Durante il IV Incontro Internazionale Max Horkheimer, svoltosi fra il 30 novembre e l’1 dicembre 2018 a Locarno, siamo riusciti a incontrare Nicola Emery, ideatore di queste giornate di Studi, tenutesi presso Palazzo Morettini, sede della Biblioteca Cantonale e rese possibili dal sostengo della Fondazione Max Horkheimer. Professore di Filosofia e di Estetica all’Accademia di Architettura dell’Università della Svizzera Italiana, Emery ha insegnato presso la Scuola di Governo del Territorio del SUM di Firenze e allo IUAV di Venezia, oltre a essere da qualche anno membro del Consiglio di fondazione della Fondazione Max Horkheimer. Tra le sue pubblicazioni figurano accanto a monografie di riferimento dedicate alla filosofia italiana del Novecento (in particolare a quel pensatore eterodosso che fu Giuseppe Rensi) e a noti libri sulla teoria e l’estetica dell’architettura (fra cui L’architettura difficile Marinotti, Milano 2007, e Distruzione e progetto, Marinotti, Milano 2011), anche studi sulla Scuola di Francoforte, fra i quali spicca soprattutto Per il non conformismo. Max Horkheimer e Friedrich Pollock: l’altra Scuola di Francoforte (Roma: Castelvecchi, 2015, in corso di traduzione negli Usa per Brill/Haymarketbook). Gli appuntamenti svoltisi fino ad oggi hanno avuto come oggetto temi differenti, ma sempre relati alla tradizione e alla ricezione delle opere dei francofortesi, partendo da Arte e cultura di massa per arrivare a Organizzare il pessimismo, dedicati rispettivamente all’opera di Horkheimer e a quella di Benjamin, passando per Automazione e Teoria Critica dedicato agli studi di Pollock e Potere e pregiudizio, nel quale invece si sono affrontate le tematiche delle opere sulla personalità autoritaria e su autorità e famiglia. Il frutto di queste ultime ricerche è attualmente in corso di pubblicazione presso l’editore Mimesis, nella collana “Incontri Internazionali Max Horkheimer” diretta dallo stesso Emery, ed è appena stato stampato il volume dedicato agli incontri del 2016 dal titolo Automazione e Teoria critica a partire da Friedrich Pollock, con contributi fra gli altri di Manfred Gangl, Giacomo Marramao, Christian Marazzi , Alberto Magnaghi), mentre la raccolta degli atti del primo incontro era già stata pubblicata con il titolo Arte nuova e cultura di massa, con contributi di Martin Jay, Olivier Voirol, Katya Genel, Stefano Marino, Dario Gentili e altri. Quest’anno l’incontro è stato dedicato ad un pensatore fra i più importanti del Novecento, Walter Benjamin, il quale fu certo vicino alle ricerche dell’Istituto per la Ricerca Sociale, ma rimase laterale al filone più interno di quella prospettiva. Certamente però il pensiero di Benjamin è stato oggetto di intensa riflessione nella contemporaneità e ha scosso le coscienze filosofiche in modo profondo. La stessa biografia dell’autore, la sua vita di intellettuale privo di stabilità economica e lavorativa, così come la sua fine violenta dovuta alla barbarie fascista, ne fanno un autore che parla con forza all’attualità e nella cui analisi si possono trovare temi fondamentali della riflessione contemporanea, in particolare per quanto riguarda il suo concetto di storia, di catastrofe, e di restitutio messianica. I lavori degli Incontri Internazionali Max Horkheimer hanno quindi raccolto in Ticino filosofi e studiosi internazionali, nell’ottica di avviare un percorso contemporaneo di studio sui testi vicini a quella che fu l’esperienza dell’Istituto per la Ricerca Sociale, e abbiamo iniziato la nostra conversazione con Nicola Emery proprio chiedendogli di riflettere su quali siano le motivazioni sottese alla necessità di portare avanti un percorso di studi di questo tipo.
