Il 19 aprile 2009, all’età di 79 anni, moriva nella “sua” Shepperton James Graham Ballard, uno dei più versatili e visionari scrittori inglesi del Novecento. Autore di capolavori come Crash, L’impero del sole, La mostra delle atrocità e Il condominio, Ballard è riuscito a spaziare tra fantascienza, cyberpunk e potmodernismo senza mai rimanere intrappolato in una precisa etichetta letteraria. Oggi più che mai viene da chiedersi che cosa ne penserebbe della situazione che stiamo vivendo in queste settimane.
Abbiamo girato la domanda a Sandro Moiso, uno dei pochi giornalisti italiani a essere riuscito a incontrare di persona lo scrittore. L’intervista, che ebbe luogo nel 1992 in occasione del Noir Film Festival e che per anni è rimasta inedita, è stata da poco riproposta in un’edizione multilingue (italiano e inglese) nel volume All that Mattered was Sensation (Krisis Publishing, 2019).
Quasi trent’anni dopo la sua realizzazione, nel 1992, è stata pubblicata un’intervista di James Ballard rimasta inedita fino a ora. Poco più di un mese dopo la sua pubblicazione, per i tipi di Krisis Publishing[1], è iniziata da Wuhan un’epidemia che, dopo esser giunta rapidamente nel Nord Italia, si è trasformata in una pandemia planetaria. Con l’effetto di trasformare, anche e forse soprattutto sul piano dell’immaginario, il Coronavirus o Covid-19 in una sorta di fantasma devastatore dell’intera società umana.
La combinazione, pubblicazione di un’intervista che ripercorre l’intera carriera letteraria dello scrittore inglese e sviluppo del contagio dipendente dal virus su scala mondiale, è certamente casuale, ma allo stesso tempo stimola chi, come me, da anni già rifletteva sull’autore ed esploratore dell’inner space più profondo a cogliere ulteriori aspetti di un’opera letteraria che, ormai uscita dal mero ambito di genere, si presenta come una delle più visionarie e. proprio per questo, più anticipatrici del XX secolo.
L’unico altro autore paragonabile a Ballard, nel corso del secolo appena trascorso, può essere soltanto Franz Kafka, anche lui grande anticipatore dei drammi del secolo e indagatore degli incubi più profondi della psiche umana e dei sui infiniti spazi onirici.
Entrambi, con stili e temi narrativi apparentemente molto differenti tra di loro, sembrano essere stati infatti gli unici a cogliere quell’autentico clima di psychic warfare in cui gli individui atomizzati, separati e frustrati della società moderna sono immersi.
Per i due autori non si tratta di dar vita al raffinato romanzo psicologico borghese in cui si esaminano sentimenti, passioni e delusioni all’interno di un quadro in cui il mostruoso è relegato a eccezione e la sofferenza è elevata a motivo di riflessione ed elevazione intellettuale e etica.
No, per entrambi, dall’uomo-scarafaggio di Kafka ai voyeurs degli incidenti d’auto e dell’erotismo portato all’interno di questi dalle posizioni dei corpi e dal loro infrangersi sul metallo, i vetri e l’asfalto[2], fanno del mostruoso la categoria dominante della psiche dell’individuo moderno.
Con una differenza fondamentale, però: mentre per Kafka il mostruoso che anima la psiche è sintomi dell’impotenza e della sconfitta dell’individuo, in altre parole l’anima di una coscienza che sa di esser votata alla disillusione e alla sconfitta, per Ballard il mostruoso, l’alterazione della coscienza e la deviazione possono rappresentare l’unica via di fuga e di realizzazione individuale in una società che dirige tutto, ma senza sapere dove è diretta.
Non solo, mentre nel primo il mostruoso penetra la psiche degli individui nel confronto con le strutture patriarcali della famiglia e del lavoro, oltre che per il tramite dello Stato moderno e della sua struttura burocratizzata, anonima e spersonalizzante, in Ballard la psiche dell’individuo è stimolata in continuazione, senza requie e ben al di là, o al di qua, delle strutture sociali più rigide.
