Il presente contributo espone una ricerca su Ludwig Wittgenstein architetto: l’esperienza progettuale della casa per la sorella Margaret, conosciuta oggi come “Kundmanngasse” o “Wittgenstein Haus”, è un caso studio dell’architettura in quanto linguaggio, anche per la centralità della questione del gesto nell’interno architettonico della abitazione.
Il caso è singolare proprio perché ogni elemento è stato progettato pensando all’abitare della committente e alla sua micro-gestualità: il modo di muoversi in uno spazio e il modo di maneggiare gli oggetti è fondamentale nel pianificare la distribuzione degli ambienti. La cura per la Kundmanngasse è estesa a tutti i dettagli: la posizione dei radiatori e la loro forma, la posizione delle finestre, i disegni delle diverse maniglie sono tutti disegnati a partire dai gesti compiuti dalla committente della casa. Con l’attenta progettazione dello spazio e degli oggetti della quotidianità, Ludwig Wittgenstein mette in atto quell’architettura come discussione creativa tra soggetto umano e zona spaziale ampiamente discussa nel complesso periodo di passaggio tra Otto e Novecento. L’approccio architettonico wittgensteinano fa emergere la necessità dell’architetto di resistere alle tentazioni, così da svolgere un’attività progettuale che metta al centro il modo abitativo e la gestualità della committente.
Con questo intervento si vuole chiarire cosa significhi architettura come linguaggio, richiamando tanto la relazione tra spazio logico e spazio architettonico evidente nel Tractatus Logico-philosophicus tanto la questione del gioco – e quindi di regola – centrale nelle Ricerche Filosofiche. Conseguentemente, è agevole comprendere come tali regole siano proprie anche del linguaggio architettonico. Un fare che, soprattutto con Wittgenstein, smarca l’antropometria dall’essere una mera raccolta di statistiche in favore della corporeità e del vissuto di ogni spazio e ogni oggetto del quotidiano: nella fruizione dell’opera architettonica, il corpo resta elemento imprescindibile pur essendo visivamente assente.
1. I Wittgenstein e l’architettura
L’attività filosofica e la carriera architettonica di Ludwig Wittgenstein non vanno intese come due facce di una medaglia: la formazione ingegneristica[1] funziona da supporto nei suoi scritti filosofici così come il rigore del suo pensiero resta visibile nelle sue composizioni architettoniche. Le tracce del rapporto di Wittgenstein con l’architettura vanno ricercate in parte nella storia della sua facoltosa famiglia – dunque, da fruitore – e in parte nella sua personale biografia, soprattutto nel periodo di pausa tra le sue due opere Tractatus logico-philosophicus e Ricerche filosofiche, come progettista. Infatti, Wittgenstein partecipa alla problematica dello spazio e dell’abitare tanto nei suoi scritti quanto nella sua attività progettuale il cui momento più rappresentativo è la Kundmanngasse, la casa per sua sorella Margaret, a Vienna. La famiglia Wittgenstein ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti dell’architettura. Come ricostruisce Daniele Pisani nel suo testo su Wittgenstein architetto[2], Karl e Paul Wittgenstein, rispettivamente padre e zio di Ludwig, avevano eletto architetto di famiglia Josef Hoffman. Si tratta di un sodalizio destinato a durare fino alla generazione successiva. Altre tracce della importante presenza dell’architettura nella vita dei Wittgenstein sono da ricercare nei carteggi tra il filosofo e le due sorelle. Hermine scrive al fratello che l’arredamento è la sua distrazione preferita[3]; Margaret disegna arredi per la Wiener Werkstätte e ha idee molto precise sulle questioni di architettura – sulla bellezza dei materiali, ad esempio: «Se funzionalità + bel materiale fossero tutto! Se solo fossero qualcosa! Ma non sono nulla, sono meglio solo di funzionalità + cattivo materiale»[4].
