Parente si era fatto notare nel 2018 col dramma queer Inferninho (girato con Pedro Diogenes), dal vago sapore Fassbinder e dall’esplosivo The Cannibal Club (2019) dove i codici di genere raccontano una parabola satirica sulla corruzione del sistema politico brasiliano. Mouramateus invece, muovendosi tra il Portogallo e Fortaleza, ha raccontato la citta in vari cortometraggi tra i quali Mauro En Caiena (2012), e l’anno scorso ha ricevuto l’onore di una retrospettiva al festival di Rotterdam.

Sarà possibile mantenere questa vivacità con le politiche di Bolsonaro?
Il presidente brasiliano  ha già iniziato a smantellare il sistema che regge il cinema indipendente: ha minacciato di chiudere la Ancines, l’istituto pubblico di finanziamento per l’audiovisivo la cui cui sede è stata spostata da Rio de Janeiro a Brasilia, mentre la Cinemateca Brasileira è sull’orlo del collasso, con i film in archivio conservati in pessimo stato.
Si tratta di una chiara scelta di ordine ideologico e i film che trattano temi scomodi faranno fatica a essere finanziati. In un discorso di un anno fa Bolsonaro aveva ribadito l’intenzione di non finanziarie progetti “pornografici”, che non celebrassero  “la difesa dei valori familiari”, come invece fanno le patinate commedie prodotte del canale tv Rede Globo, promotore di un Brasile bianco, ricco ed eterosessuale.
In questo contesto il cinema alternativo diventa rivelatore e film come The Canibal Club e Bacurau, concepiti prima che Bolsonaro vincesse le elezioni, diventano profetici loro malgrado. Non c’e un’immagine più emblematica di questa per raccontare il Brasile odierno: una foto pubblicata dai Cahiers du cinéma in cui Sonia Braga, in piedi, osserva l’ambulatorio medico di Bacurau pieno di cadaveri. In uno stato maschilista che tratta un virus mortale come una comune influenza, che valore ha un film dove la protagonista incarna la scienza medica?

Con Bacurau, un immaginario villaggio nel sertão, gli autori hanno voluto raccontare di un Brasile multietnico, ecologista e all’occorrenza molto violento, minacciato da un gruppo di turisti americani che si dà come passatempo la caccia all’uomo.
Lo schema classico del genere western, buoni e cattivi, in questo caso viene snaturato, marcando la differenza tra film d’autore e polpettone politicamente corretto: i buoni hanno sì un gran senso della comunità, si prendono cura l’uno dell’altro e condividono le scarse risorse naturali a disposizione, ma sanno essere anche molto crudeli e allucinati.
C’è una netta volontà nei registi di offrire una narrativa diversa della violenza in Brasile, distante da quella raccontata dai successi degli anni Duemila come City of God (2002) e Tropa de Elite, che nel 2007 vinse addirittura l’Orso d’oro a Berlino. Non che i registi si discostino in maniera drastica da certe tradizioni nazionali – in Bacurau ci sono la musica di Caetano Veloso, la capoeira, e tutto un bagaglio cinematografico che va dalla leggendaria Sonia Braga al mito del cangaceiro, passando per i film horror della serie Zé do Caixão – ma lo fanno in maniera opposta. Attingendo all’efferato immaginario del nordeste brasiliano (su tutti l’iconica esposizione delle teste mozze della banda del leggendario bandito Lampião gia citato in O Som Ao Redor) la violenza cambia paradigma, da opprimente diventa liberatoria. Dopo il massacro gore, nell’aria rimane un appagante senso di giustizia sociale, sospeso tra favola morale e utopia possibile a cui registi come Meirelles e Padilha non ebbero il coraggio di ambire. In un slancio di immaginazione, la scena in cui tutti gli abitanti del villaggio si passano di mano in mano un bagaglio rappresenta il farsi carico di una tradizione così ricca da non potere essere contenuta solamente in un museo.

Kleber Mendonca Filho, O som ao Redor (2012)

Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles inoltre descrivono con precisione e in tutti i suoi vizi la crudeltà di una destra sadica, fascista e ipertecnologica: il classismo snob dei cittadini nei confronti dei provinciali e della loro cultura, l’isteria razzista che coglie gli anglofoni nel trovarsi di fronte a qualcuno che non parla la loro lingua e la sciatteria tragicomica dei politici locali.
L’estetica ibrida che richiama la grafica dei videogiochi di ruolo e di Youtube fa di Bacurau un film sui generis, un oggetto non meglio identificato nei cieli di un cinema sempre più contaminato e spurio, da anteporre a tutte le promesse di purezza offerte dal governo di Jair Bolsonaro e dalla sua propaganda.
Un cinema da cui partire per organizzare una resistenza che si preannuncia lunga e spietata contro un nemico che sta lasciando per strada una quantità enorme di bare, già che qualcuno inizia a parlare di genocidio. Un cinema in pericolo, che il pericolo sa raccontarlo bene e lo sa guardare in faccia, anche quando ha i begli occhi azzurri dell’attore Udo Kier.



Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139