Come afferma nell’intervista del 1992:
“Ho scritto Crash nel 1973, credo sia stato il libro più importante per me e per la mia carriera. Crash rappresenta una sintesi di tutte le mie idee sul modo in cui la tecnologia sta influenzando e cambiando la nostra immaginazione. Anche su un piano etico, mi sembra che la tecnologia, la tecnologia moderna, stia cambiando le basi morali delle nostre vite. Infatti la tecnologia, in particolare nella forma della televisione, ci permette di separare noi stessi dalla sfera dei nostri sentimenti. Possiamo guardare un servizio sulla Guerra del Golfo o sulla guerra del Vietnam, e assistere a degli eventi terribili. Ma vediamo tutto ciò stando seduti nei nostri salotti, in un’immagine nell’angolo del nostro normale spazio domestico. E la nostra partecipazione emotiva, i nostri sentimenti umani, non vengono coinvolti come lo sarebbero se fossimo realmente presenti a quegli eventi. Ho l’impressione che durante gli anni Sessanta, in particolare durante la guerra del Vietnam, una certa forma di alienazione si stava diffondendo grazie alla tecnologia moderna e alla televisione. Alla fine di quel decennio, l’unica cosa importante era destare scalpore. Era l’unica cosa che contava. Era come dare una scossa elettrica alla gamba di una rana. Non importa se la rana è viva o morta. Se le dai una scossa, la gamba scalcia. E tutto ciò che volevamo alla fine degli anni Sessanta era quel calcio. Significava che l’empatia umana aveva iniziato a morire”[3].
Gli stimoli per la psiche non provengono, nella società descritta dall’autore inglese, però soltanto dalla tecnologia dei media, ma da messaggi, tutt’altro che subliminali, che la martellano incessantemente, portando ad un autentico stravolgimento della percezione della realtà.
“In qualche modo, è difficile definire dove sia il confine tra sogno e realtà. Credo lo sia ancora di più nel nostro mondo moderno, dove l’ambiente esterno in cui tutti viviamo, ciò che siamo abituati a chiamare realtà, oggi è una fantasia creata dai mass media, dai film, dalla televisione, dalla pubblicità, dalla politica – che ormai non è altro che un ramo della pubblicità. Ho detto più volte che oggi stiamo vivendo all’interno di un enorme romanzo, come personaggi dentro una storia immensa. È molto difficile dire cosa sia la realtà. Un campo d’erba che cresce ai bordi di un’autostrada è più reale della pubblicità dell’ultimo film di Arnold Schwarzenegger? Quale dei due è la realtà? Io direi che la pubblicità di Schwarzenegger è più reale di un campo d’erba che cresce. Schwarzenegger rappresenta le più grandi mitologie commerciali della fine del XX secolo. Tristemente l’erba potrebbe morire domani a causa dello smog o dei gas emessi dalle macchine che passano lungo la strada. Questa differenza tra realtà e sogno è molto difficile da analizzare e, in diversi modi, il sogno è la nostra realtà. È più sensato pensare che i nostri sogni siano reali.”[4]
È proprio in questa autentica giungla di messaggi, immagini, sogni proposti in continuazione e senza tregua che la psiche moderna, l’inner space esplorato da Ballard, vede nascere i propri mostri. Impossibile a questo punto non pensare a un altro grande e spesso frainteso profeta della modernità, Friedrich Nietzche, e al suo aforisma più conosciuta: “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. Ma quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda (entra) dentro”.
Da questo punto di vista, si potrebbe dire che nelle opere dello scrittore inglese il mostruoso che può essere in ognuno di noi è più vicino ai mostri del Surrealismo (rivendicato dallo scrittore stesso come fonte di ispirazione primaria) e di Bataille, in cui il mostro risponde alla definizione di una figura mitologica che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale, ma che non per ciò deve essere obbligatoriamente paurosa e pericolosa se non per l’ordine esistente.
Figura e metafora più della liberazione che della sconfitta. Come ha contribuito a dimostrare un altro celebre autore inglese contemporaneo, Clive Barker, con i suoi romanzi e racconti dell’orrore[5].
Mostri psichici, non si tratta mai infatti di trasformazioni fisiche per gli anti-eroi ballardiani, che si adattano al clima circostante (sociale o naturale che sia) e da questo cercano di trarre più che un vantaggio di prestigio, economico o di potere, una soddisfazione individuale o collettiva.
Appagata nel momento in cui sono attivate le strategie per raggiungere tale obiettivo.