Andando oltre le influenze del contesto famigliare, Wittgenstein, in qualità di insegnante, si è impegnato molto nel far partecipare i propri studenti a visite guidate presso monumenti prescelti.
Per quanto concerne l’attività progettuale, al momento della Kundmanngasse, il filosofo aveva già tre esperienze alle spalle: il progetto degli interni della casa dell’amico William Eccles, a Manchester; una baita a Skjoden poi abitata da lui stesso; la tomba di famiglia (affiancando l’architetto viennese Robert Örley).
2. Fenomenologia del luogo logico
Sebbene l’attività progettuale vera e propria di Wittgenstein si collochi cronologicamente nel periodo di pausa tra il Tractatus logico-philosophicus e le Ricerche Filosofiche, «sarebbe sbagliato […] considerare il decennio 1918-1928 come una sorta di mero intermezzo non filosofico nella vita di Wittgenstein»[5], così come sarebbe errato considerare l’interesse per lo spazio e la dimensione abitativa come circoscritto a un preciso progetto. Già nel Tractatus, Wittgenstein problematizza la spazialità dell’oggetto[6] e paragona l’espressione linguistica alla figura geometrica; nelle Ricerche Filosofiche afferma che l’oggetto della sua ricerca sono «i fenomeni di cui parliamo quotidianamente»[7] i quali non necessitano di una spiegazione poiché appartenenti all’ambito grammaticale del nostro linguaggio comune – definito fenomenologico o primario[8]– già provvisto di una propria grammatica[9].
Da quel momento, «i problemi si risolvono non già producendo nuove esperienze, bensì assestando ciò che da tempo ci è noto»[10] e sul piano linguistico avviene quel passaggio decisivo in cui «non c’è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non ci interessa»[11].
Tanto nel Tractatus logico-philosophicus quanto nei Quaderni che raccolgono annotazioni dal 1914 al 1916 emerge la compenetrazione di mondo filosofico e architettonico, poiché il mondo della logica e quello in cui si esplora lo spazio procedono di pari passo:
«Luogo spaziale e luogo logico concordano
nell’essere ambedue la possibilità di un’esistenza»[12]
Sebbene il legame tra lo spazio e la logica possa sembrare una sorta di coincidenza linguistica – Il filosofo si serve spesso di esempi di matrice architettonica per i suoi chiarimenti[13] – va precisato che la logica di Wittgenstein non si riferisce esclusivamente a relazioni concettuali ma include il relazionarsi dell’uomo con il mondo mediante proposizioni, proposizioni che spesso sono il ponte per l’immagine e per la verità – «La proposizione deve contenere (e così mostrare) la possibilità della sua verità. Ma non più che la possibilità»[14]. Inoltre, «proposizione e stato di cose stan l’una all’altro come il metro alla lunghezza da misurare»[15].
Le proposizioni come punto di partenza nell’indagine sull’abitare il mondo sono da contestualizzare in un pensiero, quello wittgensteiniano, dove etica ed estetica coincidono – l’immagine e la superficie non sono qualcosa di separato dal modo di comportarsi dell’uomo nel mondo. Infatti, le proiezioni delle proposizioni elementari sulla realtà vengono presentate come legate allo spazio e al movimento.
Pensa alla rappresentazione di fatti negativi, mediante modelli come: Così e così due treni non devono stare sui binari. La proposizione, l’immagine, il modello sono – nel senso negativo – come un corpo solido che restringe la libertà di movimento degli altri; nel senso positivo, come lo spazio, limitato da una sostanza solida, ove un corpo ha posto[16].
