Immaginario ed elettromagnetismo: il tramonto della spazialità prospettica

Pubblichiamo un articolo di Gioacchino Toni e Gianluca Ruggerini, co-autori dei recenti volumi Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età moderna (Odoya, 2019) Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età contemporanea (Odoya, 2020), nei quali vengono passati in rassegna gli stili che hanno caratterizzato le epoche attraverso una trattazione incentrata sulle principali esperienze artistiche, con inserti dedicati al costume volti a restituire il quadro dei periodi indagati in termini di immaginario collettivo, moda e abbigliamento, orientamenti di gusto e comportamenti sociali.

Conseguenza diretta della Rivoluzione industriale, l’Età contemporanea impone da subito una radicale revisione dei precedenti, consolidati statuti culturali.
Sotto il peso delle nuove scoperte e adozioni tecnico-scientifiche, già a partire dall’ultimo trentennio dell’Ottocento, la Stagione moderna aveva evidenziato insanabili contraddizioni tra le proprie forme e i nuovi contenuti, tra il proprio pensiero e il nuovo vissuto, tra i propri schemi di decodifica e la nuova rappresentazione mentale del mondo.
Nel passaggio di testimone epocale, ancora una volta è la tecnologia, con la propria urgenza pratico-operativa e la propria immediatezza di ricaduta sull’immaginario collettivo, a segnare in modo forte le tappe di una corsa condotta simultaneamente al livello delle espressioni culturali, dei linguaggi rappresentativi, dei paradigmi identificativi.
Anche l’arte partecipa in modo significativo all’avvicendamento, descrivendo, proprio a partire dalle istanze tecnologiche, un percorso di ricerca di nuove forme simboliche in cui riconoscersi e consolidare l’appartenenza collettiva.

Nella comprensione di queste dinamiche ci vengono in supporto la Fenomenologia e la Culturologia, con i contributi  di studiosi quali Erwin Panofsky, Marshall McLuhann e Renato Barilli sui rapporti – intrecciati all’ombra delle grandi innovazioni epocali – tra arte, tecnologia e spirito del tempo.
Procedendo con ordine, a partire dalle loro analisi risulta possibile cogliere in primis lo specifico della Modernità di cui si andrà poi a osservare il superamento, ovvero l’imprescindibile nesso tra lo spirito razionalistico quattrocentesco e l’azione profonda operata sulle coscienze dalla rappresentazione prospettica (la prospettiva scientifica albertiana) e dalla tipografia gutenberghiana. La prima si impone come vera e propria riduzione dello spazio in termini matematici, mentre la seconda – altrettanto puntuale nel sottolineare visivamente il riferimento allo schema cartesiano con la griglia dei caratteri mobili – si offre quale strumento di normalizzazione e diffusione del nuovo pensiero.

Secondo questa chiave di lettura, che si potrebbe definire tecnomorfa, la stampa (gabbia tipografica) a livello basso e la prospettiva scientifica (gabbia prospettica) a livello alto sono le innovazioni rinascimentali che definiscono l’intimo statuto dell’intera arte moderna occidentale, contribuendo a sancire diacronicamente e sincronicamente la sua siderale distanza tanto dalle forme espressive precedenti quanto dagli esiti coevi dell’arte orientale. Entrambe le innovazioni si possono inscrivere nel razionalismo coltivato dal pensiero scientifico ed economico, in un’ottica di sistematico ricorso agli strumenti logici nel rapporto con la realtà.

Agenti propulsivi nella svolta moderna, dunque, prospettiva scientifica e stampa a caratteri mobili segnano gli impercettibili confini ideologici entro cui, per diversi secoli, l’arte cerca di legittimare un nuovo rapporto laico e razionalmente ponderato con la rappresentazione del mondo. All’uscita dal Medioevo, infatti, una diversa sensibilità espressiva si affrancata progressivamente dal dogmatico confronto con la realtà prima imposto dalla teologia, indirizzando l’indagine degli artisti verso una dimensione più prosaica e umanistica, empiricamente e scientificamente orientata. La realtà, da quel momento vissuta come idealmente commensurabile, comincia a risultare sempre meno distante e incomprensibile, quindi sempre più di rado occasione di oscuro turbamento. Ecco allora che il timore reverenziale cede via via il posto alla curiosità, a un’apertura consapevole, fiduciosa nei propri mezzi tecnici e scientifici. Come conseguenza, il mondo visibile e la concretezza del presente storico diventano oggetto di uno sforzo pittorico improntato alla veridicità, alla resa realistica, all’indagine naturalistica, in una parola alla mimesi.