Nicola Emery: La motivazione di fondo è legata a una critica della contemporaneità e dell’attualità che si interseca con motivazioni e preoccupazioni storico-filosofiche concernenti il percorso dei francofortesi. Il fatto stesso che si possa incrociare così agevolmente la critica della contemporaneità, in particolare dei suoi aspetti più preoccupanti, con le analisi dei francofortesi attesta evidentemente l’attualità della Teoria Critica e la presenza di strumenti critici ancora molto attuali nel loro lavoro. I programmi degli Incontri sono ispirati in maniera esplicita all’idea di mettere a punto anche strumenti attuali, nutrendoli con il pensiero critico. Nel caso di Pregiudizio e Potere il discorso sulla personalità autoritaria è stato portato avanti coinvolgendo quelli che mi sembrano essere elementi filosofici-sociologici fra i più importanti della Teoria critica, attualizzati se non sviluppati con la proposta, al convegno, anche di percorsi autonomi all’interno dei movimenti gender e animalista.
Olmo Nicoletti: I lavori degli Incontri Internazionali fin qui svolti mi sono parsi intesi proprio a lavorare su questa rilettura della Teoria Critica volta a metterne in luce gli aspetti attuali, riportando il pensiero politico a un’efficacia nella prassi di oggi.
N. E.: Sì, senz’altro è stata presente la volontà di riportare all’attenzione disciplinare filosofica e sociologica contemporanea il lavoro degli autori francofortesi, i quali da più di qualche anno sono stati un po’ dimenticati anche da un punto di vista editoriale; in particolare sto pensando a Horkheimer e a Pollock, ma anche a Löwenthal, che in Italia ha ricevuto poca attenzione. Il suo importante e ahinoi ancora attuale Prophets of deceits non mi risulta sia mai stato tradotto. Per quanto riguarda Pollock, l’incontro a lui dedicato [2016 n.d.r.] ha inteso mettere in luce la centralità e l’attualità del tema dell’automazione da lui affrontato. L’incontro si è svolto in occasione del sessantesimo anniversario della pubblicazione di Automazione, uscito in Italia e in altre sei nazioni in prima edizione già nel 1956 e in una seconda nel ’64, da Einaudi. Penso che questi testi attestino già a partire dall’ enunciazione dei loro temi, la lungimiranza del pensiero che dobbiamo alla riflessione di questi autori.
O. N.: Altrettanto quest’ultimo incontro, dal titolo Organizzare il pessimismo (citazione dal testo di Benjamin Il surrealismo, pubblicato in Italia nella raccolta Avanguardia e rivoluzione, Torino: Einaudi, 1973, pp. 11-26), mi è parso essere una dichiarazione quasi programmatica sul significato di un pensatore come Benjamin in chiave contemporanea, come autore a partire dal quale è possibile declinare non soltanto una teoria critica dell’esistente ma anche una prassi di azione. Organizzare il pessimismo significa, una volta assunto un determinato orientamento figlio di una certa riflessione filosofica, farne uno strumento di azione. Evidentemente gli incontri si sono svolti mediante l’analisi di testi e temi dell’autore stesso, ma mi è parso che non fosse assente la volontà di trarre dagli elementi più attuali dell’autore anche uno strumento sia di analisi che di azione nel contemporaneo.
N. E.: La cornice nella quale si svolgono gli Incontri forse produce questo esito, è in parte anche orientata verso una rigenerazione interpretativa della potenzialità critica di questi testi. Pur non dimenticando che sono intervenuti altri autori da allora, i quali certo ci hanno offerto nuovi strumenti di analisi, penso che il bagaglio francofortese resti molto importante. Già lì era presente una presa di coscienza di una crisi del marxismo “classico”: non potendo più attingere direttamente al marxismo, per ragioni che riguardano principalmente la frammentazione della classe operaia dovuta anche e in primo luogo alle variazioni dei metodi di produzione, è possibile nondimeno guardare a ciò che restava di marxista nei loro testi. Da qui si apre anche un campo di studi particolarmente interessante, ovvero quello del confronto fra i francofortesi, nelle cui elaborazioni il pur grande concetto lukacciano di coscienza di classe viene eroso, e l’operaismo italiano, che aveva nell’ operaio-massa e nella grande fabbrica i suoi referenti.