In Wittgenstein, la logica – una logica delle possibilità – risulta essere più che mai applicata e non slegata dal mondo: «La logica deve non collidere con la propria applicazione. Ma la logica deve essere in contatto con la propria applicazione»[17]. La logica rientra in un’indagine estetica in quanto immagine del mondo; un mondo i cui limiti corrispondono a quelli linguistici[18]. Tali premesse fanno sì che le architetture di Wittgenstein vengano ritenute una sorta di filosofia pratica, «la replica materiale del sistema semiotico del Tractatus»[19] come nel caso di Rentschler e Cometti, secondo cui la casa «potrebbe essere il primo passo nello sviluppo della filosofia di Wittgenstein dopo il Tractatus»[20], in accordo a una filosofia del come; una filosofia che si interroga non tanto sulla verità quanto sul significato[21] e con una logica del linguaggio che è riflesso del mondo[22]. Wittgenstein presenta un tipo di attività filosofica che ha molto in comune con quello che si svolge in architettura:
Il lavoro filosofico è propriamente – come spesso in architettura –
piuttosto un lavoro su sé stessi. Sul proprio modo di vedere.
Su come si vedono le cose (e su cosa si pretende da esse)[23]
«quando costruiamo case, parliamo e scriviamo»[24]. Sulla gestualità, comune denominatore tra progettista e fruitore, nel 1932 Wittgenstein scrive: «Ricordati dell’impressione che suscita la buona architettura, che è quella di esprimere un pensiero. Viene voglia addirittura di accompagnarla con un gesto»[25].
3. La casa come meccanismo: spazio logico e logica dello spazio
La corrispondenza tra spazio logico e logica dello spazio[26] si manifesta in modo decisivo nei percorsi della Kundmanngasse. Infatti, come studiato approfonditamente da Amendolagine in La casa di Wittgenstein, «l’interno della casa di W. è caratterizzato da percorsi che si possono definire “binari”; una fase esclusa durante il percorso è raggiungibile se e solo se si ripete il percorso, invertendo la scelta, cioè se si inverte il circuito»[27].
Ciò che emerge dagli studi di Amendolagine, oltre all’interpretazione del circuito dei percorsi come un sistema di dilemmi a loro volta regolati da rapporti logici[28], è la visione della casa come meccanismo logico – un meccanismo e non una macchina[29]. A differenza di Le Corbusier, totalmente affascinato dalla macchina[30] tanto da assumerla come modello estetico, Wittgenstein chiarisce i limiti di tale modello:
la macchina come simbolo del suo modo di funzionare:
la macchina – potrei dire a tutta prima – sembra già avere in sé il suo modo di funzionare. Che cosa significa ciò? – Conoscendo la macchina, sembra che tutto il resto, cioè il movimento che essa farà, siano già completamente determinati. Parliamo come se queste parti si potessero muovere solo così, come se non potessero far nulla di diverso[31]
In sostanza, per Amendolagine, l’aforisma edilizio di Wittgenstein[32] in progettazione è un modello matematico di traducibilità fra logica e mondo[33]. La lettura della Kundmanngasse come meccanismo logico ha una certa eco in studi successivi: Gravagnuolo sostiene che «Wittgenstein riduce anche l’interno ad un inesorabile meccanismo logico giocato su scelte binarie che il visitatore può comprendere lungo percorsi guidati»[34]; Distaso definisce la casa «un meccanismo sofisticato e armonico, le cui parti sono calcolate con estrema precisione e ineriscono le une alle altre come in un sistema[35]». Pisani, invece, rileva la necessità di una revisione della teoria di Amendolagine, poiché viene ascritto alla casa «un rigore logico assoluto, ergo ideale[36]». Sebbene gli studi di Amendolagine siano comprovabili osservando attentamente le planimetrie di riferimento, Pisani ha il merito di sollevare la necessità di considerare la dimensione accidentale connaturata all’abitare uno spazio. È senz’altro vero che le porte della Kundmanngasse non possono essere ridotte a deviatori di un sistema logico «perché ciò a cui adempiono non è solo una funzione»[37]. Proprio Pisani, infatti, propone un’analisi della Kundmanngasse fortemente legata alla dimensione del gesto quale pilastro del modo di fare architettura di Wittgenstein.
