Una possibilità per una maggiore giustizia sociale?
La pandemia del Covid-19 ha causato una devastante crisi economica e sociale, che peggiora diseguaglianze e povertà. Forse per reazione, stiamo assistendo a mobilitazioni e crescenti domande di interventi pubblici volti a mitigare, se non a risolvere, le pesanti conseguenze socio-economiche che si stanno profilando. Pur nella sua drammaticità, questo momento potrebbe avere un potenziale trasformativo e stimolare un dibattito per una maggiore e durevole giustizia sociale che coinvolga una pluralità di ambiti. Questa riflessione può estendersi anche ai diritti LGBT+, aspetto che ora può apparire meno centrale, ma che una discussione sulla giustizia sociale non può ignorare, soprattutto in considerazione della maggiore deprivazione, diseguaglianza e povertà di cui le persone queer soffrono.[1]
In effetti, potremmo essere in presenza di un’occasione preziosa, forse irripetibile, per orientare la tutela dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale lungo assi di redistribuzione. Si andrebbe così ad intervenire su un aspetto dell’attivismo LGBT+ mainstream, cui già sono state rivolte molte critiche proprio per aver prestato grandi sforzi per ottenere un riconoscimento culturale, ignorando le disperate necessità redistributive di larga parte della popolazione gay, lesbica, bi, e trans*. Le circostanze attuali, infatti, confermano l’inadeguatezza di un attivismo focalizzato esclusivamente sull’eguaglianza sulla sfera domestica e sul consumo – cioè, per usare la categoria coniata da Lisa Duggan, l’inadeguatezza di una politica omonormativa. Appare urgente, proprio in ragione della criticità che stiamo vivendo, tutelare anche quella parte delle persone LGBT+ socialmente meno privilegiata, i cui bisogni non si esauriscono con i diritti civili ma che necessita anche di diritti sociali. Il momento è quindi propizio per seguire le linee del femminismo socialista, e aspirare a dei diritti LGBT+ per “il 99%”, parafrasando il lavoro di Cinzia Arruzza, Thithy Bhattacharya, e Nancy Fraser.
Assistiamo già a mobilitazioni in questo senso, proprio a conferma che un cambiamento dell’attivismo LGBT+ è necessario. In primis, questo si sta verificando per i lavoratori e lavoratrici del sesso. Un esempio è l’appello dell’attivista Pia Covre, già fondatrice con Carla Corso negli anni Ottanta del Comitato per i Diritti Civili per le Prostitute (CDCP).[2] La drastica riduzione del reddito che “la chiusura o l’inaccessibilità di spazi di lavoro” ha determinato per le lavoratrici e i lavoratori del sesso ne ha acuito la particolare vulnerabilità. Ne sono emerse necessità specifiche che, ora più che mai, motivano una domanda di tutela diretta alle autorità pubbliche. Una domanda di tutela, occorre specificare, che va ben oltre la regolarizzazione (che, al momento, in Italia manca), ma include misure di welfare mirate come forme di sostegno al reddito, e la regolarizzazione delle persone migranti. Il tema, ovviamente, interessa – o dovrebbe interessare – anche un movimento LGBT+ attento alle necessità delle sue fasce più vulnerabili. Come ha recentemente sottolineato Porpora Marcasciano,[3] figura storica del movimento trans italiano e presidente del celebre Movimento Identità Trans (Mit), la battaglia per i diritti delle sexworkers ha un ruolo importante, addirittura centrale, nel movimento per i diritti delle persone trans. Il Mit stesso ha storicamente dato un contributo fondamentale in questa direzione, riuscendo “a capovolgere la situazione [di stigma per il sex work] e a costruire servizi e buone pratiche che sono diventate modello in tutta Europa”. In ragione della specificità del momento, una maggiore consapevolezza del movimento LGBT+ per i diritti delle persone che lavorano nel sesso appare non solo opportuna – dopo tutto, riguarda direttamente una parte delle persone LGBT+ – ma anche e soprattutto un’occasione utile per una riflessione critica sulle priorità e battaglie che la mobilitazione mainstream ha abbracciato.
Un altro spunto per la riflessione è poi quello della violenza domestica. Viviamo in momento in cui, purtroppo, gli allarmi circa una recrudescenza di questo fenomeno si stanno facendo sempre più frequenti.[4] Nonostante, al momento, gli studi accademici sulla correlazione tra pandemia (e lockdown) e il fenomeno della violenza domestica manchino, i campanelli d’allarme non mancano affatto. La protratta convivenza, l’impossibilità di recarsi al di fuori delle mura domestiche se non per poche, limitate, attività, sono tutti fattori che potenzialmente contribuiscono all’abuso famigliare. In questa situazione di controllo aumentato, le possibilità di fuga – o anche solo di chiedere aiuto – paiono diminuire, come il sospetto calo delle chiamate ai numeri anti-violenza suggerisce.[5] Traendo ispirazione da questi allarmi, ci possiamo chiedere quale possa essere non solo l’esperienza delle donne, ma, in generale, delle persone queer limitate tra mura domestiche, sovente in compagnia di famigliari omotransfobici,[6] e possiamo chiederci di quali interventi possano necessitare (centri antiviolenza? Case protette? Supporto economico per sfuggire a situazioni oppressive?). Nonostante, al momento, non ci siano evidenze in materia, alcuni attivisti hanno segnalato il problema, circostanza valida, se non per offrire una risposta, quantomeno per fare fiorire una domanda. I diritti civili, la cui importanza culturale nel lungo periodo potrebbe effettivamente contribuire a prevenire il fenomeno della violenza, non sembrano fornire, però, nell’immediato, un rimedio a chi si possa trovare in grave difficoltà.