O. N.: A proposito di questa tematica si può ricordare che i “Quaderni piacentini”, che furono vicini alle analisi di movimenti politici di sinistra, hanno avuto un ruolo nella ricezione di Benjamin nel ’68 in Italia. Elvio Fachinelli tradusse il testo Programma per un teatro proletario dei bambini, che venne pubblicato della rivista berlinese “Alternative” anche in polemica con la ricezione adorniana di Benjamin (“Quaderni piacentini”, n. 38, luglio 1969, pp. 151-165). Da qui deriva anche una certa rilettura di Benjamin negli anni ’70. Evidentemente dopo il ritrovamento dei testi di Benjamin da parte di Agamben a Parigi molto è cambiato e si sono date nuove linee, ma sicuramente quel momento ha segnato una certa interpretazione italiana dell’autore. Quella pubblicazione berlinese sollevò una polemica fra una lettura più militante di Benjamin e quella invece portata avanti da Adorno e dagli esponenti dell’Istituto per la Ricerca Sociale. Passati cinquant’anni da allora, il conflitto nelle interpretazioni di Benjamin non è ancora completamente sopito, come si è potuto vedere anche in queste giornate di studi nelle quali Lenhart ha ritenuto necessario rivolgere la propria attenzione alle accuse che Arendt rivolse a Adorno e a Horkheimer (contenute nel testo da poco tradotto in italiano: Arendt – Benjamin, L’angelo della storia, Firenze: Giuntina, 2017). La decisione di dedicare il quarto di questi incontri della Fondazione Max Horkheimer proprio a Benjamin mi pare testimoniare come si sia mantenuto vivo l’interesse verso l’autore da questa prospettiva, oltre a essere altrettanto un atto nel quale si ritrova la volontà di mantenerne vive la memoria e l’interpretazione. Nonostante la sua peculiare posizione all’interno e a lato della tradizione francofortese, è stato messo in luce come egli sia stato e resti un interlocutore importante per la Teoria Critica, e come forse sia importante volgere l’attenzione verso un confronto teoretico.
N. E.: Da un lato vi era la volontà di riconoscere il ruolo importante che la riflessione di Benjamin ha esercitato e esercita anche per la Teoria Critica, oltre che molti altri settori della cultura contemporanea. Dall’altro, c’è stata la volontà di far luce sui rapporti che sono esistiti fra autori quali Horkheimer, Pollock e Adorno e lo stesso Benjamin, un rapporto nel quale sono state presenti luci ed ombre, come sappiamo bene anche grazie ai testi di Arendt. Penso che questo incontro abbia rappresentato anche la possibilità di tornare su queste tematiche, tentando di storicizzarle senza rimuovere, anzi mettendo in luce e discutendo le sue critiche. Il rapporto fra Horkheimer e Pollock da un lato e Benjamin dall’ altro viene visto ancora con un certo sospetto, si pensi anche alla travagliata vicenda concernente gli interventi sul testo de L’ opera d’ arte nell’ epoca della sua riproducibilità tecnica, ed è opportuno che vi sia critica e autocritica rispetto a questa tematica, ma anche al di là di questo piano penso sia necessario analizzarne le relazioni dal punto di vista teoretico, riconoscendo l’incidenza della riflessione di Benjamin, in alcuni casi del tutto evidente – penso al notevole saggio di Horkheimer Lo stato autoritario del 1942, ma anche a non poche pagine di Adorno.
O. N.: Nel libro da lei dedicato a Horkheimer e a Pollock, a partire dalle esperienze giovanili dei due amici e colleghi si cerca di far emergere quello che già viene esplicitato nel titolo del testo, ovvero l’idea di un’“altra Scuola di Francoforte”. Penso che anche questa serie di Incontri si ponga all’insegna di questa alterità, fornendo una particolare interpretazione del segno delle ricerche degli autori e delle tematiche che vengono affrontate. Come intendere questa nozione?