Sia che si tratti dei personaggi che animano la prima quadrilogia ballardiana degli elementi[6], sia di quelli che intervengono in quelli degli anni Novanta e Duemila in cui è la rivolta della piccola e media borghesia, che vive nell’infinita suburbia dell’Occidente attuale[7], a occupare il posto d’onore.
Sia attraverso l’omicidio che il vandalismo o la rivolta collettiva. In fin dei conti non importa, poiché ciò che conta è la liberazione di una potenzialità prima sconosciuta agli stessi artefici di quegli atti. Comunque e sempre liberatori.
“Molte persone che leggono i miei romanzi e racconti credono che io tenda a portare i miei personaggi al punto in cui devono in un certo senso abbandonarsi ai loro sogni o alle loro mitologie. Ora, mi sembra che questo sia il modo con cui in questa vita troviamo la nostra realizzazione. Magari non la felicità, ma la realizzazione. Dobbiamo capire quali sono le nostre ossessioni più profonde, e poi costruire una nostra mitologia personale che le incorpori. E poi dobbiamo inseguire quella mitologia, quelle ossessioni, fino al loro punto finale, al limite, all’estremo. In quel modo troviamo la realizzazione. In un certo senso, tutti i miei romanzi parlano di uomini che hanno inseguito i loro sogni fino all’estremo. Questo è il loro destino.”[8]
Oggi, mentre il Covid-19 impazza e la propaganda politico- mediatica dei governi ci indica i mostri che escono di casa sfidando l’autorità, trasformandoli in untori, senza quasi mai ricordarsi di coloro che ci chiedono di sacrificarci per il bene pubblico e della Nazione andando a lavorare comunque per poi rinchiuderci in una sorta di segregazione condivisa, la lettura di James Ballard può rivelarsi davvero utile e insegnarci a cogliere l’occasione. Come impara a fare quel ragazzino, alter ego dello scrittore da giovane, imprigionato dai giapponesi in un campo di concentramento che sta al centro di quel suo bellissimo romanzo, quasi autobiografico, intitolato L’impero del sole[9].
Oppure qualsiasi altro suo non-eroe, come Kerans in Drowned World.
“Semiaddormentato, Kerans rimase appoggiato all’indietro ripensando agli avvenimenti degli anni passati che erano culminati con il loro arrivo alle lagune centrali e che lo avevano lanciato verso la sua odissea neuronica, a Strangman e ai suoi pazzi alligatori e infine […] a Beatrice e al suo sorriso. Alla fine, si legò di nuovo la gruccia alla gamba e, con il calcio della 45 ormai senza munizioni, incise un messaggio sul muro sotto la finestra, sicuro che nessuno l’avrebbe mai letto.
«Ventisettesimo giorno. Mi sono riposato e vado a sud…Tutto bene. Kerans.»
Così se ne andò dalla laguna e rientrò nella giungla. Seguendo le lagune verso sud in mezzo alla pioggia e al calore crescenti, attaccato da alligatori e da pipistrelli giganti, un secono Adamo alla ricerca dei paradisi perduti del sole rinato.”[10]
[1]James Ballard, All that Mattered was Sensation (Krisis Publishing, Brescia 2019, pag. 210, 20 €). Testo bilingue con intervista e prefazione di Sandro Moiso e un saggio critico di Simon Reynolds.
[2] J.G. Ballard, Crash (1973, Rizzoli 1990)
[3] J.G. Ballard, All that Mattered was Sensation (pp. 30-31)
[4] J.G. Ballard, op. cit. pp. 37-38
[5] vedi Clive Barker, Cabal (1988, Sonzogno 1989)
[6] J.G. Ballard, Vento dal nulla (The Wind from Nowhere, 1962), Deserto d’acqua o Mondo sommerso (Drowned World, 1962), Terra bruciata (The Burning World, 1965) e Foresta di cristallo (The Cristal World, 1966)
[7] J.G. Ballard, Un gioco da bambini (Running Wild, 1988), Cocaine Nights (1996), Super Cannes (2000) o Millennium People (2003)
[8] J.G. Ballard, All That Mattered Was Sensation, pp. 36-37
[9] J.G. Ballard, L’impero del sole (Empire of the Sun, 1984, Feltrinelli 2006)
[10] J.G. Ballard, Deserto d’acqua (Mondadori 1986, pp.237-238)