4. Architettura, un gioco linguistico
Nelle Ricerche Filosofiche, successive alla progettazione della Kundmanngasse e al suo ufficiale ritorno alla filosofia, i pensieri di Wittgenstein sono ancora più accostabili al mondo dell’architettura e delle problematiche dell’abitare, soprattutto se letti alla luce dell’architettura intesa come gioco linguistico; quanto sostenuto da Wittgenstein è inscrivibile nella teoria secondo cui «lo spazio interno è il protagonista dell’architettura, possiamo considerare in prima approssimazione questo come il ‘significato’ e lo spazio esterno […] come il ‘significante’»[38]. L’architettura viene intesa come linguaggio i cui metalinguaggi ne chiariscono il senso.
Nelle Ricerche, come nel Tractatus, è possibile individuare varie ridondanze terminologiche tra architettura e filosofia: le ricerche stesse sono definite schizzi paesistici. Pur trattandosi di scritti postumi alla sua esperienza da architetto, studiando le caratteristiche della Kundmanngasse, è possibile riconoscere alcuni principi descritti nelle Ricerche. Ma prima bisogna chiarire cosa intende Wittgenstein per gioco linguistico. Di primo acchito, «il giocare consiste nel muovere cose su una superficie, secondo certe regole»[39]. Poiché non c’è gioco senza regola, un altro elemento centrale tanto nel pensiero del filosofo che nella sua attività progettuale è quello di regola: una pratica da seguire che viene spesso messa in relazione con l’apprendimento di una tecnica. Sin da subito, le regole non sono uno schema rigido e verticale ma come un sistema le cui parti sono rimodulabili in caso di eccezione. Nel corso dell’esperienza progettuale di Wittgenstein, l’architettura come gioco linguistico viene sviluppata tramite l’applicazione di diverse regole all’interno della Kundmanngasse. La prima è accettare lo scopo di alcune condizioni adeguate alla committenza[40]. Significa considerare che la casa non è solo per Margaret ma anche per il consorte e per la servitù – ciò si traduce nella necessità che ognuno di loro abbia il proprio spazio (appartamento personale per i proprietari; seminterrato per la servitù). Sin dall’introduzione del concetto di regola, Wittgenstein introduce come connaturata ad essa la possibilità di eccettuarvi, dato il rischio di impigliarsi nel sistema[41]. Data la correlazione tra la regola e l’azione, è difficile non incappare in un paradosso: «una regola non può determinare alcun modo d’agire, poiché qualsiasi modo d’agire può essere messo d’accordo con la regola»[42].
Come nel caso del linguaggio e di qualsiasi tecnica, la regola viene imparata osservando e acquisendo abitudini socialmente comprovate; gioco e linguaggio sono analoghi e in entrambi è fondamentale l’uso:
seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istruzioni). Comprendere una proposizione significa comprendere un linguaggio; comprendere un linguaggio significa essere padroni di una tecnica[43]
Wittgenstein è filosofo del linguaggio quotidiano sia per la sua necessità di riferirsi al linguaggio di tutti i giorni, sia per la forte relazione tra teoria e pratica. Linguaggio e mondo sono in una relazione in cui di fatto il linguaggio significa il mondo, vuol dire il mondo, e di conseguenza, il mondo non è realmente autonomo né lo è la relazione assoluta tra di essi (l’identità): il mondo non è reale, ma non è autonomo, è identico nella forma logica con il linguaggio, cioè nell’ambito trascendentale della condizione di possibilità della corrispondenza[44].