L’artista rinnega quella stilizzazione formale di cui il Medioevo aveva nutrito il proprio linguaggio simbolico: se l’arte medievale si era rivelata interamente piegata alla metafora e al simbolismo, l’arte moderna ai suoi albori quattrocenteschi, con precursori attivi già nel secolo precedente, comincia a indirizzarsi verso l’esaltazione dell’individuo reale, e la prospettiva scientifica rappresenta uno degli strumenti principali nell’indagine di una realtà fenomenica a quel punto “sbirciata dal buco della serratura” e riprodotta fedelmente nella sua appartenenza al tempo e allo spazio.

Incontrandosi sul terreno della ridefinizione dei codici di lettura e rappresentazione del mondo, dunque, mimesi e razionalismo alle soglie del XVI secolo inaugurano un “moderno” sodalizio, che trova successiva consacrazione e corroborazione nel pensiero di Cartesio, allorché – in quello che può essere indicato come l’apice secentesco dell’Età moderna – il filosofo estende la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e alla certezza delle scienze matematiche a ogni aspetto dell’essere e del sapere. Tale impianto comincia però a scricchiolare – come si diceva – tra gli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo, quando alcune fondamentali scoperte tecnico-scientifiche avviano un nuovo processo di cambiamento epocale, questa volta a partire dalle fonti energetiche. Quale fulcro d’innovazione si pone questa volta lo studio – e la conseguente corsa alle possibili applicazioni pratiche – della forza che si sprigiona nello spostamento di cariche elettriche tra un polo positivo e uno negativo (elettromagnetismo).

Tra le principali tappe di tale rivoluzione energetica si possono indicare: la messa a punto, nel 1860, da parte del fisico Antonio Pacinotti del celebre “anello” che, sfruttando l’azione combinata dell’elettricità e del magnetismo, riesce a produrre un lavoro meccanico, a muovere un corpo inerte; la posa, nel 1866, del primo cavo telegrafico transoceanico che evidenzia le possibilità offerte anche a livello di trasmissione delle informazioni dall’impressionante velocità delle onde elettromagnetiche; l’esibizione delle meraviglie dell’illuminazione elettrica nel corso dell’Esposizione universale parigina del 1867; la teorizzazione di James Clerk Maxwell, nella seconda metà dell’Ottocento, dei fondamenti matematici e dei principi generali del campo elettromagnetico.

In breve tempo l’elettromagnetismo porta a un’ulteriore evoluzione della civiltà delle macchine, sostituendo con la propria energia bianca l’energia termica della combustione. Questo vento d’innovazione, oltre a ripercuotersi sugli aspetti pratici della vita dell’essere umano, comporta lo spostamento concettuale da un universo meccanico, rigidamente vincolato dalle leggi galileiane e newtoniane, a un universo fluttuante, legato al divenire di un continuum energetico. Da una concezione atomistica, legata alla somma di entità spazialmente distinte, che si relazionano a distanza tramite le leggi gravitazionali, si passa a una concezione sistemica, sviluppata sulle idee di flusso e di campo come luoghi della continuità e dell’interazione simultanea.

Gioacchino Toni – Gianluca Ruggerini, Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età moderna (Odoya, 2019)

A partire della seconda metà dell’Ottocento, uno dei primi artisti a imboccare in modo inequivocabile la strada della traduzione simbolica dei nuovi contenuti è Paul Cézanne. Con lui crolla definitivamente l’illusione di una rappresentazione obiettiva, mimetica della realtà e la prospettiva scientifica abdica dal ruolo “moderno” di strumento ordinante i rapporti spaziali. Il francese recupera infatti la visione nel suo essere approssimativa (relativa), complessa (sistemica) e in movimento (fluttuante), in altre parole non coglibile attraverso un rigido schema matematico. È il primo apporto teorico-pratico alla ricerca di nuove modalità di rappresentazione della spazialità contemporanea: se la percezione è per sua natura ingannevole, ciò che ci circonda non è esattamente come ci sembra, tantomeno è necessariamente come lo rappresentiamo.

