Per gentile concessione della testata, pubblichiamo un articolo uscito il 22 gennaio 2020 sul “Messaggero Veneto” firmato da Luca Taddio, in ricordo del filosofo Emanuele Severino, “l’ultimo dei Greci”
Severino è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento. La sua opera – ispirata a Parmenide – s’inserisce nel quadro del pensiero contemporaneo in modo così originale da non essere ascrivibile a nessuna delle tradizioni filosofiche che attraversano il Novecento.
Parlare della filosofia di Severino è già di per sé improprio, se si intende l’espressione come rimando al prodotto di un “io” o di un individuo; anche parlare dell’uomo Emanuele Severino costituisce un allontanamento dal senso del Destino a cui egli ci richiama.
La posta in gioco non è il soggetto o la soggettività, ma il Destino della verità. Si tratta allora di ascoltare il senso di quest’ultimo al fine di comprendere anche il significato della “morte”, termine che in Severino assume un senso radicalmente diverso da quello attribuitogli dalla tradizione metafisica: ogni ente, ogni evento, cade all’interno dell’eterno “essere sé dell’essente” di ogni essente. Un colpo di dadi porta necessariamente alla presenza ciò che da sempre è destinato ad apparire. Il destino della verità è il destino dell’essere. La verità non appartiene al pensiero come atto, bensì alla “struttura originaria” dell’essere; essa non è l’invenzione teorica né di un uomo, né di un Dio, ma è il luogo già da sempre aperto del senso originario della verità. Con ciò si intende criticare l’idea di una verità in quanto ricerca, scoperta o creazione della nostra mente. Quest’immagine suggerisce l’idea che dalla non-verità si possa giungere alla verità: mettersi in cammino lungo il sentiero in cerca della verità non potrà condurci dinanzi alla verità. Riprendendo un’immagine evangelica, Severino afferma che se pensiamo di “bussare alla porta della verità” per accedere alla “casa” che custodisce la verità, allora la porta resterà chiusa.
L’intero cammino sarebbe compiuto nella non-verità, nell’errore, e da lì non è possibile giungere alla verità.
“L’alternativa – scrive Severino – è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo”.
Seguire il logos significa seguirne i principi e in particolare il principio di non contraddizione, quel principium omnium firmissimum in cui si afferma l’impossibilità che una cosa sia e non sia allo stesso tempo.
Mantenendosi fedeli al principio è impossibile trovarsi in errore: esso è una proprietà fondamentale dell’essere in quanto essere.
I pensieri di Severino assomigliano a raggi concentrici, che da diversi punti della circonferenza convergono verso il centro; nondimeno possiedono una forza espansiva che dal centro si irradia fino a delineare l’intero perimetro della circonferenza.
Possiamo seguire il pensiero di Severino attraverso un duplice movimento: dalla struttura originaria all’apparire delle cose, oppure, dai “fenomeni di superficie” alla struttura essenziale.
La parte “divulgativa” del discorso di Severino non è “superficiale”: gli scritti che stanno in superficie – che riguardano i temi di attualità – sono strettamente legati alla metafisica sottostante.
L’analisi di Severino conduce al fondo della nostra cultura, al fondamento delle nostre categorie concettuali. Ciò che appare in superficie è il risultato di un processo che trae origine dal pensiero greco. Categorie che determinano il senso delle cose e quindi guidano il nostro agire e il modo in cui ci relazioniamo al mondo: tutte le azioni dell’uomo sono determinate e guidate dal senso che le cose hanno per lui. Il “mortale”, l’uomo, appare nell’epoca della tecnica come un naufrago: attorno a sé scorge l’isotropismo di ogni direzione, e nel suo galleggiare tra le onde della storia avverte la mancanza di fondamento. Prima gli dei, poi la verità hanno abbandonato il “mortale” al proprio destino di naufrago.
Severino, invece, indica che il vero Destino dell’uomo è quello di chi non deve cercare la “terra della salvezza”, poiché già da sempre salvo. Potremmo interessarci ad aspetti e a problemi filosofici, ma lo studio della filosofia ci lascerebbe fuori della filosofia, qualora ci accostassimo ad essa avendo già chiaro ciò in cui credere.
Pensare filosoficamente significa per Severino mettere in questione ogni nostra credenza e ogni nostra fede. Solo a partire da questa premessa possiamo apprezzare il pensiero di Severino, un pensiero in cui divenire, eternità e gioia acquistano un senso completamente nuovo.
Le riflessioni di Severino tracciano un percorso teorico finora inesplorato, che ci costringe a ripensare in modo radicalmente nuovo il senso stesso dell’eternità, della morte e della vita.