Uno dei tanti casi in cui la filosofia diventa applicata è nel confronto con il linguaggio quotidiano, con gli usi e i gesti. Mentre nella dimensione mentale vi è una crisi poiché non c’è corporeità – «L’atteggiamento mentale non ‘accompagna’ la parola nello stesso senso in cui l’accompagna un gesto»[45] – in architettura, invece, l’applicazione è possibile proprio grazie alla concezione computazionale del linguaggio: «la concezione computazionale e meramente sintattica del linguaggio, inteso appunto come calcolo […] opera la svolta verso la concezione del linguaggio come prassi, uso, applicazione»[46]
La quotidianità, soprattutto se declinata nella gestualità, ha trovato spazio in modo costante nei pensieri di Wittgenstein. Riprendendo la questione dell’apprendimento del linguaggio, il gesto è ancora più forte della parola (che ne è sostitutiva): una cosa straordinariamente importante nell’insegnamento è l’esagerazione dei gesti, dell’espressione del volto. La parola viene insegnata come sostituto di un’espressione del volto o di un gesto. […] Che cosa fa, di una parola, una interiezione di assenso? (Il bambino capisce i gesti che usi nell’insegnargli qualcosa. Se così non fosse, non capirebbe nulla). È il gioco in cui appare (la parola) non la forma[47].
Il gesto – spesso presente anche negli scritti sulla musica[48] – è anch’esso un fatto culturale. La considerazione del movimento e di tutte le sue possibilità[49] rientra nell’indagine grammaticale prima introdotta poiché si è alle prese con «movenze grammaticali»[50]. La grammatica della gestualità fa sì che il metro dica qualcosa di più che una misura, avvicinandosi a una dimensione corporea, vitale[51]. Logica non è sinonimo di rigore imprescindibile ma di ordine, ordine di possibilità[52]. È a questo punto che l’attività filosofica si avvicina ancora di più all’immagine in movimento – all’azione[53] – e alla possibilità dei fenomeni. In tal senso, Pisani ha ragione nell’affermare che la casa di Wittgenstein non può essere solo rigore logico, considerando Wittgenstein stesso attento alla possibilità: «è come se dovessimo guardare attraverso i fenomeni: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni, ma, si potrebbe dire, alle ‘possibilità’ dei fenomeni. Richiamiamo alla mente, cioè, il tipo di enunciati che facciamo intorno ai fenomeni»[54]. Infatti, ciò che confonde chi si interfaccia con l’opera architettonica wittgensteiniana è proprio la mancanza di una griglia onnipervasiva[55]. Ciò è dovuto al fatto che la casa non è disegnata in base a un gioco geometrico ma è fortemente influenzata dalla dimensione abitativa, dalla gestualità, dalle attività quotidiane. La sua attività progettuale tiene fortemente in considerazione non solo il gusto della committente ma anche il suo modo di muoversi nello spazio e di maneggiare gli arredi. Come sottolinea Pisani, per esigenze della committente bisogna «intenderne abitudini, usi, modi di fare, che sfuggono alla descrizione e, ancor prima, alla definizione dei loro elementi costitutivi, della loro connessione e del loro peso reciproco: sono fatti di gesti»[56]. Impegnandosi nell’essere un buon architetto, Wittgenstein progetta uno spazio adibito ad accogliere gli oggetti di gradimento dell’inquilino che possa «fare da sfondo alle passioni senza interloquire»[57]. Ciò è evidente anche nei radiatori, utilizzati anche per scopi differenti dal riscaldare l’ambiente:
Io ricordo, per esempio, due piccoli, scuri radiatori di ghisa, che stavano in due opposti angoli di una piccola stanza; già alla simmetria dei due neri oggetti della chiara stanza di un sentimento di benessere! Gli stessi radiatori sono così effetti nelle misure e nella loro precisa, liscia, slanciata forma che non sorprendeva se Gretl, ad eccezione del periodo di riscaldamento, li utilizzava quale sostegno per uno dei suoi begli oggetti[58]
Wittgenstein disegna uno sfondo così essenziale da non prevedere alcuna modanatura, oppure soglie e battiscopa[59]. Tale discrezione nell’agire è riconducibile a quel pensiero di Wittgenstein secondo cui «la differenza fra un buon architetto e un cattivo architetto consiste oggi nel fatto che quest’ultimo soccombe a ogni tentazione, mentre l’altro le resiste»[60]. Nel progetto della Kundmanngasse l’importanza della gestualità viene applicata soprattutto per il piano nobile, abitato dalla sorella: il guardaroba viene sopraelevato per evitare che le porte si aprano sul tappeto e il morsetto per fissare il battente all’interno delle portefinestre a quello esterno viene disegno pensando al gesto che la mano deve compiere, facendo sì che i disegni dipendano dai gesti. Sebbene la Kundmanngasse sia stata praticamente modellata su usi e abitudini di Margaret, la casa resta un’opera da studiare come prassi in architettura di un pensiero permeato dall’incomprensibile chiarezza.