Peraltro, il fenomeno della violenza domestica contro le persone LGBT+ è direttamente correlato alla necessità di interventi per la tutela delle persone senza fissa dimora, che, ai tempi della pandemia, appaiono in estrema difficoltà. Tra i vari appelli, Amnesty International, in una nota del 5 aprile 2020,[7] sottolineava la situazione di precarietà che le persone senza fissa dimora si trovano a dover fronteggiare. Come negli altri esempi, anche questo può essere un ambito di lavoro per un movimento meno omonormativo. Come è stato recentemente rilevato da una ricerca focalizzata nel Regno Unito, le persone LGBT+ sono sovra-rappresentate all’interno delle comunità di persone senza fissa dimora.[8] Un recente report dell’associazione True Colors United, ONG specializzata in materia, suggerisce che una percentuale variabile tra il 20% e 40% dei giovani che vivono per strada si identifichi appunto come LGBT+.[9] Ricerche simili mancano per il panorama italiano. Senza pretesa di volere trarre conclusioni inappropriate, è però interessante notare come il progetto To Housing, che, a Torino, si propone di offrire una casa alle persone LGBT+, è risultato particolarmente utile, esaurendo i posti a disposizione entro dieci mesi dall’apertura.[10]In conclusione, queste mobilitazioni offrono al movimento LGBT+ una possibilità di associazione e alleanza, per ripensare le proprie priorità e insistere per la tutela di quella parte della comunità queer che ha bisogno di welfare e protezione dalla violenza. Appare poi altrettanto chiaro che il momento per alleanze trasversali tra diversi movimenti sociali è quanto mai proficuo. Come questi brevi esempi sembrano suggerire, le possibilità per la costruzione di un movimento ampio, che includa una molteplicità di realtà in forma coalizzata, appare davvero alla portata di mano. Alleanze tra associazioni per i diritti delle donne, dei migranti, delle persone carcerate, senza casa, dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, e, ovviamente, delle persone LGBT+ sembrano effettivamente valorizzati in questo momento storico. Oltretutto, visti i crescenti argomenti che vedono lo sviluppo e la diffusione di questa pandemia anche come risultato di un modello di sviluppo non sostenibile, incapace di rispettare il pianeta che abitiamo, pare che un’alleanza anche con i movimenti ecologisti sia maggiormente concretizzabile. E questi non sono che pochi esempi, presentati in ordine sparso. Tuttavia, basta scorrere un semplice quotidiano per cogliere come le domande LGBT+ possano, in questo particolare momento, andare ad intersecarsi con molte altre istanze sociali. Forse mai come prima d’oggi, un movimento LGBT+ de-politicizzato, addomesticato, focalizzato solamente sul consumo e sull’eguaglianza – senza dubbio dovuta, ma certamente insufficiente – all’interno del diritto di famiglia ha dimostrato tutta la sua insipienza. E mai come prima d’ora l’occasione per portare i diritti LGBT+ al centro di un discorso più ampio di giustizia sociale, per una reale e sostanziale eguaglianza, è parsa a portata di mano.
[1] https://williamsinstitute.law.ucla.edu/wp-content/uploads/National-LGBT-Poverty-Oct-2019.pdf
[2] https://www.certidiritti.org/2020/03/29/coronavirus-nessuno-resti-indietro-compresi-i-sex-worker-appello-a-parlamento-e-governo/.
[3] http://www.gaynews.it/2020/04/10/covid-19-marcasciano-mondo-fermato-riflettere-necessario-pensare-modelli-lgbt/?fbclid=IwAR0lSlk8jJp4Tejy3vPdryRRwD42ZKvsdkoACJh0kbcY-8xFRuJ8kGtkNws
[4] https://www.bbc.com/news/world-asia-51705199.
[5]https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2020/03/26/news/covid_19_e_violenza_sulle_donne_le_richieste_di_pangea_reama_udi_e_telefono_rosa-252368044/?ref=search
[6] https://medium.com/@matteo.winkler/isolationormativity-social-distancing-as-the-new-normal-aff72744d713
[7] https://www.amnesty.it/emergenza-covid-19-garantire-salute-e-alloggio-alle-persone-senza-fissa-dimora-a-roma/.
[8] https://www.theproudtrust.org/wp-content/uploads/download-manager-files/AlbertKennedy_ResearchReport_Youth-Homelessness.pdf
[9] https://truecolorsunited.org/wp-content/uploads/2020/01/LGBTQ-Youth-Homelessness-Research-Agenda-_-Final.pdf
[10] https://www.gaypost.it/to-housing-torino-accoglienza-lgbt-senza-casa