Contestando la piramide prospettica e l’idea che ne consegue di profondità come dislocazione tridimensionale di punti fissi e ordinati, di particelle distinte e localizzabili, la costruzione cézanniana dello spazio rimanda a un particolarissimo inglobamento degli elementi nel campo percettivo, a un nuovo tipo di visione, dinamica e sferoidale. La svolta è chiara: da una spazialità certa, stabile, ponderabile e ponderata, tangibilmente popolata da “corpi gravi” – definiti nelle proprie relazioni dalle teorie di Galileo, Cartesio e Newton – si passa a una spazialità incerta, instabile, in continua e rapidissima trasformazione, percorsa da invisibili flussi energetici in grado di interagire con la struttura degli elementi, modificandola. Questo spazio fluttuante, legato all’imponderabilità dei campi intesi come sistemi di influenze, è lo stesso che col Novecento – sull’onda della Relatività di Albert Einstein e del Principio di indeterminazione di Werner Heisenberg – evidenzia definitivamente il limite epistemologico della Meccanica classica, spazzando le certezze filosofico-scientifiche di secoli di modernità.

Nell’indagine spaziale di Cézanne trova posto un’ulteriore riflessione microstrutturale sulla materia, improntata all’espressione di un continuum ove i singoli elementi letteralmente si compenetrano, si mescolano: il cielo “entra” nella montagna, il prato nella casa, e via dicendo. Il colore-forma degli impressionisti lascia il posto a un colore-sostanza dotato di una valenza analitica particolare. La pennellata diventa l’unità di misura di una con-fusione in cui si perdono definitivamente i confini materici delle cose. In questo agitato mosaico, ogni singola tessera cromatica, incarnando a livello molecolare la struttura degli elementi, tende ad animarsi di vita propria, a porsi come unità minima plausibile. Anche in questa volontà, la ricerca dell’artista si configura come decisamente contemporanea, prefigurando nell’interessantissimo parallelo con l’ultimo Claude Monet – quello delle Grandi ninfee – i futuri esiti di molta pittura di lì a venire, dal filone astratto a quello concreto.

A fianco dell’imprescindibile lezione di Cézanne, la fine dell’Ottocento vede anche altri percorsi di formalizzazione, più o meno consapevole, dell’idea di “fluttuanza” materico-energetica. Uno di questi è certamente quello proposto dall’Art Nouveau. Anche che si consideri quest’esperienza artistica come espressione di una tendenza modernista ingenua –  volta in qualche modo a estetizzare l’industrializzazione, ad armonizzarne stilisticamente gli esiti soprattutto nell’architettura e nelle cosiddette arti minori – non si può prescindere dal rapportarne il repertorio formale (l’ispirazione floreale) alle innovazioni tecnico-scientifiche del periodo, in particolare a quelle legate all’energia elettromagnetica.

Come per tutto il cosiddetto Modernismo, i presupposti teorici di partenza dell’Art Nouveau possono essere individuati nell’Arts & Crafts di William Morris, dove il tentativo di conciliazione di arte e produzione industriale si spinge fino a introdurre nelle abitazioni dei contemporanei oggetti d’arredo lavorati sì industrialmente, ma in maniera originale e stilisticamente sorvegliata, tale da sottrarli all’imbarbarimento della produzione seriale. Le nuove poetiche moderniste perseguono una finalità sociale di unificazione di tutte le arti attraverso il ricorso a tipologie formali centrate sulla linea curva e flessuosa, sull’eleganza dei motivi ondulati di derivazione fitomorfa o zoomorfa.

La volontà di abbellire la realtà quotidiana con un’arte nuova, capace di superare tanto l’accademismo quanto le farragini revivalistiche dell’eclettismo con la ripresa di modelli naturalistici, si lega comunque a un approccio decisamente lontano da ipotesi di realismo mimetico. Più che copiare fedelmente la natura, l’Art Nouveau ne estrae (astrae, si potrebbe dire) le linee, le forme basilari, le cadenze essenziali, ricombinandole poi in un gioco di rapporti che suggerisce l’idea di una natura seconda, ricreata dall’artista per rallegrare il volto urbano delle nuove metropoli, per ornarne e trasfigurarne l’anonimo profilo industriale.