[1] Presso la Technische Hochschule di Berlin-Charlottenburg; la Kite Flying Upper Atmoshpere Station di Glossop e la facoltà di ingegneria di Manchester.
[2] D. Pisani, L’architettura è un gesto. Ludwig Wittgenstein architetto, Quodlibet, Macerata, 2011.
[3] L. Wittgenstein, Vostro fratello Ludwig. Lettere alla famiglia 1908-1951(1999), [trad. di G. Rovagnati] Archinto, Milano, 1998, p. 60.
[4] U. Prokop Margaret Stonborough-Wittgenstein, Bohlau, Wien, 2003.
[5] L. Perissinotto, Wittgenstein. Una guida, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 64.
[6] L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916 (1921), [trad. di A. G. Conte], Einaudi, Torino, 1974, proposizione n. 2.0121, p.26. Inoltre, Wittgenstein connota gli oggetti come provvisti di colore (cromaticità) oltre che di spazio e tempo. Si veda la proposizione n. 2.0251, p. 28.
[7] L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche (1953), [trad. di M. Trinchero], Torino, Einaudi, 2004, p. 108.
[8] L. Perissinotto, cit., p. 79.
[9] F. De Waal, Ludwig Wittgenstein e il Circolo di Vienna. Colloqui annotati da Friedrich Waismann [1929-1932], [trad. di L. Perissiotto], a Nuova Italia, Firenze, 1975, p. 172.
[10] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit. p.58.
[11] Ivi, p. 61.
[12] L. Wittgenstein, Quaderni 1914-1916 in Tractatus Logico-Philosohicus e Quaderni 1914-1916, cit., p. 160.
[13] «Parti costitutive e complesso sembrano affini e opposti! (Come la pianta di una città e la carta di una regione, che ci stan davanti in eguale grandezza e diversa scala.)». Ivi, p. 193.
[14] Ivi, p. 147.
[15] Ivi, p. 165.
[16] Ivi, p. 163.
[17] Ivi. p. 89.
[18] Si veda Ibidem.
[19] F. Rentschler, Das Haus Wittgensetin: eine morphologische Interpretation, in Wien. Kundmanngasse 19. Bauplanerische, morphologische un philosophische Aspekte des Wittegnstein-Hauses, W. Fink, Monaco, 1982, p.145.
[20] J.P. Cometti, La maison de Wittgenstein ou les voies de l’ordinaire, Presses univesitaires de France, Paris, 1998, p. 39.
[21] Si veda L. Wittgenstein, Pensieri Diversi, cit., p. 17.
[22] «La proposizione può essere vera o falsa solo in quanto immagine della realtà». L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, cit., proposizione numero 4.06, p. 25.
[23] L. Wittgenstein, Pensieri diversi, cit., p. 43.
[24] Ivi, p. 55. Altro punto in comune tra l’attività filosofica e quella ingegneristica di Wittgenstein è la continua messa in discussione quanto già scritto e progettato.
[25] L. Wittgenstein, Pensieri Diversi, cit., p. 53.