N. E.: Per “altra Scuola di Francoforte” intendo grosso modo un’interpretazione del lavoro dell’Istituto nella quale sia intesa come strutturale la dimensione della ricerca economica a partire dalla diagnosi del capitalismo di stato. L’analisi che Pollock fa in Automazione è fondamentale per comprendere poi la successiva critica francofortese della “società totalmente amministrata”, dunque la centralità dell’analisi economica che dobbiamo a questo autore è necessaria per comprendere gli sviluppi della Teoria Critica. In Italia negli anni ’60 e ’70 ci si era resi conto di questo nesso indissolubile, in questo caso soprattutto fra Adorno, in particolare nel lavoro fondamentale portato avanti con Horkheimer e confluito nella Dialettica dell’illuminismo, e l’analisi di Pollock. Egli vedeva un capitalismo bloccato ed impossibilitato, a causa non da ultimo della frammentazione e dell’integrazione di ciò che rimaneva della classe operaia, a sviluppare le contraddizioni in un processo rivoluzionario e che veniva piuttosto spinto verso un capitalismo autoritario; questa analisi non è stata discussa a fondo e messa debitamente al centro della riflessione, è andata piuttosto dimenticata, forse anche attivamente rimossa. Raniero Panzieri, autore di riferimento dei “Quaderni rossi”, si era tuttavia accorto di queste relazioni e della centralità delle riflessioni economiche di Pollock per la comprensione dei francofortesi, del loro disincanto che, non a torto, poteva apparire- anche un po’ rinunciatario rispetto al ciclo di lotte operaie degli anni ’60. La difficoltà, forse anche l’impossibilità, di percorrere l’ipotesi marxista viene diagnosticata da Pollock, ma nel suo lavoro vi è a suo modo una ripresa dei metodi marxisti e della centralità dell’analisi economica nella filosofia, che gli consente di non bloccare l’analisi a livello di critica della cultura, come invece avviene semmai, restando in relazione comunque sempre con le contradizioni della totalità sociale, in Adorno. La posizione francofortese di cui parlo è consapevole del fatto che la critica della cultura non può essere che legata a una diagnosi di tipo economico e alla centralità della struttura, la quale è però una struttura che non sembra più consentire il processo rivoluzionario nelle forme che erano state pensate. La reificazione è diventata troppo spessa, e a tal punto irrigidita da sfociare e svilupparsi in biopolitica…Trovo che analisi francofortesi successive, penso in particolare al tardo Habermas, abbiano portato su terreni differenti, nei quali l’enfatizzazione dell’agire comunicativo ha fatto perdere di vista la centralità della struttura – anche l’intreccio attuale fra economia e comunicazione e digitalizzazione- che invece fa parte a pieno titolo della riflessione francofortese. Difficilmente si possono capire passaggi importanti della filosofia francofortese senza pensare al lavoro di analisi di Pollock: non a caso a lui è dedicata la Dialettica dell’illuminismo così come il successivo Gergo dell’autenticità. Mi pare che anche gli studi di Honneth sul riconoscimento, da questo punto di vista, siano carenti, mentre altri autori hanno cercato di analizzare la relazione fondamentale fra Teoria Critica e lavoro (penso in particolare a Oskar Negt). Se non si fossero rimossi Capitalismo di stato e Automazione disporremmo ora forse di diagnosi diverse della contemporaneità rispetto a quelle della seconda generazione francofortese.
O. N.: Il Ticino è stato storicamente un luogo di rifugio per molti dissidenti politici e per esuli. Lei nella relazione di quest’anno ha trattato dei viaggi giovanili di Benjamin a Locarno e a Lugano, in particolare soffermandosi sul testo del 1919 Destino e Carattere, il quale ha un taglio immediatamente politico. Se per Benjamin questi sono stati luoghi di villeggiatura e di viaggio, ciò non fu per altri personaggi, come ad esempio Bakunin che proprio a Locarno visse a lungo. Altrettanto nel testo Per il non conformismo lei tratta della decisione di Horkheimer e Pollock di costruire la propria casa a Montagnola come di una decisione politica dovuta anche alla necessità di trovare un luogo sicuro. Non era assente in loro l’idea che un rivolgimento della democrazia europea in totalitarismo fosse possibile, lo stesso Pollock anzi ne teorizza la possibilità dovuta a un progressivo soppiantamento dell’uomo nel processo produttivo; questo stesso soppiantamento, sostiene Pollock, avrebbe creato masse per gestire le quali si sarebbe giunti all’esigenza di uno stato totalitario. Per concludere la loro vita, ricreare la loro “isola felice”, scelsero quindi la Svizzera, che rappresentava ai loro occhi il luogo più sicuro. Il rapporto fra Ticino ed esuli, rifugiati e dissidenti politici, mi sembra quindi essere profondo, nonostante l’attualità sembri star negando questa tradizione. Può dirci qualcosa di più rispetto alle motivazioni di uno studio ticinese degli autori della Scuola di Francoforte?