Stilizzata dal regno vegetale di cui diventa simbolo, traccia materiale, la linea fitomorfa – così come l’equivalente zoomorfo – esprime la sostanziale continuità dei punti che la compongono: si colloca nello spazio avvolgendolo con movenze ondulari, ellittiche, spiraliformi, lo percorre sinuosamente introducendo una precisa sensazione di fluidità e di omogeneità. Per l’Art Nouveau, essa rappresenta un elemento strutturale prima che formale, biologico prima che stilistico: vera e propria componente organica dell’oggetto, incarna e veicola un’energia dinamica. In proposito il belga Henry van de Velde afferma: «La linea è una forza come ogni altra forza della natura».
Come conseguenza, sono le strutture stesse a diventare decorazione e il ferro e la ghisa, in quanto nuovi materiali portanti per eccellenza, assecondano il proprio destino formale come plasmati dall’interno, da una linfa vitale.

Gioacchino Toni – Gianluca Ruggerini, Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età contemporanea (Odoya, 2020)

Sulla scia del nuovo vento generato da idee come quelle di continuum e campo energetico, il Modernismo raccoglie dunque lo spunto tecnologico originario e lo traduce a livello alto, sviluppando in ciò un ideale parallelo con le elaborazioni filosofiche di Henri Bergson: in un caso come nell’altro, l’accento viene posto sulla durata, sull’esperienza di un flusso indivisibile e incessante di un élan vital. Tanto la Natura, intesa come principio superiore onnipervasivo (ragione strutturale di piante e animali), quanto la fluidità della nuova forma di energia (le linee di forza del campo elettromagnetico), vengono fissate visivamente nell’eleganza formale dell’Art Nouveau e ricollegate all’idea di un universo organico che coinvolge e sviluppa continuità.

Nel rapportarsi al proprio tempo, il nuovo stile concretizza sì, in prima battuta, una volontà fitomorfa e zoomorfa, ma formalizza tanto più l’andamento curvilineo del campo elettromagnetico, la sua modalità di propagazione per onde che vanno a pervadere l’universo. A partire dagli spazi abitativi e urbanistici, la nuova tendenza decorativa svolge la propria funzione simbolica nei confronti di un sistema di riferimenti materiali e concettuali ormai decisamente oltre la modernità, funzione che in seguito verrà ripresa e sviluppata compiutamente – col ricorso ad altri strumenti formali –  dall’avanguardia cubista.

Muovendo da queste premesse, lo sviluppo dell’arte contemporanea occidentale, per dirla con Renato Barilli, finisce in definitiva per snodarsi lungo la tensione dialettica tra due modelli: uno votato alla sintonia tra la sensibilità dell’essere umano ed una tecnologia di specie meccanica ed un altro ispirato all’avvento dell’elettronica.

Gioacchino Toni, è studioso dei fenomeni artistici e audiovisivi. Ha pubblicato i volumi Gli stili nel tempo (con G. Ruggerini, Clitt 2005), Storie di sport e politica (con A. Molinari, Mimesis 2018), Immaginari alterati (con L. Cangianti, A. Daniele, S. Moiso, F. Pezzini, Mimesis 2018) e, insieme a G. Ruggerini, i due volumi Guida agli stili nell’arte e nel costume dedicati alla modernità (Odoya 2019) e alla contemporaneità (Odoya 2020). Docente di Storia dell’arte, autore di numerosi scritti di carattere artistico e cinematografico, è redattore della rivista Carmilla e collaboratore di altre testate.

Gianluca Ruggerini, è un fenomenologo degli stili prestato alle scienze sociali. Ha pubblicato i volumi Gli stili nel tempo (con G. Toni, Clitt 2005), Fede e storia in Lanfranco Lumetti, sacerdote ed educatore (con S. Spreafico e AAVV, Borla 2005), Problema, tentazione, mistero. La cultura occidentale e la domanda sul male (AAVV, San Lorenzo 2007) e, insieme a G. Toni, i due volumi Guida agli stili nell’arte e nel costume dedicati alla modernità (Odoya 2019) e alla contemporaneità (Odoya 2020). Lavora in ambito socio-sanitario dirigendo strutture riabilitative per le dipendenze patologiche



Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139