[26] «La concretizzazione tridimensionale del concetto di spazio logico […] si può esprimere con i diagrammi di Venn». Inoltre, «poiché tutti i diagrammi di Venn sono riportabili a una formula logica binaria, è possibile ripassare dallo spazio logico alla logica dello spazio». M. Cacciari, F. Amendolagine, OIKOS da Loos a Wittgenstein, Officina Edizioni, Roma, 1975, p. 85.
[27] Ivi, p 86.
[28] «Tutto il circuito dei percorsi della zona adibita a living è un sistema di “dilemmi”. Si tratta di percorsi che si concludono; i corpi non sono tra loro inter relazionati. Il rapporto fra questo sistema di percorsi e l’aggregazione volumetrica è ancora un rapporto logico». Ibidem.
[29] «Possiamo dunque considerare la casa come concepita secondo un meccanismo logico. Meccanismo e non macchina. Circuito e non meccanica». Ivi, p. 88.
[30] «La macchina risplende davanti a noi con dischi, sfere, cilindri di acciaio levigato, tagliato on una precisione teorica ed una esattezza che la natura non ci aveva mai fatto vedere». Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica (1946) [trad. di G. Scattone], Laterza, Bari, 1991, p. 91.
[31] L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit, pp. 91-92.
[32] F. Amendolagine, cit., p. 100.
[33] Ibidem.
[34]B.Gravagnuolo, Adolf Loos. Teoria e opere, Idea books, Milano, 1981, p. 82.
[35] L.V. Distaso, Lo sguardo dell’essere, Carocci, Roma, 2002, p. 134.
[36] D. Pisani, cit. p. 86.
[37] Ivi, p. 86.
[38] R. De Fusco, Segni, storia e progetto dell’architettura, Laterza, Bari, 1978, p. 30.
[39] Ivi, p. 8.
[40] Fonte: Ivi, p. 92.
[41] «Il fatto fondamentale, qui, è che noi fissiamo certe regole, una tecnica per un giuoco, e poi, quando seguiamo le regole le cose non vanno come avevamo supposto. Che dunque ci impigliamo, per così dire, nelle nostre proprie regole». L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit., p. 61.
[42] Ivi, p. 96.
[43] Ivi, p. 95.
[44] L.V. Distaso, Estetica e differenza in Wittgenstein, cit., p. 21.
[45] Ivi, p. 197.
[46] A. Gargani, Introduzione a Wittgenstein, Laterza, Bari, 1973, p. 10.
[47] L. Wittgenstein, Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa [trad. it. a cura di M. Ranchetti] Adelphi, Torino,1967, p. 55.
[48] «Questa frase musicale per me è un gesto». L. Wittgenstein, Pensieri Diversi, cit., p.138.
[49] L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit., p. 92.
[50] Ivi, p. 141.
[51] «Applica un metro a questo corpo; esso non dice che l’oggetto è della tal lunghezza. Anzi – direi – il metro in sé stesso è una cosa morta, e non riesce a fare nulla di ciò che fa il pensiero». Ibidem.
[52] L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit. p. 54.
[53] «Si direbbe che un comando è un’immagine dell’azione che è stata compiuta in conformità al comando; ma anche che è un ‘immagine dell’azione che si deve compiere obbedendo al comando». L. Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, cit., p. 165.
[54] Ivi, p. 52.
[55] «Non esiste una griglia onnipervasiva. Non vi è nemmeno alcuna illusione a un sistema proporzionale che connetta l’intero edificio. Vi sono, però, numerose trame di misure, che producono l’equilibrio e l’armonia auspicati» B. Leitner, Das Wittgenstein Haus, Hatje Cantz, Ostfildern-Ruit, 2000, p. 48.
[56] D. Pisani, cit., p. 223.
[57] L. Wittgenstein, Pensieri diversi, cit., p.22.
[58] H. Wittgenstein, cit., p.113.
[59] D. Pisani, cit., p. 150.
[60] L. Wittgenstein, Pensieri diversi, cit., p. 22.