N. E.: La vicenda che ricordava, relativa alla scelta di Horkheimer e Pollock di stabilirsi a Montagnola, è stata poco o mai studiata anche in Germania e solo ora si sta procedendo a uno studio dei materiali ed è finalmente iniziata la pubblicazione delle opere complete di Pollock. Habermas ricorda che Horkheimer non si riconciliò mai pienamente con la Germania: nonostante i riconoscimenti sembra infatti che non ritrovarono mai nel paese natio un luogo nel quale ritornare. Un certo timore per la situazione politica continuò a essere presente nella loro riflessione, che infatti in parte rimase limitata al privato senza emergere pubblicamente. Horkheimer e Pollock erano convinti del fatto che il nuovo assetto politico europeo democratico fosse destinato a durare ben poco e che si sarebbe trasformato in un nuovo totalitarismo, anche in virtù del fatto che lo scopo stesso dell’automazione è da intendersi come l’eliminazione dell’uomo dal processo produttivo. Nonostante il finale di Automazione sembri lasciar aperta la possibilità di una gestione politica della crisi imminente, il capitolo precedente ha un taglio molto differente, e forse può essere considerato la vera conclusione; questo si dà proprio in virtù di un continuo mascheramento del pensiero tardo di autori che non possono che considerarsi dei sopravvissuti. Nel penultimo capitolo, infatti, per Pollock si giungerà a una nuova violenta tirannia, e già in Capitalismo di stato vediamo la relazione fra capitalismo e totalitarismo, e da ciò possiamo desumere le ben scarse speranze che l’autore riponeva negli assetti politici europei. Automazione, sia detto per inciso, resta un testo interessantissimo, nel quale si vede anche una grande competenza da parte di Pollock rispetto alle innovazioni tecnologiche del tempo e allo sviluppo delle intelligenze artificiali, competenza che è tanto più straordinaria in quanto acquisita da Montagnola che non era certo al centro dello sviluppo tecnologico mondiale… In un certo senso, quindi anche Horkheimer e Pollock trovarono in Ticino, come altri prima di loro, un “buco” – per usare l’espressione bakuniana – nel quale trovare una propria tranquillità e uno spazio nel quale fosse possibile vivere. In alcuni aforismi scritti a quattro mani evocano la necessità di scendere nelle catacombe per dar voce al loro pessimismo disincantato ma nondimeno ancora critico. Al centro del loro ultimo programma riponevano – in fondo anche in questo caso con una certa lungimiranza – la critica della demagogia…
O. N.: Quali saranno le prossime tappe degli Incontri Internazionali Max Horkheimer? Dove si stanno dirigendo i lavori? Durante questi incontri sono già emerse problematiche e interessi dai quali poter procedere verso una nuova tematica?
N. E.: Attualizzare e interpretare gli autori può passare anche attraverso momenti di “ricorrenza”, non intesi come occasioni formali e un po’ retoriche, ma in un certo senso come momenti di festa che, come insegna Benjamin, segnano interruzioni nella linearità del calendario, nel nostro caso potremmo dire momenti di scomposizione e di rigenerazione della ricezione. Da questo punto di vista può essere significativo ricordare che quest’anno cade il cinquantesimo anno dalla morte di Adorno. In questo senso sarà impostata la prossima edizione degli Incontri Internazionali Max Horkheimer, le date e il luogo ci sono (6 e 7 dicembre 2019, Biblioteca cantonale di Locarno) e il titolo potrebbe essere questo: “Critica del mondo falso. Attualità di Th. W. Adorno a 50 anni dalla morte (1969-2019)”.
Per approfondire i lavori degli Incontri Internazionali, segnaliamo un’altra recente intervista a Nicola Emery e ricordiamo che gli atti dei due primi Incontri sono stati pubblicati per i tipi di Mimesis:
– Scenari dell’automazione. Intervista a Nicola Emery: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/geronimo/Scenari-dell%E2%80%99automazione-11560276.html
– Nicola Emery (a cura di), Automazione e teoria critica a partire da Friedrich Pollock,con contributi di Nicola Emery, Manfred Gangl, Giacomo Marramao, Philipp Lenhard, Andrea Cengia, Christian Marazzi, Alberto Magnaghi, Leopoldina Fortunati, Vittorio Gregotti. Milano-Udine: Mimesis, 2018.
– Nicola Emery (a cura di), Arte nuova e cultura di massa, con contributi di Giacomo Marramao, Hermann Kocyba, Martin Jay, Nicola Emery, Katia Genel, Olivier Voirol, Stefano Marino, Dario Gentili, Mathias Jehn. Milano-Udine: Mimesis, 2018.